domenica 14 aprile 2024

Ragnar Jónasson, “Il sogno di Unnur” ed. 2024

                                                     Voci da mondi diversi. Islanda

cento sfumature di giallo

Ragnar Jónasson, “Il sogno di Unnur”

Ed. Marsilio, trad. Valeria Raimondi, pagg. 219, Euro 18,00

 

      Sono i giorni che precedono il Natale. Giorni che sembrano notti senza fine in Islanda, serrata nella morsa del buio e del gelo invernali.

In una fattoria nel nulla, nell’Est dell’Islanda, vivono Erla e Einar. Quella era la fattoria della famiglia di Einar, lui non la lascerebbe mai, lei si è adattata per amor suo, Erla sperava che la loro figlia restasse nella capitale, dopo avervi studiato e invece era tornata. Aveva ereditato la passione del padre per quella terra selvaggia. Non c’è nulla da fare a dicembre, nella fattoria. Soltanto dar da mangiare alle capre, e lo fa Einar. Erla passa il suo tempo leggendo, fa sempre una buona scorta di libri della biblioteca. E sa che sotto l’albero di Natale troverà un libro: in Islanda è una tradizione, regalare un libro con cui passare la notte di Natale.

   Le pagine di apertura del romanzo, quelle che descrivono l’atmosfera in quella zona, sono cariche di una minaccia incombente- il buio, la neve che cade, il silenzio ovattato, la consapevolezza di non poter andare da nessuna parte e che nessuno possa giungere alla fattoria per alleviare la solitudine: è difficile dire da dove esattamene ci giunga questa percezione di pericolo, ma cresce in noi la sensazione che qualcosa debba accadere.


E infatti si sente bussare alla porta. Einar va ad aprire, è lui il primo a stupirsi. C’è un uomo che dice di essersi perso mentre era a caccia con degli amici. Che cosa, in lui, suscita la diffidenza di Einar ed Erla? È soprattutto Erla ad essere diffidente, a pensare che l’uomo stia mentendo, le pare ci siano incongruenze nella storia che racconta. Dopotutto alla radio non hanno sentito la notizia di un uomo che si è smarrito. La bufera di neve aumenta di intensità, la linea del telefono è interrotta (strano, non era mai successo), salta anche l’elettricità, ma a questo sono abituati, hanno sempre scorta di candele. Si può forse rifiutare ospitalità a qualcuno, con queste condizioni atmosferiche? Poi, durante la notte, Erla sente che l’ospite indesiderato sale in soffitta. Che cosa cerca? Non dico altro, ma nel capitolo iniziale, quando a Hulda Hermansdottir, ispettore di polizia di Reykiavik, viene chiesto (è già febbraio) di andare ad Est per svolgere un’indagine, le viene detto che è una brutta storia, “non stiamo parlando di un solo corpo”. Quella notte, che doveva essere il preludio a giorni di pace e di serenità, è successo qualcosa.

   C’è un’altra storia drammatica, però, nel romanzo, anzi ce ne sono altre due o forse tre, tutte che riguardano dei genitori e delle figlie. Una di queste riguarda proprio Hulda, incaricata di questa indagine proprio quando lei stessa potrebbe essere oggetto di indagine, perché la tragedia peggiore che possa accadere ad una madre è successa nella sua casa. Di nuovo, nei capitoli che riguardano la vita privata di Hulda, quando entriamo con lei nella sua casa, siamo presi dall’ansia, proprio come lo è lei. Hulda ha una figlia adolescente, con tutta la comprensione per le problematiche umorali degli adolescenti Hulda è inquieta, è troppo strano che la figlia se ne stia chiusa nella sua stanza, che si rifiuti di festeggiare il Natale insieme a lei e al marito. Si sentirà in colpa, dopo, si chiederà che cosa non aveva visto, che cosa avrebbe dovuto fare, come sarebbe dovuta intervenire.

    La trama corre veloce sul ghiaccio, la soluzione ci sorprende un poco. Quello che resta indimenticabile è il personaggio dell’Islanda che domina su tutte le storie. L’Islanda che è un paesaggio in bianco e nero in cui perfino il silenzio ha una sua voce, l’Islanda in cui ci si può perdere nella tormenta ma anche in se stessi.



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