domenica 13 marzo 2016

Miguel Syjuco, "Ilustrado" 2011

                                              INTERVISTA A MIGUEL SYJUCO


  Uno scrittore filippino. Non avevo mai letto un romanzo di uno scrittore filippino- anche se, parlando di “Ilustrado”, la prima cosa da dire è che si tratta di un bellissimo romanzo, aggiungendo dopo che l’autore è filippino. E mi sentivo un poco emozionata dalla novità dell’esperienza, di conoscere uno scrittore che viene da un paese la cui voce non avevo mai sentito prima. Quando Miguel Syjuco inizia a parlare, osservo subito il bel timbro della sua voce e la sua ottima pronuncia inglese. Incomincio così a fargli la domanda che in realtà avrei voluto fargli solo alla fine.

C’è un quesito ricorrente nel suo romanzo: può esistere una letteratura filippina in inglese? Il suo romanzo è scritto in inglese, è un romanzo ‘filippino’?
   Penso di sì, perché penso che uno scrittore debba usare gli strumenti più adatti per lui. Nelle Filippine si parlano due lingue: il tagalog, che è parlato da 22 milioni di persone su 80 milioni di abitanti, e l’inglese che è parlato dalla maggior parte dei filippini. L’inglese è la lingua franca, il tagalog è una lingua artificiale, parlata nell’area della capitale. Ma ci sono più persone che parlano in inglese che in tagalog. I quotidiani sono in inglese, al governo si parla in inglese: non c’è niente di artificiale nello scrivere i8n inglese. Io volevo scrivere un romanzo sull’umanità, penso di essere prima di tutto un essere umano e in seconda istanza un filippino. Non sono neppure un rappresentante dei filippini, ma solo di una parte dei filippini. D’altra parte le Filippine sono un paese multiculturale e multilingue.

Una delle prime cose che ammiriamo nel suo libro è l’architettura, la combinazione dei diversi filoni delle diverse storie. Come è riuscito a seguirne le tracce? Come ha organizzato le storie?
   In realtà ho iniziato a scrivere il romanzo in maniera tradizionale, in una narrativa diretta, ma non funzionava. Poi un giorno stavo guardando un documentario sulla tessitura nel sud del mio paese e ho pensato che sarebbe stato interessante creare il mio romanzo con lo stesso metodo, intrecciando trame come fili per fare un disegno. Mi sono reso conto che era così che volevo scrivere: ho creato file diversi sul computer, sviluppando filoni separati- sapevo che alla fine molti sarebbero andati persi, ma la trama sarebbe risultata nitida. Ho intessuto le varie storie consapevole del fatto che non potevo usare un sistema tradizionale come collante, e ho pensato alla musica jazz e alla musica classica, a come ci sia un motivo che ritorna come leit motiv. E’ così che temi uguali di fondo si rincorrono nei vari filoni del romanzo. E poi volevo anche scrivere usando le forme di vita contemporanea, per non essere distaccato dalla realtà odierna. Oggi abbiamo blogs, internet, pettegolezzi, conversazioni, stralci di notizie attraverso cui percepiamo il mondo. Volevo usare tutto questo per dipingere il mondo nel mio romanzo.

Non è usuale che uno scrittore metta se stesso, con il suo nome, nel romanzo che scrive: perché lo ha fatto?
    E’ vero: in genere gli scrittori amano mettere qualcosa di sé nelle loro opere ma nascondendosi dietro un altro nome. Ho pensato che volevo onestà nel romanzo, traggo dalle mie esperienze per scriverne, è un libro visto dalla mia prospettiva. Ho deciso anche di non esagerare: Miguel non è me, c’è qualcosa di me in tutti i personaggi. Ognuno rappresenta una parte di me, che cosa potevo diventare, le mie debolezze…

E, chiaramente, Crispin è un suo doppio: quali possibilità aggiungeva, il personaggio di Crispin, alla sua narrazione?
     Volevo soprattutto mostrare come ci siano gli stessi problemi ricorrenti, di generazione in generazione. Per cinquant’anni tutte le persone colte e privilegiate hanno avuto gli stessi problemi e sono state incapaci di trovare una soluzione. Tutti hanno la stessa incapacità a prendersi delle responsabilità- anche un secolo e mezzo fa gli ‘ilustrados’, gli ‘illuminati’, avevano gli stessi problemi. Volevo mostrare come Crispin e Miguel, separati da quaranta anni, abbiano gli stessi quesiti, volevo dare l’impressione che si potesse prendere una decisione per cambiare qualcosa, che si poteva essere più socialmente impegnati e non lasciarsi amareggiare dalla vita. Crispin è come un avviso per Miguel: in un certo senso questo è un romanzo di formazione sia per Crispin sia per Miguel.

Tra i diversi filoni ce n’è uno particolarmente buffo, con il personaggio di Erning, il Forrest Gump della situazione, un poco il buffone. Ha lo steso ruolo del fool scespiriano, per alleviare la storia?

    Suppongo che tutto l’umorismo abbia questa funzione. Più che un fool, un buffone, è un innocente- e questo dice molto sul mondo di oggi. Forrest Gump è l’innocente che non perde la sua innocenza, mentre Erning sì: volevo tracciare la perdita di quella innocenza e creare quel modello che si ripete in figli e nipoti, nelle generazioni.

La storia di famiglia di Miguel, con il padre assassinato all’aeroporto, ci fa pensare a Benigno Aquino, l’uomo politico che fu assassinato in circostanze analoghe. Che cosa rappresenta Benigno Aquino per le Filippine?
    Benigno Aquino è il nostro martire. Siamo un paese cattolico e abbiamo un grande amore per i martiri. Crediamo che il più grande martire sia Gesù Cristo. Il mio è un libro di domande e non di risposte e sia Crispin sia Miguel si chiedono se possano focalizzarsi solo sul loro lavoro, se la vita abbia un significato se non si è pronti a dare la vita, a sacrificarsi per il proprio paese. E’ questa la domanda all’ombra del personaggio martire di Benigno Aquino: è epico, è grandioso che questa sia l’unica maniera per salvare il nostro paese. Benigno Aquino è il segno della distanza che intercorre fra quelli che sacrificano tutto e quelli che pensano solo a sé e alla loro vita.
l'assassinio di Benigno Aquino nel 1983
C’è una scena del libro a cui ho pensato spesso, in questi giorni dopo lo tsunami in Giappone. E’ la scena di Miguel e la ragazza nell’automobile travolta dall’acqua. Ora mi pare stranamente profetica: accadono di frequente alluvioni del genere nelle Filippine?

    E’ strano, ma, da quando ho incominciato a scrivere il libro, nel 2009, ho visto accadere molte delle cose di cui parlo- elezioni, violenze, scandali, alluvioni…Sono successe molte delle cose descritte. Non sono Nostradamus: penso che accada perché il libro è un riflesso di problemi ricorrenti. Le alluvioni sono uno di questi perché mancano le infrastrutture nelle Filippine, non si draga, si disbosca illegalmente, ci sono quindi smottamenti di terreno…E’ tutto conseguenza di problemi irrisolti.

L'intervista è stata pubblicata su www,stradanove.net




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