seconda guerra mondiale
FRESCO DI LETTURA
Paolo Casadio, “La
quarta estate”
Ed. Piemme, pagg. 224, Euro 15,50
1943. E’ la quarta estate di guerra. Un
giovane medico accetta l’incarico di assistere i bambini della colonia estiva
di Marina di Ravenna. Il medico ha sempre vissuto sulle sponde del lago di
Garda- il viaggio in treno sotto la minaccia delle bombe, contrattare un
passaggio fino alla colonia, la vista del mare, tutto è una scoperta.
Le suore di san Dalmazia (‘le dalmatine’)
dirigono la colonia, si aspettavano un uomo al posto della dottoressa Andrea
Dalvina Zanardelli. Aspettativa più che giustificata, visto il nome della
dottoressa. E poi, nel 1943, quante erano le donne ad aver studiato medicina,
ad aver frequentato l’università? Diffidenza iniziale, presto superata. Il
dottore che aveva preceduto Dalvina (preferisce la si chiami così) è ricoverato
in una casa di cura- è una figura patetica, grottesca, simbolica in questo
romanzo, “La quarta estate”, di Paolo Casadio che riesce a dirci ancora
qualcosa sulla guerra che ha segnato il nostro paese ormai più di settanta anni
fa. Con lievità e delicatezza. Con un tocco di umorismo e con grande umanità.
Il dottor Davide Frega è impazzito nel corso della guerra: crede di essere-
attenzione, non Napoleone come spesso leggiamo in ritratti macchiettistici di
matti- il Duce. E assomiglia anche al Duce, chissà se per qualche arcano
processo di osmosi, come avviene fra due sposi di lunga data. Non ci sfugge
l’ironia di questo alias del Duce impazzito che continua a emanare ordini e
farnetica su una vittoria assai improbabile.
Comunque Dalvina prende il suo
posto e si conquisterà il cuore di tutti. Dei bambini, prima di tutto, che
arrivano in condizioni penose. Dalvina non ne sapeva nulla- sono quasi un
centinaio di orfani-, non sapeva nulla neppure della malattia per cui vengono
in questa colonia marina per trarre giovamento dai bagni: hanno la scrofola,
nome tremendo che evoca immagini tremende. E’ l’adenite tubercolare, un
ingrossamento delle ghiandole linfatiche che imbruttisce i bambini rendendoli
simili a piccoli mostri.
Da giugno a settembre, tanto dura la cura,
seguiamo la vita delle dalmatine, di Dalvina, dei pescatori di Marina, mentre
le notizie della guerra giungono sulle onde della radio che le suore ascoltano
di nascosto (è Dalvina a scoprire l’apparecchio, nascosto sotto i pizzi
dell’altare). Hanno tutte nomi strani, le dalmatine, e ognuna ha un tratto
singolare nel suo carattere- una è una bravissima infermiera, due fanno
miracoli in cucina, una li fa alla macchina da cucire, un’altra ha delle
premonizioni sul futuro (e non osa rivelarle), una ha attitudini al comando.
E’
quella che è un poco gelosa di Dalvina e il perché lo scopriremo alla fine. Le
dalmatine sono suore così fuori dal comune che ci riconciliano con gli ordini
ecclesiastici, hanno dedicato la loro vita a Cristo ma sono anche donne capaci
di provare sentimenti che confessano con pudore e forse con un filo di
vergogna, ma pur sempre hanno il coraggio di ammetterli. C’è tanto amore
nascosto, nel romanzo di Paolo Casadio. Da parte delle suore, da parte di un
pescatore che non osa farsi avanti con quella bella dottoressa dai capelli
colore albicocca, da parte di Dalvina che prende sotto le sue ali uno dei
bambini, che paga di tasca sua per avere del pescato in più per nutrire i
malatini, come paga per comprare gli occhiali ad una bimba di Marina il cui
padre è disperso in Russia, da parte di tutti i bambini che ricambiano
l’affetto di chi si dà così generosamente a loro, da parte dell’intero paese di
pescatori.
E’ come se la colonia fosse un’isola felice
in un mare di guerra. Come se fosse il luogo dove, mentre intorno divampano odi
e si sparge sangue, la vita ha ancora un valore, per quanto piccola, per quanto
imperfetta. E l’amore è come le erbe selvatiche che le suore raccolgono per
farne minestre e frittate, perché si sono accorte di un miglioramento nelle
condizioni dei bambini e ne attribuiscono il motivo a quel cibo povero di
guerra.
La voce del mare, così eternamente suadente, fa da controcanto al rombo
dell’aereo ‘Pippo’ in perlustrazione notturna, la luce interna dei personaggi
ha la meglio sull’oscuramento delle finestre. Anche dopo che tutto va a rotoli,
dopo l’8 settembre, dopo che il treno su cui Dalvina ritorna a casa viene
bombardato.
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