sabato 18 novembre 2017

Magda Szabò, “Abigail” ed. 2007

                                            Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
              la Storia nel romanzo
              romanzo di formazione
              il libro ritrovato

Magda Szabò, “Abigail”
Ed. Anfora, trad. Vera Gheno, pagg. 290, Euro 12,00

    Una delle conseguenze più straordinarie della caduta del muro di Berlino, per gli amanti della letteratura, è stata lo spalancarsi delle frontiere della mente, la possibilità di venire in contatto con altre culture, sapere di altre vite, esperienze, pensieri. Della scrittrice e poetessa ungherese Magda Szabò (nata nel 1917 a Debrecen) la casa editrice Feltrinelli aveva pubblicato nel lontano 1964 “L’altra Ester” e solo in questi ultimi anni abbiamo potuto leggere altri suoi romanzi, “La porta” e “La ballata di Iza” (entrambi pubblicati da Einaudi), e il libro per ragazzi “Lolò, il Principe delle Fate” (ed. Anfora) che uscirà fra poco in adattamento cinematografico. “Abigail” è andato alle stampe nel 1970 in Ungheria e finalmente è arrivato a noi nell’ottima traduzione di Vera Gheno, ancora a cura della casa editrice Anfora. E quello che ci colpisce immediatamente, iniziando a leggere “Abigail”, è come sia facile per Magda Szabò cambiare registro e restare sempre una grande, anzi grandissima scrittrice. Si rivolgeva all’infanzia in “Lolò”, metteva in primo piano una donna anziana in “La porta” e poi ancora una “vecchia” e sua figlia ne “La ballata di Iza”, e ci racconta di una ragazzina quattordicenne in “Abigail”, sorprendendoci- o forse non dovremmo restare sorpresi?- con la sua capacità di immedesimazione, con l’abbondanza di dettagli con cui descrive la vita in un collegio femminile, gli innocenti giochi segreti in una comunità ristretta, le finzioni, le congiure, i sogni adolescenziali.

      “Abigail” è un romanzo di formazione al femminile durante gli anni della seconda guerra mondiale quando la vita dei singoli venne inghiottita dalla Storia e, come sempre riesce a fare Magda Szabò, la storia privata si intreccia inestricabilmente con quella pubblica, nessuno è esonerato dal prendere una posizione politica, i quesiti morali che riguardano la giovane Georgina Vitay e suo padre acquistano una risonanza più vasta, coinvolgendo altri che restano nell’ombra.
Quando Georgina viene accompagnata dal padre, un generale dell’esercito ungherese, in un collegio quasi ai confini dell’Ungheria e lontano da Budapest, rinomato per le sue regole severe, in un edificio a metà tra fortezza e prigione dove nessun estraneo può entrare, la ragazzina pensa che questa sia una punizione (per essersi innamorata del bel tenente Feri?), che sia una sorta di esilio (vuole forse risposarsi suo padre, rimasto vedovo quando lei era piccola?)- il distacco da lui, dalla  allegra zia Mimò, dal possibile fidanzato, dalle amiche, dalla città, è penoso per lei. Difficile adattarsi, alla lugubre divisa, a quella pettinatura con le trecce legate dallo spago, a fare a meno di qualunque oggetto personale, al permesso di ricevere una sola telefonata alla settimana dal padre (strano, le altre ragazze scrivono lettere, lei no) e, comunque, a non potergli dire nulla.

    La crescita di Georgina passa attraverso un avvicinamento iniziale alle compagne di classe, la stizza per un gioco in cui lei si sente offesa, il suo tradimento, il conseguente totale isolamento in cui viene abbandonata dalle altre ragazze che la ignorano, e infine il tentativo di fuga. E’ questo il punto di volta, perché Georgina viene portata indietro al collegio ma non può più ritornare ad un’ignara fanciullezza. Perché sarebbe troppo pericoloso e il padre deve metterla al corrente del segreto: il generale Vitay è uno dei capi della resistenza militare alla guerra ed è per proteggere la figlia che l’ha “rinchiusa” nel collegio, perché, in caso che lui venga arrestato, Georgina non possa essere rintracciata ed usata come ricatto per farlo parlare.
    Da questo punto la narrazione diventa più incalzante, attraverso un succedersi di eventi simili ma nello stesso tempo diametralmente opposti a quelli avvenuti nella prima metà del romanzo. Ora che Georgina sa, il collegio si trasforma da prigione a santuario, ogni limitazione sembra lieve a paragone dei bombardamenti di cui le allieve sperimentano solo la simulazione, il valore dell’amicizia si fa inestimabile a fianco della viltà del tradimento- Georgina che aveva tradito le compagne conosce ora il ben più grave, doloroso perché inatteso, tradimento dell’innamorato di un tempo che riappare all’improvviso. E ci sarà una seconda fuga, questa volta aiutata e necessaria, che si dipartirà dalla stessa casa della ex studentessa da cui Georgina aveva programmato la precedente.

     Chi conosce la Bibbia è in grado di capire subito il significato del titolo, “Abigail”, e di raccogliere altri indizi nel corso della lettura. Perché Abigail è la donna che si è umiliata davanti a re David per salvare il marito: chi si nasconde dunque dietro la statua con questo nome a cui si rivolgono per aiuto le studentesse, infilando bigliettini con le loro richieste nella sua anfora? Questa è l’ultima lezione che deve imparare Georgina: la verità è molto spesso diversa da quella che appare. E il coraggio si dimostra non solo davanti a grandi prove, ma anche di fronte a quisquilie quotidiane.
Un grande libro, una grande Szabò.

 una nuova edizione del libro, riveduta e corretta, è stata pubblicata quest'anno.
Questa recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net  

                                                                          

   

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