mercoledì 16 maggio 2018

Joanna Trollope, “Un’amante da sposare” ed. 2007

                                    Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
                                                             storia di famiglia  
         love story
      il libro ritrovato

Joanna Trollope, “Un’amante da sposare”
Ed. Corbaccio, trad. Manuela Frassi, pagg. 316, Euro 17,60

Guy Stockdale, giudice di 62 anni, chiede il divorzio per sposare la ragazza trentunenne che è da sette anni la sua amante. Terremoto in famiglia: la moglie tradita e abbandonata cerca sostegno affettivo presso il primogenito Simon. Come conseguenza il matrimonio di questi rischia la crisi; intanto Jack, sedicenne figlio di Simon, scopre l’amore ed esperimenta la prima delusione; anche l’altro figlio di Guy, che è omosessuale, si innamora…Tutto si sistema, alla fine, in modo diverso da come ci si aspetta.

INTERVISTA CON JOANNA TROLLOPE, autrice di “Un’amante da sposare”

    “Tre o quattro famiglie in un villaggio di campagna è la cosa giusta su cui lavorare”, scriveva Jane Austen in una lettera alla nipote Anna. Era il 1814. Quasi duecento anni dopo è questa frase che ricordiamo, leggendo “Un’amante da sposare” della scrittrice inglese Joanna Trollope (nome noto agli amanti della letteratura, perché il romanziere Anthony Trollope è un suo antenato) e pensando alle altre sue opere. E’ sempre un piccolo mondo, quello di Joanna Trollope, molto spesso i suoi personaggi vivono in piccole città, recandosi magari a Londra per lavoro. Quello che interessa alla Trollope, come a Jane Austen, sono i rapporti umani, quelli famigliari prima di tutto. Osservare come interagiscono le persone, come rispondono ai grandi piccoli eventi della vita quotidiana che sono l’esperienza di tutti. Innamoramenti e tradimenti, matrimoni e separazioni, incomprensioni tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, o tra amici. Manca l’ironia leggera che pervade le pagine della Austen, ma c’è la stessa ampia comprensione per i comportamenti umani, con tutte le sue fragilità e debolezze. Non sono più i tempi di una salda morale ottocentesca, ma i personaggi della Trollope sanno che cosa è bene e che cosa è male, e cercano di vivere con onestà verso se stessi e gli altri. Non c’è mai niente di esagerato o di estremo, la Trollope ama mettere in scena la borghesia, la middle-class inglese che ha studiato non necessariamente nelle famose ed esclusive public school- Guy ha studiato legge ed è arrivato ad essere giudice, sia suo figlio sia Merrion, la ragazza di cui Guy si è innamorato, sono avvocati, la moglie di Simon dirige uno studio medico. Vivono in quelle case con giardino così splendidamente inglesi- più bella quella di Guy, più modesta quella di Simon che si è ritrovato molto giovane ad avere già tre figli.

