martedì 22 novembre 2022

Intervista ad Artur Nuraj, autore de "La valle dei bambini perduti" 2022

                                                      cento sfumature di giallo

    


     Mi incuriosiva tutto, del romanzo “La valle dei bambini perduti” di Artur Nuraj. Ad iniziare dall’esperienza personale dello scrittore che, avevo letto, era arrivato come emigrante dall’Albania ed aveva imparato la nostra lingua così bene da poter scrivere un libro. Mi interessava il protagonista, lo sfondo politico su cui si muovono i personaggi del romanzo, tutta l’Albania, un paese che non conosco affatto e che ora più che mai mi piacerebbe visitare. E sono grata ad Artur Nuraj per avermi concesso il tempo di una lunga chiacchierata al telefono per soddisfare tutte le mie curiosità.

Nella postfazione dice di aver incontrato Ludovik Lamani nel 2016. Ci parli di lui, di che cosa c’è di Lei, Artur Nuraj, in questo personaggio che vive nelle sue pagine.

     Ludovik Lamani è un personaggio inventato che ha vissuto con me dal 2015. È nato per caso, mentre cercavo il personaggio per il mio romanzo e lo cercavo- come mio solito- nelle persone vere, quelle che incontro o che ho incontrato. Osservavo una vecchia foto degli anni ‘90 in cui ero di stanza a Tirana presso la Guardia della Repubblica. Erano gli anni in cui facevo il servizio militare in un reparto che vigilava nelle case dei membri del Partito di allora, del Politburo e della Nomenklatura. Nella foto ero con un collega davanti alla piramide dedicata all’ex dittatore Enver Hoxha. Questo collega, che è anche mio amico, è poi diventato investigatore e Ludovik Lamani gli assomiglia. E poi in Ludovik c’è anche qualcosa di me, del mio modo di pensare, di riflettere, del mio modo di investigare, di leggere i grandi classici della letteratura. Io sono sospettoso per natura e ho dato anche a Ludovik questo lato del mio carattere. Così come la mia empatia, il mio approccio alle persone. Il mio modo di vivere è in lui, io sono ordinato, meticoloso, ambizioso. Ho aggiunto anche delle caratteristiche di mio fratello, di mio papà, per creare un personaggio solido e complesso, perché è una storia complessa e volevo che il mio personaggio fosse complesso come la storia.

Enver Hoxha

“La valle dei bambini perduti” non è un semplice giallo la cui trama potrebbe essere banale se ambientata in un altro paese. Questo è un romanzo “politico”: ha scelto il genere ‘giallo’ per parlare di altro?

    Sì, penso che il genere giallo possa raccontare aspetti politici e sociali dei paesi governati da regimi ferrei. Molti autori lo fanno scrivendo saggi e romanzi storici, io ho preferito questo genere perché il lettore lo assorbe meglio, capisce meglio il messaggio politico e sociale.

Si deve capire che noi vivevamo in una bolla: non succedeva mai niente di male, eravamo protetti dal Partito. C’era però l’altra faccia della medaglia: il Partito voleva insabbiare qualunque cosa di negativo per tenere la gente all’oscuro. Il Partito teme la verità, ci sono differenze tra le persone ‘normali’ e quelli che lavorano per il Partito: queste sanno ma tacciono perché sono sorvegliati dal Sigurimi che aveva occhi e orecchi dappertutto.

Racconto con la forma del ‘giallo’, primo, perché no?, e poi perché volevo che il lettore occidentale percorresse questo viaggio-calvario con me e con l’ispettore e con le persone sfortunate che si trovano nel libro.

Mi interessa la sua esperienza personale che credo di intravvedere dietro la vicenda di Ludovik. Quando e perché- se posso chiederlo- è emigrato in Italia? È venuto da solo o con la sua famiglia?


    Sono venuto da solo in Italia. Sono cresciuto in Albania negli anni della dittatura, la mia era una famiglia di lavoratori che rispettavano il regime. La vita era semplice se cercavi di attenerti alle regole e alla politica del Partito. Chi le rispettava aveva una vita tranquilla. Sono di Valona, come Ludovik, ma sono andato a Tirana quando sono stato chiamato a fare il servizio militare di leva. Avevo 18 anni e il servizio obbligatorio durava 27 mesi. Furono i miei primi anni da indipendente e hanno segnato la mia crescita e la mia maturità. Sono arrivato in Italia a 22 anni e mi ha spinto quello che ha spinto tutti i miei compaesani: la prospettiva di avere una vita migliore, un avvenire migliore, di aiutare la mia famiglia. Venire in Italia ha dato un’accelerata alla mia vita, anche se tutti quanti noi che siamo emigrati abbiamo dovuto renderci subito conto che l’Italia non era il paradiso che immaginavamo, che anche gli italiani non se la passavano tanto bene. Sono arrivato con le navi, perché non era permesso emigrare. Ludovik alla fine decide che è più utile per il suo paese che lui resti in Albania, perché l’Albania ha bisogno di lui. Io avrei voluto tornare, ma non c’erano le condizioni adatte.

Ho letto il suo romanzo dopo averne letto un altro ambientato nell’Unione Sovietica di Stalin e ho pensato che, qualunque sia il paese, i metodi e gli intenti della polizia segreta sono uguali ovunque nei paesi totalitari. Governare con il terrore è la loro strategia?  

