domenica 15 agosto 2021

Jean Luc Bannalec, “Oro bretone” ed. 2021

                                  Voci da mondi diversi. Area germanica

cento sfumature di giallo

Jean Luc Bannalec, “Oro bretone”

Ed. Neri Pozza, trad. Giulia Cervo, pagg. 269, Euro 18,00

 

     È il sale, l’oro bretone. Candido e non giallo ma prezioso come l’oro, da sempre. E- diciamolo subito- se non fosse per tutte le restrizioni del momento, partirei immediatamente per la Terra Bianca, o Gwenn Rand, come in lingua bretone viene chiamata la distesa salina del territorio della Guérande. Perché le descrizioni di Jean-Luc Bannalec (pseudonimo di uno scrittore tedesco) nel romanzo “Oro bretone”, terzo della serie che ha per protagonista il commissario Dupin, ne fanno un paesaggio magico, soprattutto quando l’estate sembra non voler morire mai e i colori dei riquadri di terra sono di un bianco latteo che pare riflettere il cielo. È più quello che non si vede che quello che si vede, dice la gente di laggiù, alludendo a folletti o ad altri personaggi di miti e leggende. Quando poi  a queste presenze elusive si aggiunge, come nei giorni dell’indagine di Dupin, un canguro- sì, proprio un canguro australiano-, c’è qualcosa di veramente surreale nell’atmosfera.


     È stata la giornalista Lilou Breval a suggerire a Georges Dupin di andare a dare un’occhiata alle saline per cercare delle botti di plastica blu. A quanto pare, botti di questo tipo sono molto comuni e anche molto usate per molteplici scopi. La loro caratteristica è che sono fatte di un materiale che, dopo l’uso, difficilmente serba traccia del contenuto. E però qualcuno spara a Dupin, che si aggira incantato nelle saline. Si rifugia in un capanno, quel ‘qualcuno’ gli blocca la porta dall’esterno, il suo cellulare non ha campo…

     Questo l’avvio del romanzo. Se Dupin pensava che la giornalista lo avesse mandato a fare un’ispezione inutile, la sparatoria prova che i suoi sospetti hanno delle fondamenta. Nessuno spara ad un commissario se non ha nulla da nascondere. Seguiranno altri morti…e intanto noi, insieme a Dupin, scopriamo molte cose, alcune che spiegano quello che sta accadendo e sono collegate all’economia del sale bretone- rivalità tra diversi produttori e conflitti di interesse nello sforzo di sfruttare al massimo le potenzialità dell’oro bianco che viene reclamizzato come unico nella sua purezza- e altre che solleticano la nostra curiosità, su usanze e specialità culinarie, sull’unicità della salsiccia bretone, modi di dire e costumi locali, sull’orgoglio dell’appartenenza celtica.


     Una bella ambientazione, dunque, una trama che, dopo tutto, ‘si svolge’ in Bretagna ma, per le motivazioni che portano ai delitti, potrebbe svolgersi ovunque nel nostro mondo che ha perso la coscienza etica del bene comune e suscita in noi un certo disagio, un timore che cerchiamo di sopprimere, e infine due personaggi accattivanti, uno il doppio dell’altro- il commissario Georges Dupin e la sua omologa, Sylvaine Rose, commissario della Guérande. Lui parigino, lei bretone. Sembra quasi che lo scrittore inverta di proposito le caratteristiche che, in maniera stereotipata, si attribuiscono al genere maschile e femminile. Lui viene ferito, lei ha una forte attitudine al comando, lui deve accettare un ruolo subordinato, lei ha una guida spericolata e un piglio deciso, ci sono parentesi amorose per lui, mentre della vita privata di lei sappiamo poco o nulla. E tutto è spruzzato di una leggera ironia.

      Un bel thriller per l’estate, tenendo in mente il proverbio bretone: Prima di arrivare a conoscersi, bisogna consumare insieme sette sacchi di sale.

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