martedì 3 marzo 2020

Igiaba Scego, “La linea del colore” ed. 2020


                                                          Casa Nostra. Qui Italia
                                                           biografia romanzata
  la Storia nel romanzo

Igiaba Scego, “La linea del colore”
Ed. Bompiani, pagg. 384, Euro 19,00

     Roma, 1 febbraio 1887. Arriva la notizia dei 500 italiani morti a Dogali, in Africa Orientale. La gente neppure sapeva dove fosse Dogali e che cosa ci facessero lì gli italiani. E però sapevano che erano stati dei negri a massacrarli- neppure li sfiorava l’idea che quei negri fossero dei patrioti che difendevano la loro terra.
      Quel primo di febbraio Lafanu Brown, pittrice americana con madre chippewa e padre haitiano, si era trovata  a passare per caso da piazza Colonna dove era stata presa di mira da una folla in cerca di un capro espiatorio. Non era la prima volta che Lafanu era vittima di un attacco razzista. Più di vent’anni prima, in America, era andata all’Opera con le compagne della scuola che frequentava- il ricordo della notte che era seguita e della violenza subita era indelebile nella sua memoria. Ed ora tutto si ripeteva. A Roma. La città che era stata la meta dei suoi sogni. Città d’arte idealizzata dove la bellezza si rivelava ad ogni sguardo.
Sarah Parker
      In una seconda narrativa che si alterna alla prima in cui Lafanu racconta la sua vita all’uomo che l’ha portata in salvo da piazza Colonna, la protagonista e voce narrante è una ragazza dei nostri giorni. Si chiama Leila, figlia di una coppia somala fuggita a Roma dalla dittatura di Mogadiscio, insofferente nei confronti dei genitori sempre disponibili ad ospitare i profughi dalla Somalia. Finché un giorno, ospite di un’amica che l’ha invitata per la sagra dell’uva a Marino, vede la fontana in piazza Matteotti, quella dei quattro mori incatenati. E, nell’allegria generale, Leila ha una sorta di epifania. Non riesce a staccare gli occhi da quelle statue che hanno la pelle nera come la sua, dalle due donne che hanno i capelli ricci e intrecciati come i suoi. E che stanno soffrendo, hanno paura, sembrano chiedere il suo aiuto. È in quel momento che decide che diventerà curatrice d’arte, per aiutare gli altri a ‘vedere’ quello che il mondo ha da offrire.

     Un filone nell’800 e uno a noi contemporaneo, due donne di colore ognuna con la loro storia. Lafanu ci parla di umiliazioni continue, della gratitudine dovuta alla benefattrice che si era presa cura di lei, dell’abolizionismo in America, dell’amore per un grande leader dalla pelle scura come la sua, della sua arte che non era disposta a sacrificare neppure in nome dell’amore. Dell’Europa infine. E dell’Italia, di Roma conosciuta attraverso i libri. Da Leila apprendiamo invece la straziante vicenda della cugina che aveva cercato di fuggire dalla Somalia, che sperava ingenuamente che i soldi le potessero comprare un passaggio per la libertà, che era tornata spezzata da un’esperienza per il cui orrore non c’erano parole.
     
Edmonia Lewis
Igiaba Scego intreccia queste due storie di cui la prima è la più valida e interessante. Una postfazione ci illumina sul retroscena del romanzo- era chiaro che la cittadina di Salenia in cui è cresciuta Lafanu rispecchiava Salem nel Massachussets, famosa per i processi alle streghe del 1692 nonché per essere l’ambientazione de “La lettera scarlatta” di Hawthorne. Non conoscevamo invece le due donne che hanno ispirato il personaggio di Lafanu Brown- l’ostetrica nera Sarah Parker Remond, attivista per i diritti umani, nata a Salem e morta a Roma nel 1894, e la scultrice Edmonia Lewis, nata a New York e morta a Londra nel 1907. Forse Sarah e Edmonia si erano conosciute, chissà. Di certo la loro Roma non era quella di Leila. L’Italia non aveva ancora sperimentato l’arrivo di massa dei migranti, non si era ancora irrigidita nel razzismo. Che è sempre stato latente- i quattro mori incatenati ai piedi del granduca di Toscana nel monumento di Livorno, gli altri quattro della fontana indicata da Leila a Marino, le figure di negretti spaventati che appaiono in tanti quadri, ne sono la prova.
      Bello anche il titolo del romanzo, “La linea del colore” che è quella segnata dal pennello della protagonista ma è anche la linea di demarcazione tra bianchi e neri.

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