domenica 22 marzo 2020

Levi Henriksen, “Il lungo inverno di Dan Kaspersen” ed. 2020


                                                               vento del Nord
             romanzo di formazione
             cento sfumature di giallo

Levi Henriksen, “Il lungo inverno di Dan Kaspersen”
Ed. Iperborea, trad. A. Berardini, pagg. 352, Euro 17,50

     Sono andata a cercare su Google dove fosse Skogli, la cittadina (poco più di un paesino, in realtà) dove è ambientato il romanzo “Il lungo inverno di Dan Kaspersen” di Levi Henriksen. Un puntino segna la posizione, in Norvegia vicino al confine con la Svezia, il colore verde della mappa deve indicare che è isolato in mezzo ai boschi. È come immaginavo: leggendo il libro, mi sembrava si adattasse nordicamente al nostro “Cristo si è fermato a Eboli”, senza sole, purtroppo, in un paesaggio di neve che fiocca, con temperature che superano i 20 gradi sotto zero e gelano il corpo e l’anima. Un paesaggio di bianca solitudine che è quella del protagonista, Dan Kaspersen, che ritorna a Skogli poco prima di Natale: ha lasciato passare alcuni giorni dopo essere uscito di prigione, dove ha scontato due anni per spaccio di droga, prima di tornare a casa, dal fratello. Per scoprire che il fratello si è suicidato, senza lasciare nessun messaggio. E Dan Kaspersen non riesce neppure a restare in chiesa fino alla fine della cerimonia funebre. Inizia per lui quello che sembra essere un lunghissimo inverno e invece è il suo tempo interiore che si dilata in un dolore infinito.

       Dan e Jakob, sembravano gemelli, anche se uno era bruno e uno biondo, anche se c’erano due anni di differenza tra di loro. I genitori erano morti in un incidente  e loro due erano sempre insieme, Jakob adorante nei confronti del fratello maggiore. Jakob era quello a cui piaceva il ritmo tranquillo della vita di campagna, badare alla fattoria e all’allevamento di maiali. Dan era quello scalpitante che voleva andarsene da lì, senza sapere dove o a fare che cosa. E poi era stato incastrato da Kristian Thrane che gli aveva affidato il ‘lavoretto’ di consegnare della droga. Dan era finito in prigione- non solo, ormai aveva addosso l’etichetta dello spacciatore, era nel mirino dell’ispettore del corpo di polizia di Skogli che aveva un figlio tossicodipendente. Perciò, quando qualcuno irrompe nella casa dei Thrane e il vecchio nonno di Kristian viene selvaggiamente picchiato, è Dan che è automaticamente sospettato.
      Levi Henriksen ha scritto un romanzo di cui è difficile definire il genere. Perché è un mix di generi diversi- e la sua attrattiva è proprio in questo. Uno dei filoni da seguire è quello dell’indagine poliziesca. È chiaro che Dan è una vittima e possiamo anche immaginare chi ce l’abbia con lui, chi voglia farlo rinchiudere un’altra volta. Non è solo il vecchio Thrane ad essere aggredito, lo sarà anche Dan e scamperà per un soffio alla morte. E il suicidio del fratello? Difficile si fosse ucciso per una delusione d’amore, era da qualche mese che aveva lasciato la gemella di Kristian Thrane con cui era fidanzato (Jakob, fidanzato?). Un’altra narrativa è il filone ‘rosa’- Dan si sente attratto dalla ragazza madre che cerca di riinserirlo nella vita fuori dalle sbarre, ma non sa se abbandonarsi a questo sentimento (e se il padre del figlio di lei fosse Kristian Thrane?).

     Soprattutto, però, il romanzo è un’elegia dell’amore fraterno. Dan ricorda, Dan rimette insieme le memorie del passato, gli tornano in mente episodi dell’infanzia sua e di Jakob, e perfino la comunità pentecostale guidata da suo padre appare in una luce velata di nostalgia.
E in questa narrativa, che è l’autoanalisi di un uomo di trentasette anni che arriva a capire che non si può fuggire sempre, come sarebbe tentato di fare, ha un ruolo importante il personaggio dello zio, un uomo che ha perso entrambe le gambe ma non la voglia di vivere e il senso dell’humour. Un messaggio di positività per tutti.

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