mercoledì 4 gennaio 2023

Zora del Buono, “La marescialla” ed. 2022

                                        biografia romanzata, storia di famiglia


Zora del Buono, “La marescialla”

Ed. Keller, trad. Domenico Mugnolo, pagg. 374, Euro 18,50

 

    Un personaggio indimenticabile. Una donna indimenticabile. E se qualcuno aveva pensato che ben le si addiceva il titolo ‘la Marescialla’, il riferimento al Maresciallo Tito (che lei ammirava) era chiaro.

   Si chiamava Zora del Buono nata Otan, con un nome che rivelava la sua origine slovena, un cognome da ragazza che ricordava gli antenati arrivati dal Friuli, e il cognome da sposata che era quello del marito siciliano, Pietro del Buono (che ad un certo punto avrebbero scritto con Del maiuscolo, rinnegando la piccola nobiltà indicata dalla lettera minuscola), ed era la nonna della scrittrice che ne ha ereditato il nome.

    La storia di famiglia che Zora del Buono ci racconta prende l’avvio dagli inizi del secolo scorso, quando Zora, di soli otto anni, si fa carico dei 3 fratelli minori perché la mamma è scappata di casa. Sarebbe tornata incinta di un quarto fratellino che ovviamente non aveva lo stesso loro padre e, dopo, avrebbe avuto ancora un bambino che Zora avrebbe sentito più come un suo figlio che non un fratello. E tanto più grande sarebbe stata la delusione quando, proprio questo fratello, sarebbe andato a combattere le guerre di Mussolini, in Africa prima di tutto, dove gli italiani avrebbero usato i gas, proprio come gli odiati tedeschi avevano fatto nell’alto Isonzo durante la prima guerra mondiale.


Era stato allora, alla fine di quella guerra, che Zora aveva conosciuto il medico Pietro del Buono dai capelli rossi come tutti i discendenti dei normanni in Sicilia, lo aveva sposato e lo aveva seguito a Bari. Pietro del Buono sognava in grande, era radiologo e mirava ad aprire la prima clinica radiologica al Sud e aveva bisogno di una donna come Zora, che non aveva studiato ma era intelligente, curiosa, aperta alle nuove idee, comunista come lui. E bella di una bellezza tutta sua, con quei tratti quasi scolpiti. Affascinante e carismatica. Quando- molto, molto tempo dopo- uno dei figli la sentirà parlare ad un comizio, non potrà fare a meno di ammirarla, inchiodato ad ascoltarla come tutti quelli che si erano radunati nella piazza di Bari.

   Zora amava il bello, aveva curato nei minimi particolari la costruzione della casa di Bari, amava i bei vestiti, essere servita dalle domestiche, ma erano entrambi, lei e il marito, di una generosità senza pari, pronti ad aiutare chiunque ne avesse bisogno. E non c’era contrasto, per quanto potesse apparire così, tra questo suo circondarsi di cose belle e il comunismo. Perché comunismo per lei non era un livellamento al basso, ma l’aristocrazia alla portata di tutti.


   Zora non aveva mai dimenticato di essere slovena, era riuscita a far avere armi ai partigiani sui monti di Slovenia, Tito in persona l’aveva abbracciata. E poi Pietro del Buono aveva salvato il maresciallo in più di una occasione. Se era dispotica, Zora, se aveva imposto ai figli di non sposarsi prima dei 40 anni (non le avevano ubbidito), se aveva reso impossibile la vita delle nuore, se l’amato fratello minore era dovuto scappare in America per sfuggirle, se solo il marito (che peraltro l’aveva tradita) riusciva a sopportarla- be’, che cosa ci si poteva aspettare dalla ‘marescialla’? Non si saprà mai fino a che punto si nasca con un carattere o siano i casi della vita a foggiare il carattere.

    La parte finale del romanzo è tristissima- Zora del Buono in una casa di riposo è ancora battagliera, non ha perso niente della sua grinta. Ci dà gli ultimi frammenti di ricordi, ci aggiorna sulla sua famiglia e sul marito, enumera i morti- che strana, quella serie di incidenti automobilistici, che dolore immenso che i figli muoiano prima dei genitori. E’ forse una maledizione? Una colpa da espiare? E comunque il 1980 è la fine di tutta un’epoca, è morto Tito, muoiono Zora e Pietro, restano i nipoti, due di loro hanno il nome della nonna.

    Splendida storia di una famiglia e di un secolo di storia d’Italia e della vicina Jugoslavia (mi riesce difficile chiamarla altrimenti), raccontata con vivacità e con salti temporali che impediscono un calo dell’attenzione.

 Non potremo dimenticare la Marescialla. Da leggere.

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