martedì 10 novembre 2020

Jón Kalman Stefánsson, “Crepitio di stelle” ed. 2020

                                                      vento del Nord

                  love story

Jón Kalman Stefánsson, “Crepitio di stelle”

Ed. Iperborea, trad. Silvia Cosimini, pagg. 230, Euro 17,00

     Come si riesce a raccontare di quattro generazioni di uomini e donne della propria famiglia? Come si riesce a colmare l’abisso del tempo, a ricostruire ricordi sfilacciati? Jón Kalman Stefánsson ricorre a due espedienti narrativi per scrivere della sua famiglia- racconta la storia delle loro vite sullo sfondo grandioso della terra in cui abitano, l’Islanda che è l’elemento unificatore, e si serve di due ‘madeleines’ per seguire l’onda dei ricordi. Non hanno niente di dolce, le madeleines di un romanzo islandese, non possono che essere un sasso e una conchiglia, la terra avara e il mare che compensa, che è tutto in Islanda, porta la vita con una ricca pesca e la morte con una burrasca che sorprende chi è al largo.

    Il bisnonno aveva paura del mare. In una delle tante fasi della sua vita, quando aveva portato tutta la famiglia in una fattoria isolata nella penisola di Snæfellsness, aveva deciso che sarebbe dovuto andare a pescare per procurare del cibo. Come se fosse stato facile per uno senza esperienza e che non sapeva nuotare. Dopo una prima esperienza che lo aveva terrorizzato, il bisnonno aveva escogitato un sistema- agganciava a terra la poppa dell’imbarcazione con una corda lunghissima che, srotolandosi, gli permetteva di andare al largo sentendosi abbastanza sicuro.


    Sono tante le storie da raccontare sul bisnonno che aveva avuto un colpo di fulmine e aveva sposato una ragazza  diciassettenne- una ventina di anni meno di lui. Era un beone, il bisnonno. Era incapace di stare lontano dall’alcol e dalle donne, per quanto si proclamasse innamorato della bisnonna. E, quando era ubriaco perso, era capace di fare cose follemente stupide, come barattare un’automobile per una mucca. Una volta la bisnonna aveva messo alle strette una delle donne con cui il marito la tradiva- la donna le aveva scagliato contro una maledizione e poi si era uccisa. E la bisnonna? Giovane e bella, era stata sempre fedele all’uomo che la lasciava spesso sola ricadendo nel suo vizio? I capelli rossi del quarto figlio sono rivelatori.

    D’altro canto il bambino (lo scrittore quarantenne di adesso) è testimone della storia d’amore del padre che, nel racconto, si alterna a quella del bisnonno. Dell’inizio, dell’incontro del padre con la ragazza fantasiosa e irrequieta, sa quello che gli hanno raccontato. La mamma era morta giovane, al bambino è rimasta la compagnia dei soldatini con cui giocare, al padre quella di una donna che sorprende il bambino uscendo dalla stanza da letto del padre, una mattina. Una donna che non parla, che si chiamerà ‘matrigna’, che cucina pietanze che non piacciono né al padre né al bambino, che mangia pinne di foca.


    Ci sono dei personaggi secondari che popolano i ricordi dello scrittore- il panettiere, l’amico, il bullo che lo tormenta velando di gentilezza parole tremende che risvegliano la nostalgia del bambino per la mamma, i parenti della matrigna che vengono in visita e incutono soggezione.

    E poi, l’Islanda. I ghiacciai imponenti, le brughiere spoglie, le rocce, il mare, il freddo paralizzante (è quello che invita a bere così tanto?), i lunghi giorni chiari d’estate e le altrettanto lunghe ore buie d’inverno. Vivere in Islanda ti tempra il carattere. O ti stronca. E chiudersi nella mente, giocare con le parole, trasformare le immagini in poesia, può offrire un sollievo in un mondo in cui si capisce perché il solstizio d’estate sia salutato con tanto tripudio.

    È la poesia che pervade la narrazione di Jón Kalman Stefánsson, che tesse la tela dei ricordi- avrei avuto bisogno della lingua intera, per raccontare di loro come si deve.

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