venerdì 21 agosto 2015

Paolo Casadio, “La quarta estate” ed. 2015

                                                                   Casa Nostra. Qui Italia
         seconda guerra mondiale
         FRESCO DI LETTURA

Paolo Casadio, “La quarta estate”
Ed. Piemme, pagg. 224, Euro 15,50

     1943. E’ la quarta estate di guerra. Un giovane medico accetta l’incarico di assistere i bambini della colonia estiva di Marina di Ravenna. Il medico ha sempre vissuto sulle sponde del lago di Garda- il viaggio in treno sotto la minaccia delle bombe, contrattare un passaggio fino alla colonia, la vista del mare, tutto è una scoperta.
     Le suore di san Dalmazia (‘le dalmatine’) dirigono la colonia, si aspettavano un uomo al posto della dottoressa Andrea Dalvina Zanardelli. Aspettativa più che giustificata, visto il nome della dottoressa. E poi, nel 1943, quante erano le donne ad aver studiato medicina, ad aver frequentato l’università? Diffidenza iniziale, presto superata. Il dottore che aveva preceduto Dalvina (preferisce la si chiami così) è ricoverato in una casa di cura- è una figura patetica, grottesca, simbolica in questo romanzo, “La quarta estate”, di Paolo Casadio che riesce a dirci ancora qualcosa sulla guerra che ha segnato il nostro paese ormai più di settanta anni fa. Con lievità e delicatezza. Con un tocco di umorismo e con grande umanità. Il dottor Davide Frega è impazzito nel corso della guerra: crede di essere- attenzione, non Napoleone come spesso leggiamo in ritratti macchiettistici di matti- il Duce. E assomiglia anche al Duce, chissà se per qualche arcano processo di osmosi, come avviene fra due sposi di lunga data. Non ci sfugge l’ironia di questo alias del Duce impazzito che continua a emanare ordini e farnetica su una vittoria assai improbabile.
Comunque Dalvina prende il suo posto e si conquisterà il cuore di tutti. Dei bambini, prima di tutto, che arrivano in condizioni penose. Dalvina non ne sapeva nulla- sono quasi un centinaio di orfani-, non sapeva nulla neppure della malattia per cui vengono in questa colonia marina per trarre giovamento dai bagni: hanno la scrofola, nome tremendo che evoca immagini tremende. E’ l’adenite tubercolare, un ingrossamento delle ghiandole linfatiche che imbruttisce i bambini rendendoli simili a piccoli mostri.
    Da giugno a settembre, tanto dura la cura, seguiamo la vita delle dalmatine, di Dalvina, dei pescatori di Marina, mentre le notizie della guerra giungono sulle onde della radio che le suore ascoltano di nascosto (è Dalvina a scoprire l’apparecchio, nascosto sotto i pizzi dell’altare). Hanno tutte nomi strani, le dalmatine, e ognuna ha un tratto singolare nel suo carattere- una è una bravissima infermiera, due fanno miracoli in cucina, una li fa alla macchina da cucire, un’altra ha delle premonizioni sul futuro (e non osa rivelarle), una ha attitudini al comando.
E’ quella che è un poco gelosa di Dalvina e il perché lo scopriremo alla fine. Le dalmatine sono suore così fuori dal comune che ci riconciliano con gli ordini ecclesiastici, hanno dedicato la loro vita a Cristo ma sono anche donne capaci di provare sentimenti che confessano con pudore e forse con un filo di vergogna, ma pur sempre hanno il coraggio di ammetterli. C’è tanto amore nascosto, nel romanzo di Paolo Casadio. Da parte delle suore, da parte di un pescatore che non osa farsi avanti con quella bella dottoressa dai capelli colore albicocca, da parte di Dalvina che prende sotto le sue ali uno dei bambini, che paga di tasca sua per avere del pescato in più per nutrire i malatini, come paga per comprare gli occhiali ad una bimba di Marina il cui padre è disperso in Russia, da parte di tutti i bambini che ricambiano l’affetto di chi si dà così generosamente a loro, da parte dell’intero paese di pescatori.
    E’ come se la colonia fosse un’isola felice in un mare di guerra. Come se fosse il luogo dove, mentre intorno divampano odi e si sparge sangue, la vita ha ancora un valore, per quanto piccola, per quanto imperfetta. E l’amore è come le erbe selvatiche che le suore raccolgono per farne minestre e frittate, perché si sono accorte di un miglioramento nelle condizioni dei bambini e ne attribuiscono il motivo a quel cibo povero di guerra.
La voce del mare, così eternamente suadente, fa da controcanto al rombo dell’aereo ‘Pippo’ in perlustrazione notturna, la luce interna dei personaggi ha la meglio sull’oscuramento delle finestre. Anche dopo che tutto va a rotoli, dopo l’8 settembre, dopo che il treno su cui Dalvina ritorna a casa viene bombardato.




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