martedì 10 febbraio 2015

Lisa Genova, "Still Alice" ed. 2015

                                     Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
                                                                     FRESCO DI LETTURA


Lisa Genova, “Still Alice”
Ed. Piemme, trad. Laura Prandino, pagg. 293, Euro 16,90, e-book Euro 6,99
Titolo originale: Still Alice


     Avrebbe voluto proseguire e invece si bloccò. Si guardò indietro, dall’altra parte dell’incrocio. La donna dai capelli a paglietta perseguitava un altro peccatore lungo il passaggio. Il passaggio, l’hotel, i negozi, le strade si snodavano senza logica. Sapeva di essere in Harvard Square, ma non sapeva da che parte fosse casa sua.


“Questa è la storia più triste che abbia mai raccontato”: ho pensato alla frase iniziale del romanzo “Il buon soldato” di Ford Madox Ford, leggendo “Still Alice” di Lisa Genova. Ho pensato- anche se non è affatto una tragedia di amore e morte come “Romeo e Giulietta”- al verso di Shakespeare “For never was a story of more woe”, “mai ci fu una storia di più grande dolore”, per quella parola, ‘woe’, che è quasi un gemito: la storia di Alice Howland, a cui è stata diagnosticata una forma presenile di Alzheimer, è la storia più triste e dolorosa che abbia mai letto. Nel giro di due anni Alice, un dottorato in psicologia, insegnante di psicologia cognitiva alla Harvard University, ricercatrice nel campo della linguistica che ha tenuto conferenze in tutto il mondo, non è più indipendente, non è più in grado di leggere, non è capace di vestirsi, non sa riconoscere la propria casa e, quello che è infinitamente peggio, non sempre riconosce il marito e i tre figli. Forse neppure una malattia terminale può essere una sorte peggiore. Proprio perché questa ha davanti un termine, mentre il futuro di Alice si allunga informe davanti a lei, infinitamente diversa da quella che era e tuttavia sempre la stessa persona, still Alice nonostante tutto.

   Inizia con una parola che non le viene in mente, mentre sta parlando ad un seminario dell’Università di Stanford. Forse è colpa del bicchiere di champagne. O del jet lag. Poi dimentica sbadatamente il BlackBerry al ristorante. Capita a tutti, no? Poi, durante la sua corsa giornaliera per mantenersi in forma, non sa dove si trova, quando si ferma. Sa di essere in Harvard Square, quante volte è passata di lì?, eppure non ha la minima idea di dove debba dirigersi per andare a casa.

   Il seguito è un passo dopo l’altro, una caduta vertiginosa alla fine, verso l’abisso della perdita di sé. Ogni passo è un frammento di memoria o di capacità connettiva che si smarrisce e noi assistiamo allo sconcerto, l’incredulità, poi la certezza, la speranza nelle cure per arrestare o rallentare il deterioramento, il senso di colpa per aver tramandato ai figli e forse anche ai nipoti un patrimonio genetico imperfetto. Proviamo la stessa fitta al cuore del marito quando Alice lotta per mettersi un reggiseno, scoprendo che non ce la fa perché ha in mano un paio di mutandine, e lo comprendiamo quando, nonostante l’amore che la lega a lei, non rinuncia all’offerta di lavoro a New York: non è per mancanza di amore, il contrario anzi, se rifiuta di prendersi l’ultimo anno sabbatico insieme ad Alice. Come potrebbe resistere tutto il giorno, tutti i giorni di tutto un anno a vedere come si sta riducendo la moglie, avendo in mente quello che era?

     Lisa Genova, laureata in neuropsichiatria a Harvard e studiosa del cervello e delle sue malattie, ha scritto un libro bellissimo sul dramma di una donna che a poco a poco non riconosce più se stessa, sullo strazio di chi le vuol bene che assiste impotente al disintegrarsi delle sue capacità, sulle difficoltà di organizzare la vita quotidiana di un ammalato di Alzheimer che deve essere sorvegliato in ogni attimo della giornata. Stupisce, nel libro di Lisa Genova, la capacità della scrittrice di essere nello stesso tempo scienziata e romanziera, di essere esauriente, senza mai essere pedante, nell’analisi clinica della malattia e di immedesimarsi nella mente di Alice e dei famigliari che la circondano, di creare su carta dei personaggi vivi impossibili da dimenticare e di raccontarci l’incalzare dei giorni di due lunghissimi anni in discesa con un linguaggio preciso, curato, bello da leggere. Stupisce ancora di più che abbia dovuto pubblicare a sue spese la prima edizione del libro. Il successo che è seguito e il film che ne è stato tratto, con l’interpretazione di Julianne Moore, sono il più che giusto riconoscimento.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




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