Voci da mondi diversi. Asia
la Storia nel romanzo
FRESCO DI LETTURA
Anchee Min, “L’Imperatrice Orchidea”
Ed. Corbaccio, trad. Lucia
Corradini Caspani, pagg. 463, Euro 18,00
Quando, lo scorso inverno, lessi
“L’imperatrice Cixi” della scrittrice Jung Chang, rimasi talmente colpita dal
personaggio che frugai tra i libri sui miei disordinati scaffali alla ricerca
di un altro libro di cui ricordavo la copertina e lo misi da parte:
“L’Imperatrice Orchidea” di Anchee Min, nata a Shanghai e trasferitasi negli Stati
Uniti nel 1984. E’ venuto ora il momento di leggerlo, spinta da uno dei tanti
imperscrutabili motivi che ci spingono a scegliere un libro piuttosto che un
altro. E l’ho divorato, perché non è stata affatto una rilettura di quanto già
sapevo dal romanzo di Jung Chang.
Chiarisco subito la differenza.
“L’imperatrice Cixi” è un romanzo storico- approfondito e molto ben
documentato- che copre l’intera vita di Cixi, da quando viene scelta, nel 1852,
come seconda moglie dell’imperatore Xianfeng, fino alla sua morte nel 1908. E
la parte più importante, ne “L’imperatrice Cixi” è proprio quella in cui la
ragazzetta ignorante si trasforma in un sovrano che deve governare un paese
enorme in un momento storico irto di problemi cercando, nello stesso tempo, di
tenere una posizione defilata in quanto reggente del proprio figlio, il piccolo
imperatore Tongzhi. “L’imperatrice Orchidea”, pur osservando un’accurata
ricostruzione storica, è tutt’altro: è un romanzo in cui la voce narrante è
quella dell’imperatrice che racconta la sua vita e la sua esperienza nella
Città Proibita e termina con il funerale dell’imperatore, quando iniziano le
maggiori difficoltà, quando Cixi deve tutelare gli interessi e la vita stessa
del figlio e, nello stesso tempo, mettersi al servizio della Cina. Il fatto
stesso che, nel libro di Anchee Min, l’imperatrice sia sempre chiamata
‘Orchidea’, il nome con cui veniva chiamata in famiglia che era poi, forse, il
significato dell’altro nome passato alla Storia, è un indice della differenza
di intenzioni delle due scrittrici.
La storia di Orchidea inizia- e il fatto
assume un valore simbolico- con un funerale, proprio come termina con un altro
funerale. Uno agli antipodi dell’altro- tanto è misero quello del padre, quanto
è fastoso quello del marito imperatore. Ed è proprio la povertà che spinge
Orchidea a presentarsi a corte insieme alle altre ragazze di origine manciù tra
cui l’imperatore sceglierà la moglie e le concubine. Perché, se fosse tra le
prescelte, anche solo come concubina, ne deriverebbero enormi vantaggi per la
sua famiglia. Orchidea è intelligente ed astuta, impara presto le sottigliezze
di comportamento, quello che può piacere o infastidire sia l’augusto possibile
marito sia- ancora più importante- la potente e gelosa madre di questi. E
Orchidea ce la fa, sarà la seconda moglie ed è già tantissimo: non poteva
competere con la bellezza e la raffinatezza di Nu Haru, la prima moglie.
Secondo passo: come attirare l’attenzione di Xianfeng, come farlo entrare nel
suo letto?
E’ come nello splendido film “Lanterne rosse” con però una
possibilità di scelta ampliata al massimo, Orchidea deve riuscire a corrompere
un eunuco per ottenere ciò che vuole e nel giorno che vuole: se Orchidea
riuscisse a restare incinta, il gioco sarebbe fatto. Ancora una volta Orchidea
si rivela intelligente ed astuta: deve imparare, e in fretta, l’arte del sesso.
E da chi se non dalla tenutaria del miglior bordello di Pechino?
Il resto- la nascita dell’erede Tongzhi,
così come le difficoltà crescenti dei rapporti della Cina con le potenze
straniere che impongono con la forza la loro presenza e le loro leggi, la
caduta di Pechino, i saccheggi e gli incendi, la fuga dell’imperatore e della
sua corte- è Storia. Ma l’approccio di Anchee Min è sempre sul piano personale,
la voce di Orchidea ci parla di solitudine, di paura, di ambizione ed è sempre
carica di passione.
Il racconto è ricchissimo di dettagli e splendente di
colori anche se la narrazione può a tratti sembrare lenta, ma è una lentezza
dovuta e adeguata all’etichetta di una corte soffocante e sovrabbondante, come
quella che abbiamo visto nel super premiato film di Bertolucci, “L’ultimo
imperatore”.
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