lunedì 23 novembre 2020

Ghila Piattelli, “Resta ancora un po’” ed. 2020

                                                          Voci da mondi diversi. Israele

         love story

Ghila Piattelli, “Resta ancora un po’”

Ed. Giuntina, pagg. 204, Euro 15,00

    Resta ancora un po’- quante volte sentiamo queste parole, con quella loro richiesta di una presenza, con quella confessione nascosta di amore, nelle pagine del romanzo di Ghila Piattelli? È come un legame tra tutte le storie, tra il passato, quando a dirle ad Ahuva è stato Yonatan, il personaggio assente più presente di ogni altro, ed un tempo più recente quando è Ahuva a dirle ad Erez, amico suo e di Yonatan, il custode della memoria del ragazzo che è morto troppo presto, a vent’anni, il terzo giorno della guerra del Kippur, e poi ancora, come un passa-parola da un personaggio all’altro. Finché siamo noi lettori che vorremmo dire resta ancora un po’ a quella protagonista straordinaria che è nonna Giuditta, che sostituisce le madeleines di Proust con le lasagne, quando deve spiegarne il significato al nipotino Yoni.

    Da quando Yoni era piccolo la nonna gli ripeteva, “Se avessi potuto scegliere tra tutti i bambini del mondo sempre, ovunque e comunque, io avrei scelto te”, e allora Yoni era cresciuto con la ‘sindrome del popolo eletto’ ed era più che naturale che la nonna avesse chiesto proprio a lui di accompagnarla a visitare i cimiteri di Israele per scegliere la sua ultima dimora.

   Con una battuta macabra (soprattutto di questi tempi) potremmo dire che i cimiteri vanno di moda nei romanzi. Dimenticatevi subito qualunque altro libro abbiate letto che vi abbia portato fra tombe fiorite e vialetti curati, perché l’unico punto di somiglianza può essere lo stretto legame tra morte e vita, il messaggio che i morti non devono essere dimenticati ma neppure devono aggirarsi come fantasmi in mezzo a noi. Giuditta, Ahuva, Yoni (quando il rabbino lo chiamerà con il suo vero nome per intero, Yoni non si riconoscerà, perchè Yonatan era l’altro, figura idealizzata e per sempre giovane), Erez, e poi il marito di Ahuva, le due sorelle di Yoni, la sua fidanzatina, l’amico con cui Yoni condivide l’alloggio, sono tutti personaggi indimenticabili. Per il ruolo che hanno nel racconto, per quelle storie che vengono alla luce a poco a poco, per i sentimenti complessi e intrecciati che li legano.

   Giuditta e Yonatan sono il fulcro del romanzo- l’anziana signora che nella sua eleganza ha qualcosa della Regina Elisabetta (per Yoni andare a pranzo dalla nonna è come andare a pranzo a Buckingham Palace), che è arrivata, in allegria e stile, all’ultima tappa della sua vita, e il giovane che non è mai andato oltre la prima tappa della vita, che è stato per quarant’anni ‘un fantasma conservato sottovuoto’, nelle parole di Yoni. All’inizio del romanzo la nonna Giuditta conduce Yoni al cimitero militare dove è sepolto il suo omonimo insieme a centinaia di altri giovani (‘sembra di stare in un ostello della gioventù’, dice la nonna) ed è come se passasse il testimone, perché alla fine sarà Yoni ad accompagnare sua madre Ahuva alla tomba del ragazzo che lei ha continuato ad amare tutta la vita.

Questa è solo una delle scene o delle situazioni che- ce ne rendiamo conto a poco a poco- hanno il loro contrappunto a distanza di tempo. Tre amici nel passato, tre amici nel presente, fantasia di fuga da un matrimonio nel passato ed un’altra nel presente, una madre (che ora è nonna) e una figlia che, in qualche maniera, hanno mancato come madri, il desiderio frustrato della sorella di Yoni di diventare madre e il rifiuto di una gravidanza dell’altra sorella.

   Le gitarelle per cimiteri di Giuditta e Yoni, che saranno poi accompagnati anche dalla fidanzatina e dall’amico di Yoni, non hanno niente di triste, sono una reinterpretazione sui generis del tipico viaggio on the road, con nonna Giuditta che ha qualcosa della stravagante zia ottuagenaria di “In viaggio con la zia” di Graham Greene- si scherza molto, si ride molto, si impara molto senza sapere di imparare. Si impara molto su come leggere dentro se stessi, soprattutto. E sono gitarelle che esaltano la vita esorcizzando la morte.

    Brillante, divertente, di una profondità leggera, un racconto che oscilla tra presente e passato, una  voce narrante in prima persona (di Yoni) che si alterna ad una narrativa in terza persona che scivola, a tratti, in una sorta di flusso di coscienza così fluido che quasi non ce ne rendiamo conto- un libro che ricorderemo con dei personaggi che non dimenticheremo.

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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it



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