Casa Nostra. Qui Italia
biografia romanzata
seconda guerra mondiale
FRESCO DI LETTURA
Antonio Scurati, “Il
tempo migliore della nostra vita”
Ed. Bompiani, pagg. 267, Euro 15,30, e-book 9,99
L’8 gennaio del 1934 Leone Ginzburg fece
‘il gran rifiuto’. Disse ‘No’, che non avrebbe giurato fedeltà al regime
fascista. E non ‘per viltade’ come il papa Celestino di Dante. Quello di Leone
Ginzburg, non ancora venticinquenne, fu un atto di grande coraggio perché
sapeva perfettamente quello a cui andava incontro. L’arresto, poco dopo, la
prigione a cui, nel corso degli anni, sarebbero seguiti periodi di libertà
vigilata, altri arresti, altri imprigionamenti, il confino, fino all’ultimo
arresto- questa volta ad opera dei tedeschi con cui Leone si rifiutò di
collaborare. Lo torturarono, i tedeschi. Leone Ginzburg morì di quelle torture
nel febbraio del 1944, pochi giorni prima del sesto anniversario di matrimonio
con Natalia Levi da cui aveva avuto tre figli. Dal carcere fece a tempo a
scrivere alla moglie una lettera in cui rifulge la sua personalità- solo un
cenno alle sue sofferenze, la volontà di non cedere alla tentazione
dell’autocompassione, la generosità grande del suo amore, il testamento di
tutta una vita.
Antonio Scurati ci racconta la vita di
Leone Ginzburg nel suo nuovo romanzo “Il tempo migliore della nostra vita”, con
un titolo preso da un racconto di Natalia Ginzburg Levi- parole di accorata
nostalgia per un passato irto di difficoltà ma che era “il tempo migliore della
mia vita e solo adesso che m’è sfuggito per sempre, solo adesso lo so.” Inizia
dal tempo lontano, nel 1905, in cui il padre di Leone, originario di Vilnius ma
trasferitosi ad Odessa, ottenne il permesso dello zar di cambiare il nome,
dallo yiddish Tanchun al russo Fëdor,
e ne segue le vicende: l’Italia era nel destino di Leone se, a quanto pare, era
il frutto di una scappatella di sua madre durante una vacanza a Viareggio e il
suo vero padre era Renzo Segré. Passò anche l’infanzia in Italia, Leone- la
madre lo aveva affidato, in quegli anni di sovvertimenti in Russia, a Maria
Segré, sorella del padre naturale di Leone.
Tappa dopo tappa Scurati fa luce su
Leone Ginzburg, il giovane straordinariamente promettente che fu obbligato a
scegliere altrimenti dalla cattedra universitaria che gli sarebbe spettata di
diritto e che altri non si fecero scrupolo di accettare. Parlare di Leone
Ginzburg significa anche parlare del mondo culturale italiano, di Cesare Pavese
e dei fratelli Levi, dei due Rosselli e di Einaudi e degli albori della casa
editrice con il marchio dello struzzo. Per ampliare il quadro, ha un senso che,
parallelamente alla storia di Leone, e poi di Leone insieme a Natalia, Antonio
Scurati ci racconti anche la storia della sua famiglia, degli Scurati e dei
Ferrieri, dei nonni paterni e di quelli materni, gente della Lombardia e della
Campania, persone comuni e coraggiose dalle mille risorse e dalle molteplici
avventure, fino alla nascita dello scrittore stesso. E la Storia d’Italia sullo
sfondo, come grandi pannelli su cui scorrono titoli e notizie degli anni che
precedono la guerra e segnano l’avvento del fascismo, i trionfi di Hitler e
l’entrata in guerra dell’Italia, le sconfitte, i morti, i bombardamenti,
l’armistizio.
La prima parte del romanzo di Scurati è
molto avvincente perché Leone Ginzburg è un gigante, perché vorremmo poterci
identificare con lui, perché ci chiediamo se saremmo stati capaci di fare come
lui, perché- come dice Scurati, abbiamo nostalgia di un tempo di grandi ideali
che non abbiamo vissuto e che è lontano anni luce dal grigiore odierno.
Proseguendo la lettura, tuttavia, avvertiamo un certo disagio, ci manca
qualcosa. Ci manca l’anima. Sappiamo tutto, adesso, di Leone. Tutto quello-
ampliato, certo, con citazioni da lettere o da documenti- che potremmo trovare
anche su internet. Ma non rivive per noi. E tutta la carrellata di avvenimenti
della grande Storia, il susseguirsi delle date che li puntualizzano- resta
arida, sembra di leggere uno di quei manuali scolastici riassuntivi per gli
studenti che volevano una scorciatoia. E a noi non basta.
bello.
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