martedì 7 ottobre 2014

Amitav Ghosh, "Mare di papaveri" - Intervista del 2008


                                                      Voci da mondi diversi. Asia



INTERVISTA AD AMITAV GHOSH, autore di “Mare di papaveri”

Incontrare Amitav Ghosh è sempre un’esperienza speciale. Ci sono degli scrittori che ti danno subito l’impressione, appena li incontri, di avere molto da dire, da comunicare. Sai immediatamente, quando iniziano a parlare, che ti offriranno molto su cui riflettere. Amitav Ghosh, che è nato a Calcutta nel 1956, ha studiato a Oxford e divide la sua vita tra la città natale e New York, è uno di questi. Abbiamo parlato con lui del suo nuovo romanzo ambientato al tempo della Guerra dell’Oppio.


Perché ha scelto questa data e questo momento per la storia dell’India?
    Perché penso che quello fu un momento cruciale per la storia mondiale. In genere pensiamo alla Rivoluzione francese come al momento cruciale dopo il quale ci furono grandi cambiamenti, ma fra cinquant’anni credo che sarà la guerra dell’oppio ad essere considerata tale, perché se la Rivoluzione francese e altri momenti dell’800 hanno gettato le fondamenta per la storia del secolo XX, la guerra dell’oppio getta le fondamenta per quella del secolo XXI. Gli anni ‘30 del secolo XIX sono molto interessanti. Sono il momento in cui inizia una grande emigrazione che è destinata a cambiare la struttura demografica di alcune parti del mondo. E’ anche un periodo interessante per il rapporto economico tra l’India e la Cina: il capitalismo di oggi deriva dal commercio dell’oppio. Tanti enti moderni sono fondati sui proventi della guerra dell’oppio.

Nel romanzo una serie di personaggi, un pezzo di realtà indiana, finiscono sulla stessa nave. Che cosa era l’India in quel momento? Come era socialmente e culturalmente?

     L’India era in uno stato di rivolgimenti, stavano nascendo le città di Bombay e di Calcutta…Ci sono somiglianze bizzarre con situazioni di oggi- pensiamo alle prigioni di Guantanamo. Gli inglesi avevano delle prigioni nelle isole di tutto l’Oceano Indiano. Ci sono fotografie di prigionieri interamente nudi in procinto di essere deportati che fanno pensare alle foto dei detenuti di Guantanamo.

Il romanzo sembra un grande arazzo lavorato con tanti fili che formano un’immagine: come lavora a comporre un quadro così complesso e multicolore senza perdere i fili?
    E’ semplice: ho guardato gli elenchi degli equipaggi e delle persone che viaggiavano a bordo delle navi di migranti dal Bihar. I capitani delle navi erano americani, australiani o inglesi, i marinai erano indiani- una volta poi che cerchi di pensare chi erano queste persone individualmente raggiungi questa complessità. E’ un libro su una nave: la giustapposizione di vite diverse nello spazio angusto di una nave.

Ciascuno parla la sua lingua nel romanzo- Lei ha parlato del ‘rumore di fondo’ dell’India; sappiamo anche che, nelle sue ricerche, ha anche scoperto lingue perdute…Come è riuscito a creare questo composito linguistico?
    La lingua dei lascari, l’equipaggio di bordo, era molto interessante- guardando le liste del personale di bordo delle navi, mi sono reso conto che l’equipaggio era formato da cinesi, malesi, indiani, africani, e mi sono chiesto, ‘ma come funzionava? Come riuscivano a dare ordini?’ E ho avuto l’intuizione che ci dovesse essere una lingua comune. Ho trovato, infatti, un dizionario del 1812 con il linguaggio ‘di bordo’: fu una scoperta eccitante, ho trovato che molte parole erano portoghesi, e infatti molte parole indiane, ormai radicate nell’uso comune, sono portoghesi, anche se non sappiamo più che hanno questa origine. Non ci sono confini tra le lingue, c’è un passaggio fluido da una lingua all’altra- me ne accorgo io stesso, l’inglese che parlo qui non è lo stesso che parlo in India…La mia traduttrice italiana, Anna Nadotti, è stata bravissima, è stata capace di trovare il registro giusto per queste lingue. L’inglese è una lingua ricca di registri e di sottoregistri, forse l’italiano non lo è altrettanto, ma Anna Nadotti è riuscita a trovare il linguaggio giusto.

