giovedì 21 maggio 2020

Victor Serge, “Il caso Tulaev” ed. 2005


                                           Voci da mondi diversi. Russia
la Storia nel romanzo
il libro dimenticato

Victor Serge, “Il caso Tulaev”
Ed. Fazi, trad. Robin Benatti, pagg. 417, Euro 17,50

       Lo scrittore Victor Serge non è veramente russo. Ovvero lo è, in quanto figlio di genitori russi fuggiti dalla Russia nel 1880 perché oppositori del regime zarista, ma nacque a Bruxelles nel 1890 e conobbe la sua terra d’origine solo all’età di ventotto anni. E- come lui stesso ci avverte- la verità creata dal romanziere non dovrà essere in alcun modo confusa con quella dello storico e del cronista: “Il caso Tulaev” è perciò pura invenzione letteraria. Come mai, allora, ci sembra così reale, molto più di altri romanzi a cui può essere paragonato, “1984” o “Buio a mezzogiorno”? forse perché non ha un protagonista principale. Se c’è un eroe, ne “Il caso Tulaev”, è l’assassino del suddetto Tulaev, che appare solo nel primo e nell’ultimo capitolo.
     Il libro inizia con due acquisti diversi- per aspetto e per significato intrinseco- in una triste Mosca del 1938 dove, al Gran Mercato, si trova merce di ogni tipo, per lo più molto scadente, uscita dai fondi di qualche cassetto e messa in vendita da disperati. Il giovane Kostia, operaio in un cantiere della metropolitana, compera (con gli ultimi soldi che ha in tasca) un quadretto che ritrae un volto dolcissimo di donna che lo incanta, mentre Romachkin, vicecapo dell’ufficio salari del Trust delle Confezioni di Mosca, un ometto grigio che meglio di ogni altro conosce la falsità dei presunti aumenti di salari, che ha la fissazione dei numeri (come si fa far combaciare quelli della propaganda e quelli della realtà?), compera una pistola. La bellezza da una parte, la morte dall’altra.
Seguono due azioni, anche queste una l’opposto dell’altra, entrambe soggette al caso. Passeggiando lungo il muro del Cremlino, Romachkin incontra per caso l’uomo con i baffi che sbucava dalle fotografie sui giornali, sulle gigantografie attaccate ai palazzi di quattro piani. Romachkin si trova a due metri da lui. Potrebbe ucciderlo. Non lo fa e, tornato a casa, regala la pistola al suo vicino di stanza, Kostia. Che, camminando in una strada stretta, una sera di neve, sente il rumore di un’auto che accosta, sente l’autista salutare l’uomo che ne è sceso chiamandolo per nome, ‘compagno Tulaev’. Tulaev, quello delle deportazioni di massa, quello delle purghe nelle università. E Kostia spara.

     Succede quello che tutti sanno che sarebbe successo. Qualcuno deve essere punito. Non importa chi, deve essere una punizione esemplare e si scelgono cinque capri espiatori di estrazione diversa- un intellettuale, un alto commissario di polizia, un contadino-soldato, un vecchio bolscevico e un troskista. Arrestati, fatti confessare loro malgrado quello che non hanno fatto. “Vedete compagni, se il partito lo vuole, non domando di meglio che assumermi la responsabilità di tutto”, dice uno di loro, uno fedele fino in fondo, convinto fino in fondo che “il comitato centrale avesse sempre ragione, che l’ufficio politico avesse sempre ragione, che il capo avesse sempre ragione”. E se, da una parte, uno dei cinque confessa di odiare l’Occidente, di detestare il mondo in cui vive e però di amarlo più ancora di quanto lo detesti, un altro, ben consapevole della realtà in cui vivono, si chiede invece quanti fucilati ci vorranno ancora per alimentare la terra russa e poi- “chi fucilerà i giudici se sono stati ingiusti?”.

    La risposta, cinica, terribile, inevitabile, viene alla fine, dopo che non-giustizia è stata fatta, dopo che abbiamo seguito le storie di tutti i personaggi da un angolo all’altro della Russia attraverso carestie e arresti e deportazioni e scomparse e morti. La lettera di Kostia che si autoaccusa viene letta e bruciata, “Il processo Tulaev è chiuso”, dice il procuratore. “Moriamo tutti, senza sapere perché abbiamo ucciso tanti uomini”.
      Un romanzo corale di grande potenza. La perfetta ricostruzione di un clima di menzogna, di terrore e, nello stesso tempo, di fede invincibile in un’idea.



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