mercoledì 19 giugno 2024

Natascha Wodin, “Veniva da Mariupol” ed. 2018

                              Voci da mondi diversi. Area germanica

seconda guerra mondiale
romanzo autobiografico

Natascha Wodin, “Veniva da Mariupol”

Ed. L’Orma, trad. M. Solari e A. Ruchat, pagg. 380, Euro 19,95   2018

 

    Era una bambina l’io narrante della storia, la scrittrice stessa, quando sua madre si era gettata nel fiume. Aveva solo trentasei anni e il padre le ripeteva sempre che anche lei, Natascha, era pazza come sua madre Evgenija. Dopo aver letto il libro comprendiamo tanto di Evgenija e non ci stupiamo affatto della sua ‘pazzia’.

    Natascha sapeva ben poco di sua madre fino a quando si era imbattuta per caso nel suo nome su un motore di ricerca russo. Inizia così un’indagine che occupa tutta la prima parte del libro, un’estenuante ricerca in cui riceve un costante aiuto da un greco appassionato di alberi genealogici- lei non avrebbe mai immaginato che a Mariupol, in Ucraina, ci fosse una comunità di greci e anche una di italiani. Molto spesso le indagini sono frustranti, le difficoltà sembrano insormontabili, spesso sembra si arrivi ad un punto morto. Poi, quasi per miracolo, spuntano delle prove di questo mondo scomparso, dal nulla appaiono fotografie. La nonna materna di Natascha era italiana e apparteneva ad una famiglia ricca, quella paterna aveva origini nobiliari e sua madre aveva avuto (o aveva ancora?) un fratello che era un cantante d’opera e una sorella maggiore, Evgenija era nata a molti anni di distanza da fratello e sorella, in una foto sua madre appare con i capelli bianchi (leggeremo come le erano diventati bianchi in una sola notte) e poi, dopo che era partita per raggiungere la figlia più grande, era scomparsa, non si era saputo più nulla di lei.


   In seguito a questa paziente ricerca, Natascha scopre di avere una numerosa famiglia, fortemente colpita dagli eventi drammatici del secolo XIX, il secolo della Rivoluzione Russa, di Stalin e di Hitler, di quella che in unione Sovietica veniva chiamata la Grande Guerra patriottica, dei campi di sterminio nazisti e dei Gulag, delle famigerate purghe staliniane, dell’ Holomodor, il genocidio per fame degli ucraini in seguito alla collettivizzazione, il lavoro forzato degli Ostarbeiter, deportati dai nazisti in Germania.

   È questa storia poco conosciuta che la scrittrice ci racconta nella seconda parte del libro. Perché abbiamo letto molto, anzi moltissimo, sul genocidio degli ebrei e sui campi di concentramento, e quasi nulla, invece, sui lavoratori dell’Est che, indispensabili e facilmente rimpiazzabili, costituivano la mano d’opera nelle fabbriche sostituendo gli uomini tedeschi al fronte. Non c’era poi molta differenza tra i campi in cui venivano rinchiusi gli ebrei e quelli di questi lavoratori che dovevano cucire la scritta ‘Ost’ sulla giacca o sull’abito. Erano alloggiati in baracche sovraffollate, sottonutriti, mangiati vivi da pidocchi e altri insetti, forzati a lavorare fino allo sfinimento.


   La scrittrice non ha una documentazione a cui ricorrere per ricostruire la vita di sua madre in uno di questi campi, si basa su altre testimonianze, costruisce ipotesi sulla sua vita quotidiana. Ipotizza anche quando lei stessa sia stata concepita- sua madre era sposata quando era stata deportata-, forse non si era neppure accorta di essere incinta, nelle condizioni di deperimento fisico in cui si trovava. E poi c’è il ‘dopo’, la fine della guerra quando i ‘displaced people’ erano milioni. Sarebbero stati rimpatriati? E chi non voleva tornare perché sapeva sarebbe andato incontro a morte certa, avendo lavorato in una fabbrica tedesca ed essendo quindi considerato un collaborazionista?


   I Wodin (il loro cognome ha subito alcune varianti) rimasero in Germania, ma qui inizia un altro capitolo della loro vita, non meno difficile, in condizioni non meno squallide di cui la scrittrice (bambina all’epoca) ha qualche ricordo. Per sua madre era stato il culmine di un’esistenza tragica- la soluzione più facile era porvi una fine.

   Se la prima parte del libro è più fredda e ci incuriosisce senza appassionarci, questa seconda, in cui leggiamo anche il diario della sorella maggiore di Evgenija e Natascha entra in contatto con un cugino che è tuttora vivo in Siberia, è appassionante. Una lettura che definirei indispensabile.



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