domenica 19 ottobre 2014

Roberto Ampuero, "Il sicario di Fidel" ed. 2011

                                                Voci da mondi diversi. America Latina
                                                             cento sfumature di giallo
    il libro ritrovato    

Roberto Ampuero, “Il sicario di Fidel”
Ed. Garzanti, trad. Stefania Cherchi, pagg. 345, Euro 19,60

      Il grande poeta Pablo Neruda aveva rubato la scena a Cayetano Brulé già nel romanzo precedente di Roberto Ampuero, “Il caso Neruda”. In questo nuovo libro, “Il sicario di Fidel”, è nientedimeno che Fidel Castro a soppiantare il proletario dell’investigazione, il detective di Valparaíso che è nato a Cuba e sfoggia dei baffoni alla Pancho Villa, nel ruolo di protagonista. Perché ancora una volta Roberto Ampuero tesse una storia di delitti, di inseguimenti, di misteri e di indagini per raccontarci una parte della storia dell’America Latina. Una parte piccola, vista da un’angolatura ristretta, ma che lascia immaginare un quadro più ampio.
   L’azione dura poco meno di due mesi, dal 5 gennaio al 26 di febbraio. Inizia a L’Avana, con l’arresto del generale Horacio De la Serna, accusato di aver diretto l’operazione Foros con l’obiettivo di uccidere ‘il Comandante’. Osserviamo tra parentesi che questo personaggio- che verrà condannato a morte- porta il secondo cognome (quello della famiglia materna) di Ernesto Che Guevara, una delle molte persone vicinissime a Fidel (di certo il più famoso) che ad un certo punto scomparvero, vittime di agguati, incidenti, esecuzioni. Come Camilo Cienfuegos. O il generale Ochoa.
L’operazione Foros era stata programmata da Revolucion Democratica, il partito dei cubani espatriati a Miami che continuavano a tramare per abbattere il regime di Fidel e poter così ritornare in possesso delle loro proprietà sull’isola. Anche se Fidel era convinto che ci fosse la Cia dietro di loro. Niente affatto, anzi. Da adesso la trama si fa serratissima seguendo filoni diversi: il cubano che è a capo di Revolucion Democratica contatta l’unico uomo che può essere in grado di uccidere Fidel, mentre la Cia contatta il nostro Cayetano Brulé perché scopra chi sia il killer. Ci penseranno poi gli uomini della Cia a fermarlo. Perché, nonostante tutto, gli Stati Uniti non vogliono che cambi qualcosa a Cuba, non è nel loro interesse in questo momento.

     Da Miami ad un’isola sperduta nell’estremo Sud del Cile per contattare il sicario: vive qui, in totale isolamento l’uomo disilluso che aveva combattuto nelle Truppe speciali cubane e che si lascia convincere a tornare in campo. Dall’isola di Chiloé a Berlino e poi a San Pietroburgo: questo il percorso del killer che arriverà a Cuba dopo aver affidato un cane ad un diplomatico (strapagato per tenere il cane nel suo giardino a L’Avana). Mentre invece Cayetano vola dal Cile a Chicago, irretito dalla Cia che non gli lascia alcuna possibilità di rifiutare l’incarico. Si metterà poi sulle tracce del killer seguendo le orme del mandante. Destinazione finale: L’Avana.
    E’ inutile dire che la nuova ‘indagine’ di Cayetano Brulé è singolare: non deve scoprire l’assassino per inchiodarlo con la sua colpa, ma deve scoprirlo per impedirgli di uccidere un uomo che- e noi lettori lo sappiamo benissimo- non ucciderà. ‘L’uomo con la barba’ (o ‘il Comandante’) si aggira in tutto il romanzo, un Fidel stanco e ammalato che soffre di insonnia e di notte scivola in auto lungo le strade dell’Avana, scortato e accompagnato da fedeli guardie del corpo. Governa un’isola passiva che si è arresa nell’inerzia, che aspetta che prima o poi il Comandante muoia di morte naturale.
   C’è un filo conduttore tra “Il caso Neruda” e “Il sicario di Fidel” ed è il tema della desolazione per la fine di un’utopia, vista attraverso l’occhio di Cayetano, il ‘private eye’. Cayetano era giovane nel primo romanzo quando era testimone della fine di Allende in Cile. Ora, quasi quarant’anni più tardi, l’utopia si sta sgretolando nella sua roccaforte più luminosa e Cayetano si interroga se sia giusto quello che sta facendo, ritardandone la fine.

      Anche se sappiamo che Fidel non è stato ucciso in un attentato, siamo trascinati nella vicenda, un po’ perché il brivido c’è (muoiono altri, al posto di Fidel), un po’ perché siamo incuriositi dai dettagli del piano e poi perché siamo conquistati dal fascino decadente di Cuba e dalla sua arte della sopravvivenza.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


Nessun commento:

Posta un commento