    In questo ambiente sereno la crisi nasce quando Guy annuncia che vuole divorziare. Sarebbe facile attribuire la decisione al rimbambimento senile, liquidare il suo sentimento come il tipico amore dell’uomo anziano per la ragazza giovane. E mentre la Trollope, nel raccontarci dell’infanzia di Merrion Palmer pone le premesse perché la ragazza diventi l’amante di un uomo più anziano che sostituisca il padre che non ha quasi conosciuto, il suo lavoro per spiegare come possa il tranquillo Guy, marito fedele da quarant’anni, padre e nonno, innamorarsi di una giovane donna incontrata sul treno è più sottile. Perché all’inizio il lettore simpatizza, inevitabilmente, con la moglie abbandonata. La prima reazione è la stessa della sessantenne Laura- ma come, è questa la ricompensa per aver dedicato tutta la vita al marito e ai figli? Poi, telefonata su telefonata, dopo comportamenti irragionevoli e ricatti affettivi al figlio primogenito, lentamente cambia la prospettiva da cui osserviamo la situazione: fino a che punto Laura è una vittima impotente? Non ha forse scelto la sua vita? Non ha sempre manipolato gli altri? E non continua a farlo adesso, rischiando di far naufragare il matrimonio del figlio?
   Tutti i personaggi subiscono un cambiamento in quei brevi mesi che passano tra l’annuncio-bomba e la conclusione della vicenda. Tutti vengono portati a confrontarsi con se stessi e ad assumere la responsabilità delle loro decisioni e dei loro comportamenti. Per i più giovani, per la coppia Simon-Carrie, per l’adolescente Jack alle prese con il primo amore, per “l’amante” Merrion, si potrebbe dire che “crescono”, che diventano più adulti con questa esperienza. Difficile dire la stessa cosa per Laura e per Guy che giovani non sono più. Eppure non si finisce mai di crescere e di imparare dalla vita. Imparare anche che amare può voler dire rinunciare a chi si ama. E’ elegante persino la fine, non scontata, di questo romanzo femminilmente raffinato. Stilos ha incontrato la scrittrice inglese.




Nel suo romanzo precedente l’argomento era un rapporto fratello/sorella, questa volta il personaggio principale è un uomo di 62 anni: che cosa l’ha spinta a scrivere dal punto di vista di un uomo?
    Ho un’opinione sui cliché e questo, del marito, la moglie e l’amante, è uno dei più vecchi, è vecchio come il mondo. Io ho l’idea che i cliché esistano quando capitano nella vita degli altri: se un cliché, ad esempio il tradimento sessuale, succede nella tua vita, è come se fosse la prima volta nella storia del mondo. E un romanziere deve ricordarsi di questo pensando ai lettori. E allora ho pensato che avrei trattato uno dei più vecchi cliché, quello del triangolo, e lo avrei capovolto per suggerire ai lettori di guardare diversamente la situazione. Invece del tipico uomo nella posizione del bastardo e quindi della moglie che automaticamente diventa la vittima e l’amante che è la Jezabel che rompe le famiglie, la predatrice sessuale, suggerisco al lettore che qui abbiamo un uomo buono e gentile che ha sopportato decenni di attrito emozionale nel suo matrimonio, con una moglie che ha esercitato il suo potere insistendo che è la vittima della sua ambizione e della sua personalità, mentre l’amante è una donna simpatica e attiva e in gamba. Per vedere dove poi si va a finire.

Lei capovolge la situazione, in quale modo la moglie abbandonata non è più la vittima?
    E’ la vittima nel senso che è spaventoso e tremendo essere abbandonata così tardi nella vita, perché Laura è sulla sessantina. E invece non è una vittima nel senso che se lo è voluto. Le due azioni, o i due codici di condotta nella sua vita, che le rimbalzano addosso sono- la sua persecuzione continua e passiva del marito e il tentativo di trasformare il figlio in un surrogato del marito. Poiché ha detto a se stessa e al mondo che il marito non la capisce, ha deciso di fare del figlio il sostegno emotivo che secondo lei il marito non è. Alla lunga né l’una né l’altra di queste posizioni reggono perché  ingiuste nei confronti degli uomini con cui ha a che  fare.

In che senso parla di persecuzione passiva da parte di Laura?
   La sua è una persecuzione passiva perché il suo atteggiamento non è mai aggressivo: ha una bella casa, si occupa del giardino, non è mai stata infedele, ha tirato su i figli, ha sempre fatto trovare il pranzo in tavola, ma ha minato il marito in maniera sottile facendogli sentire che non la capisce, senza spiegare che cosa vuole, le piacerebbe tornare a lavorare ma è impossibile perché è inconciliabile con l’essere una buona moglie per lui. In modo silenzioso gli ha detto che si è sacrificata per lui, non lo ha fatto in maniera aggressiva, ma lo ha suggerito, accennato con il suo atteggiamento, ed è quello che io chiamerei “persecuzione passiva”, perché al mondo esterno lei appare come la moglie perfetta.

