domenica 8 novembre 2015

Orlando Figes, “La danza di Natasha” ed. 2004

Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
        la Storia nel romanzo
       il libro ritrovato

Orlando Figes, “La danza di Natasha”
Ed. Einaudi, trad. Mario Marchetti, pagg. 610, Euro 48,00



C’è un’immagine che viene in mente, leggendo il titolo de “La danza di Natasha” di Orlando Figes, quella di un’incantevole Natasha con gli occhi di cerbiatto di Audrey Hepburn che balla con il principe Bolkonskij nel film “Guerra e Pace”. E invece non è questo ballo che vuol richiamare il titolo del libro, ma una danza popolare al suono della balalajka in una dacia, a cui la Natasha di Tolstoj si unisce trovando per istinto i passi giusti seppur così diversi da quelli del ballo con Andrej- la danza di Natasha diventa il simbolo dell’incontro tra due mondi che coesistono in Russia, la cultura europea delle classi elevate e la cultura russa dei contadini. Il libro di Figes è un viaggio affascinante dentro la cultura russa, articolato in capitoli che prendono in esame, di volta in volta, San Pietroburgo e Mosca- e quello che le due città rappresentano-, l’impatto della guerra del 1812 contro Napoleone, l’idealizzazione della campagna e dei contadini, l’aura misticheggiante dei monasteri alla ricerca dell’anima russa, l’influenza mongola, per finire con il passaggio dalla Russia all’Unione Sovietica e la nostalgia degli esuli. Si termina la lettura con un’idea di ricchezza, un arricchimento personale che ci è stato dato dall’esserci affacciati su un paese in cui la vastità degli spazi è accompagnata da un’abbondanza di suggestioni che si sono riversate in opere straordinarie della letteratura, della musica, della pittura, del ballo.
Un’intensità che sembra nascere dalla polarità stessa della Russia, dalla tensione tra la grandiosità architettonica di San Pietroburgo, la città leggendaria costruita come un’opera d’arte, la finestra verso l’Europa che, per volontà dello zar Pietro, doveva imporre uno stile di vita occidentale ai rozzi russi, e l’anima arcaica del regno di Pietro- Mosca, simbolo della madre Russia, il luogo dove si sono conservati gli antichi costumi russi, Mosca, la capitale senza una corte, la città del divertimento. E’ un divario che si ripresenta nell’ambiguità dei sentimenti verso le origini mongole, rifiutate perché così apparentemente inferiori agli esempi occidentali, eppure attraenti per quel non so che di selvaggio delle steppe, oppure nel linguaggio- dapprima solamente il francese nelle classi alte, per rivolgersi poi al russo, inadeguato, da coltivare, da parlare, da scrivere, da scoprire, dopo che la Francia diventò il nemico nel 1812, o ancora nella musica e nel balletto, dove la violenza ritmica di uno Stravinskij lascia avvertire il rullo dei tamburi della grande guerra e della rivoluzione del 1917.
Ognuno dei grandi scrittori russi, Cechov e Gogol, Dostojevskij e Tolstoj, Puskin e Gončarov, trova la sua collocazione nelle pagine del libro di Figes, illuminandole e venendone illuminato, come pure i poeti, la Achmatova e Majakovskij, i cui versi acquistano un significato più pieno, o i pittori- prima dello stravolgimento della cultura durante il regime sovietico e il silenzio che ritrova la voce con gli esuli, superstiti di un mondo scomparso, incapaci di vivere nella Russia sovietica, malati di nostalgia all’estero. Un libro che permette a tutti di avvicinarsi alla cultura russa, che invoglia a leggere altro, o a rileggere, certi di capire meglio dopo questa lettura.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net




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