martedì 17 maggio 2022

Ian Manook, “L’uccello blu di Erzerum” ed. 2022

                                                    Voci da mondi diversi. Francia

           genocidio armeno

Ian Manook, “L’uccello blu di Erzerum”

Ed. Fazi, trad. Maurizio Ferrara, pagg. 500, Euro 19,00

 

    C’era un merlo con le piume così nere da sembrare blu, nel giardino della bella casa di Araxie e Heiganouch ad Erzerum, nell’Armenia turca. Quando le due sorelline verranno vendute per diventare schiave della giovane musulmana Assina, un piccolo uccello blu sarà tatuato nell’incavo tra pollice e indice delle loro manine. L’uccello blu diventerà l’alato filo conduttore della trama del romanzo di Ian Manook, simbolo della nostalgia per un passato e un luogo che non esistono più e, nello stesso tempo e in maniera alquanto imprevista, un segno di riconoscimento per le due bambine travolte dal l’uragano della Storia.

    Il cognome originale della famiglia dello scrittore doveva essere Manoukian, come quello di uno dei protagonisti, e quella che lui ci narra è in parte la storia di sua nonna dentro la Storia del popolo armeno.

    Era il 1915 quando il governo dei Giovani Turchi, avvallato da personaggi politici come Talaat, Enver, Mustafa Kemal, organizzò la prima pulizia etnica del secolo. A Costantinopoli il 24 aprile i notabili armeni furono arrestati e massacrati e ai primi di maggio fu dato l’ordine della deportazione di tutti gli armeni. I beni della popolazione armena furono confiscati, gli uomini vennero per lo più uccisi subito, le donne, i vecchi e i bambini furono avviati verso il deserto di Deir-ez-Zor, senza cibo, senza acqua, a piedi. I più morirono durante la marcia, e forse fu meglio così. L’efferatezza di turchi e curdi fu inimmaginabile.


     Tra i deportati le due sorelline di dieci e sei anni, Araxie e Heiganouch. I loro genitori erano stati uccisi, avrebbero perso presto anche i parenti della famiglia dello zio, la loro fortuna fu l’essere prese sotto l’ala di una vecchia piena di risorse che riuscì a venderle come schiave per la giovanissima sposa Assina. Sembrava una crudeltà e invece fu la loro salvezza, soprattutto per la piccola Heiganouch che era rimasta cieca dopo l’assalto dei curdi che le avevano ucciso la madre sotto gli occhi.

    Quella che leggiamo è una storia ricca di avventure che ci porteranno a Smirne, ad Aleppo, a Beirut e poi in Francia, in Armenia, a Berlino, a Mosca, in Siberia, sempre sulle orme delle bambine che diventano donne e che sono  tre, perché Assina  è diventata come una sorella per loro.

 Leggeremo dell’incendio di Smirne, della fine della guerra e poi dei fermenti che porteranno alla seconda guerra mondiale (appare anche Hitler come figura marginale dapprima, ricoverato in ospedale in seguito alla ferita riportata al fronte), di azioni di spionaggio e controspionaggio russo, delle prime lotte sindacali in Francia, dell’ombra che si addensa, presagio di un altro genocidio, perfezionato con accuratezza tedesca. Del dolore della diaspora, infine o prima di tutto. Del vivere in un paese straniero, del parlare in un’altra lingua e del cercare, però, di mantenere vive le tradizioni e la cultura a cui si appartiene.

Erzurum

     C’è la guerra e c’è il tempo di pace nel romanzo di Manook (è una bella sorpresa leggere questo libro dopo la trilogia thriller di Yaruldegger), ci sono azioni terribilmente crudeli, vendetta e odio, ma c’è anche l’amore, l’affetto, la compassione, la solidarietà, la generosità. C’è un passo più lento quando la Storia sembra tirare il fiato per prepararsi a nuovi tumulti, c’è il colore del folklore, il grigio della polvere e il rosso del sangue, e c’è la poesia, infine. Quella dei versi di Heiganouch e dei poeti russi che ama, della Cvetaeva e della Akhmatova, di Lermontov e di Majakovskij- La vita e io siamo pari. Se muoio, non incolpate nessuno…Voi che restate siate felici.

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