venerdì 28 giugno 2024

Radikha Jha, “La foresta nascosta” ed. 2024

                                                         Voci da mondi diversi. India


Radikha Jha, “La foresta nascosta”

Ed. Sellerio, trad. Gioia Guerzoni, pagg. 319, Euro 17,00

     Suo padre è morto. Kōsuke, che da anni vive in America, tra New York e Los Angeles dove ha acquistato una certa notorietà programmando effetti speciali per il cinema, deve tornare in Giappone. Se la prende comoda, Kōsuke, non riuscirà neppure ad essere presente al funerale, e questo dice già tutto della distanza che si è creata, non solo geografica ma anche di relazione personale, tra lui e la sua famiglia. Quando arriva a Tokyo e incontra la sorella, viene subito calato in un altro mondo, in un altro genere di preoccupazioni.

    Il padre di Kōsuke era un sacerdote scintoista. Kōsuke aveva sempre sentito il padre lontano da lui, preso come era nella gestione del piccolo santuario, nell’organizzare le cerimonie, nell’occuparsi della comunità. Si sentiva più legato all’altro sacerdote, ormai anziano, che diventa adesso per lui un ponte tra presente e passato, che gli rivela il carattere del padre e la sua nascosta grandezza, la sua dedizione totale al servizio del santuario e dei fedeli.


    La situazione non è affatto semplice- che cosa vuol dire ereditare un santuario? Che cosa è chiamato a fare, Kōsuke? E se rinunciasse e lasciasse il santuario alla sorella? Prima di tutto c’è il problema economico. Tutti i santuari sono in difficoltà in Giappone, gravati dalle tasse, soggetti a pressioni ricattatorie dalla yakuza che mira ad acquistare i terreni su cui sorgono per costruire complessi immobiliari al loro posto. Il padre di Kōsuke  aveva già dovuto sacrificare la lussureggiante foresta che illuminava i ricordi dell’infanzia di Kōsuke.

    Kōsuke non ha il minimo dubbio, appena arrivato. Si sbarazzerà del santuario e tornerà in America dove, oltre al lavoro, ha un legame importante con una donna a cui- altra decisione da prendere- vorrebbe chiedere di sposarlo. Poi iniziano i dubbi, i tentennamenti, l’ondata di ricordi, i confronti.

Meiji Jingu di Kengo Kuma

   Sono duplici i confronti che sorgono spontanei nella mente di Kōsuke, perché il ritorno di questo Ulisse dei nostri tempi è diverso eppur stranamente simile a quello dell’eroe greco. Non sono gli altri che non riconoscono Kōsuke, come avviene per Ulisse, ma è lui che non si raccapezza più, non riconosce la nuova Tokyo occidentalizzata che ha perso la sua anima, che ha distrutto per ricostruire senza tener conto della cultura millenaria che era dietro a quello che abbatteva. Kōsuke riconosce che Kengo Kuma è un genio dell’architettura, ma dove è finito il bel santuario di legno di una volta? Quello che Kōsuke vede, quello che attrae più turisti e più soldi, è un santuario finto, come è finto il sacerdote sugli scalini. Come è possibile che abbiano costruito degli edifici così alti da dominare i tetti della dimora dell’imperatore? Nel nuovo Giappone, nella nuova Tokyo, è venuto meno il rispetto, si è persa la sacralità.

Kengo Kuma

    Invece della Penelope che aspetta Ulisse, Kōsuke incontra una compagna di scuola- è lei a riconoscere lui e sarà poi, invece, la fidanzata americana a trovarlo cambiato, quasi irriconoscibile, quando lo raggiunge a Tokyo. La compagna di scuola ritrovata è una donna infelice, Kōsuke potrebbe anche innamorarsi di lei ma sarebbe aggiungere pericolo a pericolo. Perché, se Kōsuke aveva iniziato a capire il peso che la yakuza (la maggiore organizzazione criminale del mondo) aveva avuto nel lento declino del santuario del padre esaminandone i conti, adesso che le minacce si sono fatte più pesanti e concrete, Kōsuke capisce che non è solo la sua vita ad essere a rischio.

    Edward M. Forster aveva scritto, nell’esergo di “Passaggio in India”, “Only connect…”. Erano altri tempi, c’era l’esigenza di connettere l’Oriente con l’Occidente, c’era la speranza che si potesse fare. È ancora possibile connettere l’Oriente con l’Occidente? O è troppo tardi e la cultura (o non-cultura) occidentale ha fagocitato quella orientale, impregnata di silenzio, di oscurità (i kami non vogliono la luce, ripete spesso Kosuke), di presenze invisibili, di tempo lento?

“La foresta nascosta” di Rhadika Jha è un libro bellissimo che ci porta in un Giappone inedito, che ci fa meditare.



 

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