Voci da mondi diversi. Cina
distopia
il libro ritrovato
Chan Koonchung, “Il demone della prosperità
Ed. Longanesi, trad. Giovanni
Garbellini, pagg. 288, Euro 16,40
Titolo originale inglese: The Fat Years
Proseguendo la ricerca su internet, in
cerca di notizie e non solo di libri, scoprì di non riuscire a trovare niente
usando parole chiave come “Scontri Tiananmen” e via dicendo. Persino i
risultati di ricerca sulla Rivoluzione culturale erano tremendi: solo un
mucchio di fandonie nostalgiche a proposito di un’adolescenza passata sotto il
sole brillante del glorioso passato. I pochi risultati che trattavano la storia
della Rivoluzione culturale erano versioni ufficiali, semplicistiche ed
emendate.
Perché mai i cinesi sono tutti così felici? E
dove è scomparso un mese- ventotto giorni, per essere precisi- del 2011? Com’è
che nessuno se ne ricorda nulla? Sono queste le due domande che martellano la
nostra mente leggendo il romanzo “Il demone della prosperità” di Chan
Koonchung. E sono entrambe in qualche modo connesse con un terzo quesito più
squisitamente esistenziale: che cosa sceglieremmo, o che cosa scelgono i più,
tra un inferno autentico e un paradiso artificiale?
Dall’Occidente abbiamo assistito, tra lo
sbalordimento e la preoccupazione, all’ascesa della potenza economica cinese.
Abbiamo pensato al detto “cavalcare la tigre” e- non importa se non sia
adeguatamente inteso- ci è parso che rispecchiasse lo straordinario e
inarrestabile balzo in avanti della Cina.
I dati parlano chiaro: mentre tutti i
paesi una volta baciati dal benessere sono in recessione, solo la Cina per il
terzo anno consecutivo ha registrato una crescita del 15%, perché è stata
capace di soppiantare le esportazioni con la domanda interna dei beni di
consumo. Non siamo solo noi occidentali, tuttavia, ad essere increduli davanti
ad un tale cambiamento, fin troppo memori degli anni dell’utopia maoista e dei
suoi strascichi. Ne “Il demone della prosperità” (“The fat years”, gli anni grassi nel titolo inglese)
quattro personaggi sono gli osservatori sgomenti e increduli del cambiamento. Fang
Caodi, che ha anche vissuto negli Stati Uniti, è quello che per primo pone la
domanda: dove è scomparso il mese che in realtà separava il giorno in cui
l’economia mondiale è entrata in crisi e quello in cui ha avuto inizio l’Età
dell’Oro dell’Ascesa Cinese? Dipende forse dal fatto che lui prende delle
medicine per l’asma che è l’unico a ricordare il panico che si era diffuso, la
corsa all’accaparramento, l’intervento dell’esercito e della polizia e il
vaccino contro l’influenza aviaria somministrato a tutta la popolazione?
Fang
Caodi si confida con Vecchio Chen, il giornalista e scrittore che un tempo
risedeva a Taiwan e che ora vive a Pechino, che è anche il narratore principale
di quanto avviene (bloccato da anni senza ispirazione, finalmente ha qualcosa
di cui scrivere). Inserite nel racconto di Vecchio Chen ci sono le
autobiografie di un giovane che è stato rapito da bambino e che ha lavorato
come schiavo in una fornace illegale di mattoni (pure lui asmatico, soccorso in
strada da Fang Caodi che trova in lui un alleato nel ricordare), quella di
Piccola Xi (è stata ricoverata in una clinica psichiatrica quando, proprio
durante il mese fantasma, si è messa ad andare in giro gridando ‘ricomincia la
repressione’), e quella del figlio di Piccola Xi, infine, un giovane di estrema
destra. Sono voci diverse che si sovrappongono per abbozzare un ritratto della
Cina di oggi costruita sulle macerie di quella di ieri.
Della Cina di
quarant’anni fa rimane- nei personaggi non colpiti da amnesia- il rimpianto per
l’idealismo che improntava quei giorni, per una lotta per ottenere qualcosa che
non erano solo beni di consumo. Ed è scoraggiante per loro essere gli unici a
rendersi conto che, pur essendo migliorata la situazione economica, pur
essendoci un più diffuso benessere, i diritti del popolo continuano ad essere
calpestati, il governo regge sempre il paese con un pugno di ferro, perché è
necessario “battere l’erba per spaventare la tigre” e la stabilità è la
priorità massima per ottenere grandi cose.
Il romanzo di Chan Koonchung si riallaccia,
per alcuni spunti, al genere distopico orwelliano anche se, nella tecnica
narrativa, è impostato come un mystery, o un giallo, con tanto di rapimento
finale. Ecco, è proprio alla fine che ci soddisfa di meno: dopo la vivace
narrazione precedente, dopo l’alternarsi di voci, la spiegazione del mistero è
affidata ad una persona in un lungo monologo che suona troppo didattico. E’
tuttavia una spiegazione sconvolgente a cui si continua a pensare: può sembrare
incredibile, fantascientifica, eppure dentro di noi- Orwell ce l’ha insegnato-
sappiamo che è possibile. Possibilissima. Perché no?
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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