Non sarebbe stato più chiaro il significato se il marito non si fosse innamorato di una ragazza con la metà dei suoi anni, ma di una donna più matura?
    Penso che per la maggior parte degli uomini, anche per i più cerebrali, il sesso è una lingua ed è la lingua dell’amore, il sesso è rassicurante per molti uomini. Non lo sottolineo nel romanzo, ma accenno al fatto che anche a letto Laura era passiva, e Guy è un uomo attraente che ha sempre ammirato le donne e non ha mai tradito la moglie. Questo incontro è per molti modi un incidente e il mio intento nel fare di Merrion una ragazza giovane è creare un dramma. Come scrittrice di romanzi so l’importanza che ha la tensione drammatica, anche perché qui c’è la complicazione dei figli, lei è una donna della loro generazione, e la tensione in un romanzo è quella che fa girare le pagine.

Il titolo in italiano è “Un’amante da sposare”, in inglese la parola usata è mistress, una parola che in passato aveva una connotazione negativa e che è ormai antiquata: perché l’ha usata? Perché Merrion la usa riferendosi a se stessa?
    Sì, è una parola antiquata e implica anche che la donna sia mantenuta dall’uomo. Il motivo per cui ho usato questa parola è curioso: ho pensato ad un tremendo seduttore, James Goldsmith, che viveva apertamente un tipo di vita “europeo”, manteneva una donna, aveva avuto più mogli, parecchi figli e tutti belli. Goldsmith una volta aveva detto: “quando un uomo sposa la sua amante, automaticamente crea un posto vacante”, e io allora avevo pensato, ‘che patetico, che uomo insicuro’ e anche ‘che bel titolo per un romanzo’, e ho tenuto da parte questo titolo per anni. Oggigiorno la parola mistress è antiquata, c’è più qualità in questo rapporto. Al giorno d’oggi non ci sono più le mantenute e la parola più adeguata è lover. Merrion usa ironicamente la parola mistress, per spingere oltre Guy: la loro relazione dura da sette anni, sono al punto in cui un rapporto deve muoversi, lei scherza sull’età di lui, perché per lei parte del fascino di Guy è nel suo essere anziano.

Il romanzo è anche sul significato di essere madri, ci sono tre madri nel libro: Gwen, la madre dell’amante, Laura e poi Carrie, la moglie del figlio Simon. Quali tipi diversi di madre voleva rappresentare con queste tre donne?
    Anche se tutte le madri hanno qualcosa in comune, sono foggiate dall’esperienza della loro infanzia e dalla figura delle loro madri. L’insicurezza e l’insoddisfacente rapporto con gli uomini trasformano Gwen in una madre governata dalla paura e dall’ansia. E’ nervosa, perché desidera proteggere Merrion da quello che lei ha sofferto. Laura, invece, ha avuto l’opportunità di essere una madre generosa. Suo figlio Simon la ricorda come sempre dedita a loro. Ma mentre i figli crescono, lei non progredisce, non diventa meno possessiva, non accetta che i figli crescano e se ne vadano, non tiene presente che i figli ci vengono prestati e non ci appartengono. Quando il suo matrimonio crolla, lei chiede di più dal primogenito e meno dal secondogenito, che è gay. Il suo ruolo di madre si rovescia mentre lei invecchia: un tempo era il bambino Simon che dipendeva da lei, ora è lei a dipendere da lui. Invece Carrie, secondo me, è la più equilibrata, è preparata a lasciare che i figli la vedano così come è, con i momenti di esasperazione e di debolezza. Carrie è pronta ad essere amica dei figli e i figli sono pronti ad essere suoi amici.

