lunedì 1 aprile 2024

Ye Chun, “Cani di paglia nell’universo” ed. 2024

                     Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America

romanzo epico

Ye Chun, “Cani di paglia nell’universo”

Ed. Neri Pozza, trad. Maddalena Togliani, pagg. 311, Euro 18,00

 

 “Siamo tutti cani di paglia”, dice Daoshi (un soprannome che significa ‘sacerdote taoista’), uno dei personaggi del romanzo della scrittrice sino- americana Ye Chun. I loro antenati facevano dei cani di paglia per offrirli nei sacrifici, perché quelli veri costavano troppo. Poi i cani di paglia venivano bruciati o gettati via. Anche loro, i cinesi impegnati a costruire la ferrovia transcontinentale, non hanno alcun valore, proprio come i cani di paglia, né per il cielo né per la terra.

   Il paragone con i cani di paglia è il filo conduttore di questo romanzo epico che riporta alla luce gli anni di fine ‘800 in cui navi cariche di cinesi approdarono sulla costa occidentale degli Stati Uniti, fornendo mano d’opera gratuita (il pretesto era che dovevano ripagare il prezzo del viaggio) per una costruzione faraonica, di enorme importanza per l’economia americana.


Le condizioni di vita di questi immigrati erano spaventose- pativano la fame e il freddo, erano esposti al pericolo di saltare in aria insieme alla ‘polvere nera’ usata per far avanzare la ferrovia nella montagna, erano odiati, discriminati  e ridicolizzati dai bianchi che regolarmente organizzavano l’analogo dei pogrom europei incendiando le loro case e i loro negozi.

  La trama del libro ha un andamento circolare- seguiamo le vicende di alcuni personaggi dal 1867 in Cina e poi  in California, che per i cinesi è la Montagna d’Oro, fino al 1886, quando alcuni di loro si arrendono e ritornano in Cina e altri attraversano tutta l’America sperando di trovare un ambiente migliore e meno razzista a New York.


   Guifeng, Sixiang, Feiyan, Daoshi- sono loro i personaggi principali. Guifeng lascia in Cina la moglie incinta, attratto dal mito della fortuna che si può fare a Montagna d’Oro, Sixiang viene venduta dalla madre (forse non è giusto dire che l’ha venduta, visto che le ha messo in mano i soldi che ne ha guadagnato, forse sperava di salvarla mandandola lontano) ad una donna che porta in America un ‘carico’ di bambine e ragazzine per poi rivenderle, Feiyan è fuggita dopo aver ucciso un marito vecchio e violento, Daoshi che diventerà non solo il sacerdote che amministra il culto dei morti ma anche una sorta di nume tutelare per gli altri personaggi.

    Conducono tutti una vita durissima, questi personaggi, e il legame tra di loro è giostrato da una serie di coincidenze- si erano persi di vista o neppure si conoscevano di persona, però si ritrovano e riallacciano i legami. Lavoro, lavoro, menomazioni fisiche, la morte di amici, vedere la casa distrutta e ricostruirla, la schiavitù dell’oppio che toglie il dolore ma ruba anche te stesso. Perfino quelli che sembrano i buoni intenti della Missione che accoglie la bambina Sixiang nascondono l’arroganza della supremazia bianca nella forzatura per trasformare una piccola cinese in una scimmietta americana.


    “Cani di paglia nell’universo” ci insegna il coraggio, la resistenza, la capacità di adattarsi, la forza interiore per non abbandonare la speranza- la bambina Sixiang che è partita con la fotografia del padre che non ha mai conosciuto lo continua a cercare con caparbietà-, la lotta per non perdere la propria identità. Dall’altra parte la xenofobia americana, quella crudeltà che si esplica con piccole azioni di disprezzo come il tagliare il tradizionale codino di capelli dei cinesi per poi stringerglielo al collo come un cappio (per non dire altro), ci fanno aggiungere i cinesi alle altre ‘vittime’ americane- i nativi indiani e i neri trasportati come bestiame dalle coste dell’Africa.



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