mercoledì 30 marzo 2016

Jorge Barón Biza, “Il deserto” ed. 2016

                                        Voci da mondi diversi. America Latina
               autobiografia
             FRESCO DI LETTURA

Jorge Barón Biza, “Il deserto”
Ed. La Nuova Frontiera, trad. G. Maneri, pagg. 251, Euro 14,45


      E’ un libro di difficile lettura, “Il deserto” dell’argentino Jorge Barón Biza. Perché è un libro doloroso, tanto più perché è autobiografico, anche se lo scrittore avrebbe voluto che i lettori non tenessero conto dei legami familiari che lo univano ai personaggi. E’ una storia che segue due filoni narrativi in cui i protagonisti sono due, sua madre Eligia e lui stesso. Un filone segue il calvario della madre, l’altro il declino del figlio.
    Tutto inizia con una tragedia non da poco: suo padre, una personalità eccentrica che aveva eretto un mausoleo di 70 metri di altezza per la prima moglie, che era di vent’anni più vecchio della seconda moglie Eligia, che aveva avuto con lei un rapporto fatto di separazioni e riunioni, di divorzi e riconciliazioni, le aveva gettato in faccia dell’acido durante l’ultimo incontro e si era suicidato il giorno dopo. Dopo i primi soccorsi ricevuti in Argentina, madre e figlio erano partiti per Milano dove operava il miglior chirurgo estetico del mondo, un dottore che avrebbe proceduto prima distruggendo quanto già fatto e poi ricostruendo. Erano gli anni ‘60, lui, il figlio, era poco più che un ragazzo, ma già beveva smodatamente, come suo padre.

Eligia, la madre, era una studiosa, una professoressa, impegnata politicamente, peronista nonostante suo padre fosse del partito avverso, una donna dalla tempra eccezionale che mostra, nei tre anni di cure, un coraggio e una sopportazione straordinari. Lui- Mario nel romanzo- beve ancora di più per reggere davanti allo scempio del viso della madre. Niente ci viene risparmiato, nelle due narrative, intramezzate da stralci di saggi politici, storie del passato, scritti del padre che era stato un famoso romanziere. Sembra che Mario guardi con distacco il viso della madre, quasi con interesse scientifico quella che era stata una faccia ed ora è scarnificata, più simile ad un teschio che ad un volto, e invece c’è una pena profonda, un dolore che cerca di tenere a bada. Mario registra le frasi dei medici ma anche le parole di spavento, gli sguardi inorriditi di chi gli capita di incontrare nei corridoi dell’ospedale, per non dire dei riguardi esagerati verso la donna durante il viaggio in aereo dall’Argentina, dettati in realtà dal timore che la sua vista possa gettare nel disagio gli altri passeggeri. La serenità altrui va protetta, la pietas viene dopo, quando si è al riparo.

Non ci viene risparmiato neppure l’abbrutimento di Mario, le scene di degradazione totale in compagnia di una prostituta con cui finisce per intrecciare una relazione, la ricerca di qualcosa da bere, non importa che cosa sia, purché sia alcol. Per essere più di una volta raccolto su un marciapiede, incapace di reggersi in piedi. Mario ha due vite, accanto al letto in clinica per aiutare la madre di giorno, nei bar di Milano con compagnie ambigue di notte. Abnegazione e pazienza di giorno, nebbia alcolica e annullamento della coscienza di notte.
E intanto emergono ricordi del coinvolgimento politico di Eligia, del carcere per lei e dell’allontanamento del figlio, degli anni di Perón (sempre chiamato ‘il Generale’) e soprattutto della bionda Evita, la donna che, nata in un misero villaggio della Pampa, era stata accolta come una regina dal Generalissimo Franco nel 1947, venerata come una santa dal popolo dopo la morte per tumore, diventata un mito. Una delle voci che correvano su di lei era che il suo corpo fosse stato mummificato e, sottilmente, siamo portati a identificare Evita con Eligia, la mummia eternamente impassibile con la donna il cui volto ha perso qualunque espressione, quella che era stata una leggenda vivente, la donna senza cultura che si era battuta per i diritti dei poveri e dei lavoratori e la professoressa che aveva lottato per allargare l’alfabetismo dei diseredati. Due donne con una tragica fine.


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