sabato 18 novembre 2023

Saleit Shahaf Poleg, “Finché non tornerà la pioggia” ed. 2023

                                                               Voci da mondi diversi. Israele


Saleit Shahaf Poleg, “Finché non tornerà la pioggia”

Ed. Neri Pozza, trad. Raffaella Scardi, pagg. 234, Euro 18,00

    Dodici anni senza pioggia. Ha tutto di tutta una maledizione biblica, un fatto del genere. Tanto più che non piove da dodici anni su quell’insediamento di cui vengono ancora ricordati con rispetto i nomi dei padri fondatori, e però piove quando deve piovere, nelle stagioni giuste, oltre i suoi confini, nei campi vicini.

L’ultima pioggia era scesa leggera la mattina quando c’era stato un funerale senza una bara, solo con una salma coperta da un sudario, quasi che si dovesse sbrigare la faccenda di nascosto, in segreto.

   È questo l’inizio del romanzo di Salet Shahaf Poleg che ha passato la sua infanzia a Be’er Sheva e l’adolescenza in un moshav nella Valle di Jezreel, nel nord di Israele. Inizia con una siccità che è metafora di aridità d’animo, con un morto che si aggirerà nelle pagine del libro come un fantasma, proprio come quando era vivo, disseminando dietro di sé origami di carta, stormi di gru che danzavano sull’erba.

   La famiglia Shteinman è al centro del romanzo, ma non solo. Leggiamo la storia della famiglia seguendo i punti di vista dell’uno e dell’altro, quello che è successo in passato e quello che sta succedendo adesso, accenni oscuri a maledizioni, a segreti, a timori che qualcosa di infausto possa ripetersi, ma leggiamo anche di altri segreti, di un altro genere, più loschi, che riguardano l’insediamento, che possono aver attirato la punizione divina..


    Il nonno e la nonna, i vecchi, litigiosi come tutte le vecchie coppie, ognuno di loro con le sue manie- gli acquisti compulsivi su internet di lei, la collezione di armi bianche di lui. La sorella della nonna, Zipa, che ha lasciato alla nipote Yael la sua casa. Le tre figlie del nonno e della nonna- due sono morte, ormai, ed una, la madre di Yael e Gali, è a Londra per un anno sabbatico. La generazione più giovane, infine, Yael e Gali, che tornano a vivere nel villaggio dopo anni- Yael perché vuole ristrutturare la casa ereditata dalla prozia e farne un bed and breakfast, Gali perché intende sposarsi proprio lì, dopo anni passati in Canada, vuole un’atmosfera campagnola per le sue nozze.

    La narrazione passa da un personaggio all’altro e a volte può non essere facile riprendere il filo delle storie. L’attenzione è soprattutto su Yael e Gali, sulle loro tormentate storie d’amore, sulla diffidenza che i nonni avevano provato verso gli uomini che loro avevano scelto. E ora Yael è incinta. Ma ci sono troppe cose non dette, troppi segreti nascosti dai nonni, dalle loro figlie, dalla prozia Zipa.

Forse sarebbe bene che almeno Yael sapesse, per il bene del bambino che aspetta. Che sapesse perché la maledizione non grava solamente sull’insediamento arido ma anche su quella casa che ha ereditato e che il nonno vorrebbe far demolire.


 E poi c’è l’acqua, da sempre fonte di vita. C’è tutta una storia di sorgenti, di acquedotti, di truffe, che culmina in una scena  che ha qualcosa di ilare e insieme di catartico, quando un enorme getto di acqua zampilla dal terreno proprio dove ci si sta preparando al matrimonio di Gali (e qui c’è tutta un’altra storia dietro).

    Un finale dolce amaro, con il ritorno della pioggia, per un romanzo che guarda con realismo, tristezza e delusione, i fallimenti del sogno sionista, che vuole credere nella vita e nella forza dell’amore, ma con il cuore pesante, con timore per l’avvenire.

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