Il nipote di Guy, Jack, va dal nonno per aiuto quando è infelice: perché questo episodio è un punto di svolta nel romanzo?
    Perché è emblematico della crisi della famiglia di Simon e Carrie, i genitori di Jack. Jack va dal nonno a cercare aiuto per istinto, perché i suoi genitori sono troppo presi dalla loro crisi. Va da qualcuno in famiglia con cui può confidarsi e mantenere la sua dignità. Qualcuno di cui si può fidare. E questo dà uno scossone alla sua famiglia- spesso c’è bisogno di uno shock per accorgersi di quanto sta accadendo. Fino ad ora il segreto della loro relazione ha protetto Merrion dalla realtà della famiglia, adesso riflette sulle esigenze di ognuno e sulle richieste che ognuno avanza sugli altri- a lei pare allarmante perché non ci è abituata, ha sempre avuto solo sua madre. Quando Guy le telefona che non può andare a Londra da lei perché deve prendersi cura del nipote, questa è per Merrion la prima volta che passa in secondo piano e non si comporta da adulta. Voglio enfatizzare che, per quanto si sia colti, per quanto si sia persone civili, le emozioni primitive sono sotto la pelle, la gelosia, la vendetta, la paura, il desiderio: basta schiacciare un bottone e vengono in superficie.

Questo è anche un romanzo sui diversi stadi dell’amore? Di come l’amore cambia con l’età e di come si debba lavorare sull’amore per seguirne i cambiamenti?
    Certamente: quello che soddisfa a vent’anni, non soddisfa più a 30 o 40 o 60. Uno dei piaceri dell’invecchiare è capire quanto più ampio è il panorama dell’amore. Ad esempio, a 25 anni è impossibile immaginare il piacere di essere nonni.

Ha messo nella storia anche una coppia gay: per allargare il significato dell’amore? Per stare al passo con i tempi?
     In parte sì, ma in parte è anche per dare un’altra prospettiva sull’amore. Mi serviva come un meccanismo per dare un porto sicuro a Laura. Parlando con parecchi uomini sui loro rapporti con le madri, mi è sembrato che gli uomini etero abbiano dei rapporti più complicati con la madre, che i gay siano più a loro agio. Sembra che le madri accettino più facilmente gli amanti gay dei figli. E questo legame gay mi serve nel romanzo anche per togliere un po’ di fuoco dalle coppie eterosessuali.

Alla fine del romanzo siamo preoccupati per il futuro di Guy: dopo tutto è l’unico che resterà da solo. Non era preoccupata anche lei per il suo personaggio?
  Certo che sì, però Guy ora sta meglio con la sua famiglia, prima Laura era sempre in mezzo tra lui e i figli. Tacitamente lei diceva che i figli erano suoi, lui aveva il lavoro. Adesso Guy si sente incluso nella vita dei figli come mai gli era successo prima. E poi Guy è il tipo di uomo che si farà senz’altro dei nuovi amici nel lavoro, non troverà un nuovo amore ma la sua compagnia sarà sicuramente ricercata. Sono più preoccupata per Merrion, perché è un tipo solitario, avrà degli amici ma forse non si sposerà. Avrà successo con la sua professione.

I suoi romanzi sono sempre su rapporti personali e sentimenti: pensa prima ad una situazione oppure le vengono prima in mente i personaggi e la vicenda li segue?
    Prima viene la situazione e poi i personaggi, l’ambiente e la trama. Ho presto in mente un quarto della storia e la fine- so dove vado ma non so come. C’è tutto perché la storia si sviluppi organicamente come la vita, almeno spero.

Il lettore è sempre colpito dalla spontaneità delle voci dei suoi personaggi: li “sente” parlare mentre scrive?
     Sì, mentre scrivo racconto un film che vedo nella mia testa: vedo e sento tutti i miei personaggi.

Non ci sono riferimenti ad avvenimenti storici nei suoi romanzi, le storie di queste persone potrebbero avvenire in qualunque tempo: è una sua scelta?
   I miei romanzi sono ambientati in Inghilterra perché io sono inglese, il riferimento sociale è inglese ma la situazione è senza tempo e “global”: un cuore infranto è lo stesso a Toronto e a Torino.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos



                                                                                                      

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