Oltre alle ricerche negli archivi, è vero che ha fatto anche ricerche ‘sul posto’, andando nei Carabi, ad esempio, per imparare a manovrare una goletta?
    La parte delle ricerche è, per me, la parte più divertente. E’ stato divertente veleggiare nei Carabi, ed è l’esperienza che ti dà il senso di connessione tra le varie cose. E poi, nelle ricerche, ti imbatti in cose inaspettate. La scoperta più stupefacente è stata quella della fabbrica dell’oppio di cui parlo nel libro, in un testo del 1860 scritto dall’ex direttore britannico della fabbrica e inteso come una guida turistica al luogo…

Oltre alla fabbrica dell’oppio, quali altre cose ha scoperto, che non sapeva, sugli inglesi e sull’India e gli indiani di quell’epoca?
    Come moltissimi indiani non avevo assolutamente idea di quanto fosse esteso il commercio dell’oppio nell’800. L’Impero Britannico era fondato sull’oppio, fu l’oppio che lo rese possibile. Non sono io che sono poco informato, ho chiesto in giro e mi sono reso conto che anche nella cerchia dei miei amici era una cosa che non si sapeva, che è circondata da segretezza e vergogna- non se ne parla. E’ una delle cose più orrende della Storia: l’India avvelenava i suoi vicini cinesi, e si parla di 150 anni con milioni di morti per dipendenza dall’oppio. Nessuno può dire che non sapeva le conseguenze- i Cinesi per primi sapevano: furono i primi ad avere a che fare con l’epidemia della droga. E l’oppio fu introdotto in maniera sistematica dalla Compagnia delle Indie, dai mercanti inglesi e olandesi. I cinesi cercarono di resistere, non accettarono mai la legalizzazione dell’oppio, ma persero la guerra: fu veramente uno degli episodi più orrendi della Storia. E l’ironia è che il commercio fu fatto in nome del libero commercio, tirando in ballo le dottrine di Adam Smith.

Quindi il richiamo tra il titolo “mare di papaveri” e il fatto che oggi siamo letteralmente ‘inondati’ dalla droga è esplicitamente voluto?
    Assolutamente sì, ero consapevole di quello che il titolo evoca nel lettore: la Cina fu il primo paese a gestire la circolazione di massa della droga. I commercianti europei e americani hanno usato il commercio cinese dell’oppio per destabilizzare il governo cinese. Le droghe possono destabilizzare i governi e le società: vediamo quanto è successo in Cina, in Birmania, in Afghanistan. Se c’è una lezione che si può trarre è che la risposta alla circolazione di droga dovrebbe essere razionale, non dovuta ad un eccesso di moralizzazione e neppure alla tentazione di reazioni estreme.

Uno dei personaggi ha un nome famoso nella letteratura americana, Mr. Chillingworth, come il personaggio della “Lettera scarlatta”: è un caso?
    Sa che non mi era affatto venuto in mente? E sì che amo molto il romanzo di Hawthorne…No, è un nome che appariva veramente negli elenchi degli equipaggi che ho consultato. E’ una cosa strana: si direbbe che i nomi dovrebbero essere sempre gli stessi e invece non è così. E’ uno dei motivi per cui sono andato a spulciare negli archivi: anche i nomi cambiano nel tempo, proprio come le facce delle persone- se guardiamo i film degli anni ‘20 o ’30, le facce degli attori sono diverse da quelle di oggi.

Il personaggio più strano e meno comprensibile per noi lettori occidentali è quello del gomusta che prende le sembianze della donna amata: come nasce questo personaggio?
    Il fatto strano è che quest’uomo è proprio basato su un personaggio vero. Un amico, un Bengali molto distinto, ambasciatore in Pakistan, mi ha scritto proprio così, ‘tutti i lettori penseranno che sia inventato, un prodotto della fantasia, e invece solo noi sappiamo quanto sia comune nel Bengali’. Perché si diventa donna nella venerazione di Krishna. Pure Shiva, quando varca la soglia del paese di Krishna, lo fa in veste femminile.

“Mare di papaveri” è il primo di una trilogia: dove ci porterà la Ibis?

    Un libro è sui personaggi, per me questo romanzo e i seguenti sono su questi personaggi. Voglio avere spazio e tempo per seguirli, parlare dei loro figli e nipoti, delle mie esperienze, dei rapporti famigliari e con gli amici, che crescono come un albero che mette nuovi rami e dà frutti. Voglio seguire le storie dei personaggi e delle loro famiglie, ma non so ancora dove mi porterà la Ibis. E’ come quando si vedono delle luci sul mare nella notte e non si sa di preciso dove siano e come ci si arriverà e che cosa ci sia in mezzo.

l'intervista è stata pubblicata su www.stradanove.net


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