    Sì, hanno bisogno del terrore. Il Sigurimi aveva modi oscuri ma temibili. Chi non ha provato fatica ad immaginare. Solo il pensiero che potevi aver detto qualcosa non in linea con le direttive del Partito ti toglieva il sonno. Il Sigurimi aveva informatori dappertutto. C’era anche il fratello che denunciava il fratello. Nei regimi dittatoriali i servizi segreti sono più feroci di quelli occidentali, hanno anche un controspionaggio interno, esercitano una sorveglianza ferrea sugli scontenti, sui reazionari. Chi è nel libro paga del Sigurimi, gli informatori, viene ricompensato con privilegi e non con denaro- può essere con un posto di lavoro o con una borsa di studio per un figlio. Sono favori più importanti dei soldi, perché in questo modo ti assicuravi la vita di un figlio. E poi, l’altro aspetto è che un informatore, per il fatto di esserlo, è tutelato, protetto.

Il colore che meglio identifica la sua Albania è il grigio: è un colore metafora?


    Sì, è una metafora. In quegli anni era tutto grigio, niente era chiaro, sia nella politica del Partito sia nel comportamento della gente. I colori del cuore degli albanesi sono il rosso e il nero della sua bandiera. Ma era tutto così confuso in quegli anni. Poi, dopo la morte di Hoxha, gli occidentali hanno capito che il suo successore usava metodi più morbidi ed allora si sono fatti avanti. Il grigio è il colore dominante perché tutto è incerto. Quando si vedevano quei pochi turisti che venivano e indossavano vestiti colorati, sembravano pieni di vita ed il contrasto con noi, vestiti tutti uguali, era stridente. I pensieri grigi producono una vita grigia: tutto parte dal pensiero.

Ma quando poi è arrivato in Italia, quello che ha trovato corrispondeva a quello che aveva immaginato?

    Sì e no. In Italia, sì, la vita era migliore ma si doveva fare i conti con i pregiudizi. Era difficile trovare lavoro, ma l’unica soluzione era rimboccarsi le maniche e impiegare il tempo per migliorarsi, andare avanti senza complessi. Non ho mai voluto trovare scuse. Lavorare, studiare, migliorarsi: questa era la via.

Il romanzo copre il decennio 1985-1995. Sarà il primo di una serie, questo romanzo? Ce ne saranno altri che ci svelino la realtà di quella che dovrebbe essere una nuova Albania?

     La risposta è sì, anche se non vorrei spoilerare. Ho in mente altri tre romanzi. Quando un personaggio mi toglie il sonno di notte, mi stimola, mi porta in un altro mondo, vuol dire che sto per scrivere un romanzo. Quello che sto scrivendo è il prequel a quello appena pubblicato: Ludovik è una recluta e dopo l’Accademia ottiene un posto come investigatore nella zona di montagna.

Valona

 Ho prestato attenzione a tre nomi di città che ricorrono: la capitale Tirana, la città di mare Valona e la città di montagna Korça. Ha diverse anime l’Albania?

     Sì, l’Albania ha anime diverse nelle sue città, e anche un punto di vista diverso, tradizioni e modi di pensare diversi, perfino la cucina è diversa. Queste città non sono distanti tra di loro ma un tempo, con le strade dissestate che c’erano, si facevano 60 chilometri in due ore. La distanza si misurava in ore e non in chilometri.

Tirana è l’anima emancipata dell’Albania, ha larghe vedute, naturalmente nel contesto di quell’epoca.

L’anima di Korça è l’incarnazione della cultura albanese.

Korça

Valona è una città di mare ma ha una mentalità chiusa. Ci sono molti contrasti tra la gente di Tirana e quella di Valona. I valonesi sono ambiziosi e attaccati alla carriera. Ed è così anche oggi, anche se la gente ha incominciato ad aprirsi, perché ormai l’Albania è Occidente. Siamo fieri della grande accoglienza che siamo capaci di dare. Siamo rispettosi delle religioni e delle etnie. Abbiamo sempre avuto un profondo rispetto per le usanze e le tradizioni diverse. Anche in passato, nonostante le condizioni politiche, in Albania c’era indulgenza verso i nomadi, il governo ha sempre rispettato la loro anima nomade. E tuttavia- e questo viene detto nel libro- la controparte della libertà di cui i rom godevano era che dovevano sbrigarsela da soli. La libertà in un paese chiuso come l’Albania aveva questo prezzo.


 Ha mai nostalgia dell’Albania? Vorrebbe tornare?

    Se ho nostalgia dell’Albania? Non c’è momento, mi creda, non c’è momento della giornata in cui non pensi alla mia terra, alla famiglia, agli amici, alla mia Valona. Torno ogni anno in Albania. Chi c’è stato dice che ha un fascino seducente. Se vuoi trovare la natura vergine, l’Albania è la meta ideale. Se cerchi modernità, non la trovi. La bellezza della natura selvaggia dell’Albania ti toglie il fiato.

Io ci tornerei, ma i figli sono nati qui, sono italiani e si sentono italiani. A loro piace andare in vacanza in Albania e, però, restare qui. Ma a noi, a me e a mia moglie, piacerebbe tornare.

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