giovedì 1 dicembre 2016

Gian Conti, “Non è successo niente” ed. 2012

                                                                   Casa Nostra. Qui Italia
         cento sfumature di giallo     
         il romanzo ritrovato


Gian Conti, “Non è successo niente”
Ed. Zandonai, pagg. 393, Euro 13,50

  Ormai quel “frastagliato blocco di lava” Simona lo aveva visto così tante volte che le suscitava solo indifferenza. A eccezione di quel frammento di iPhone che sporgeva da una protuberanza che un tempo era stata braccio. Le dava fastidiio, lo trovava fuori posto. Se fosse riuscita a razionalizzare le sue sensazioni, avrebbe probabilmente pensato che quel brandello di teconologia contaminava il tripudio della forza primordiale. Che è fatta anche di purezza.


      Avete presente l’effetto farfalla che prende il nome da un famoso racconto di Ray Bradbury? Quello per cui un movimento infinitesimale di molecole d’aria- come può essere il battito di ali di una farfalla- causa una catena di movimenti di altre molecole fino a scatenare un uragano dall’altra parte del mondo? Qualcosa del genere accade nel romanzo “Non è successo niente” di Gian Conti. Titolo contrassegnato dall’ironia di uno scrittore le cui pagine sono tutte percorse da arguta ironia, perché- ovvero- all’inizio di tutta la vicenda non è che proprio non sia successo niente. Alla fine sì, invece, si tira un colpo di spugna su tutto- meglio così, meglio fare “come se...”.
      Le trame dei libri di Gian Conti sono sempre originali: una coppia di siciliani, Antonio e Simona Vaccaro, partono per una vacanza in Indonesia. Nel pacchetto del tour c’è un’escursione sul Merapi, imponente vulcano ancora attivo. Che è, che non è, c’è un’eruzione proprio mentre i turisti sono vicino alla vetta. Un globo di fuoco piomba su Antonio Vaccaro avviluppandolo in un getto di vapore. Di lui non resta più nulla. Al suo posto un blocco frastagliato di lava.

      Le disavventure della bara con le spoglie di Addie Bundren nel romanzo di William Faulkner “Mentre morivo” non sono nulla a confronto di quelle tragicomiche, grottesche, macabre, del gigantesco pezzo di lava che contiene il fu Antonio Vaccaro. Problemi per trasportarlo in Sicilia (non sia detto che la vedova manchi di rispetto al defunto, anche se questi la cornificava), problemi per seppellirlo (metterlo in una bara? Impossibile. Ancora più impossibile caricarlo sull’auto delle pompe funebri). C’è una sola soluzione che dà inizio alla seconda parte del libro, quella  che evidenzia l’effetto farfalla. Perché il vulcano nasconde un segreto. In quanto segreto, non sarò certo io a rivelarvelo. Tuttavia, nel libro, il segreto incuriosisce troppe persone e finisce per circolare in “certi” ambienti- Mafia, Cosa Nostra, CIA- perché, per quanto avvolto dalla nebbia dell’incertezza, dietro ad esso si cela qualcosa che vale oro e fa gola a molti.


     Gian Conti- e l’ho già detto scrivendo di altri due suoi romanzi, “Loop” e “Puzzle di tre”- è geniale nell’inventare le sue trame. Lo spunto iniziale è sempre audacemente al limite tra il paradosso e il possibile, lasciandoci sospesi tra l’assurdo e il “dopo tutto, perché no?”. E poi Gian Conti si conferma come scrittore che è anche ingegnere. Bravissimo come ingegnere nel costruire il romanzo con metodo e precisione, non azzardando alcuna informazione superficiale sugli argomenti toccati nel libro- vulcanologia, mineralogia, economia. Bravissimo come scrittore che ci fa sobbalzare di stupore per dei vocaboli poco letterari prima che ci rendiamo conto che è un eloquio perfetto per descrivere qualcuno che di cognome fa Vaccaro. Bravissimo nel cambiare registro quando introduce il vero protagonista del romanzo: il vulcano che è una divinità per la gente del posto, che merita rispetto ed esige di non essere né additato né, tanto meno, chiamato per nome. Infatti gli indigeni lo chiamano Si Mbah che vuol dire sia nonno, sia vostro onore (e allora ben gli sta, a Vaccaro, per essersi fatto beffe di lui). Bravissimo Conti nel concludere un romanzo ricco di colpi di scena e altalenante tra Indonesia, Sicilia, Stati Uniti, con un grandioso finale apocalittico e, per certi versi, catartico. Perché ci sarà una sorta di discesa agli Inferi con un indonesiano a fare le veci di Virgilio, un cagnetto domestico e sensitivo al posto di Cerbero e un Dante che ha già incontrato la sua Beatrice prima di uscire a riveder le stelle.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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