sabato 11 marzo 2023

Goran Vojnović, “All’ombra del fico” ed. 2023

                                                      Voci da mondi diversi. Slovenia

      saga

Goran Vojnović, “All’ombra del fico”

Ed. Keller, trad. Patrizia Raveggi, pagg. 463, Euro 20,00

 

    Una saga famigliare che copre tre generazioni. Quante ne abbiamo lette. Eppure ognuna è diversa, perché le persone sono diverse e soprattutto perché il luogo in cui vivono è diverso. Una storia di famiglia è inevitabilmente la Storia, o una parte della Storia, di un paese. E, quanto più tormentata è questa Storia, tanto più lo è quella della famiglia.

    Nel 1955 Aleksandar è arrivato in Istria, destinazione dove è stato inviato per lavoro. Tra i 250.000 e i 350.000 italiani erano stati costretti ad emigrare dall’Istria, dopo la fine della guerra. E, quando ad Aleksandar viene detto che una di quelle case vuote, abbandonate in fretta e furia, può diventare la sua, lui si ritrae inorridito- gli pare un furto, gli pare una violazione, entrare là dove tutto mantiene il ricordo di chi ci ha vissuto, dormire nel letto di altri, appendere i suoi abiti nell’armadio dove i vestiti di altri pendono ancora dalle grucce. Piuttosto si costruirà una casa a Mamjano, lontano dalla città e affronterà il disagio di doversi spostare quotidianamente per lavoro.

    Ci piace subito, quest’uomo retto e generoso. Ci piacerà ancora di più da vecchio, quando si prende cura della moglie malata di Alzheimer, quando cerca di esercitarle la memoria, quando non cede alla disperazione del nulla in cui lei è precipitata e in cui fa precipitare lui. Perché che cosa è la vita quando non c’è più niente nel proprio passato? Eppure quest’uomo, tormentato dall’incertezza sulle sue origini (perché sua madre aveva cambiato cognome?) aveva abbandonato la moglie per andare in Egitto per un anno (doveva proprio accettare quel lavoro?) e lei non glielo aveva mai perdonato, anzi voleva divorziare. Quando lui era tornato, lei già non era più lei.

Lubiana

     La narrativa che ci parla di Aleksandar è in terza persona e si alterna ad un’altra narrativa in prima persona che spesso sembra quasi un flusso di coscienza. A parlare è Jadran, nipote di Aleksandar, figlio della figlia che aveva sposato un bosniaco. Bosnia, Serbia, Slovenia, la Jugoslavia si è frantumata, si avvicinano gli anni ‘90, quelli di un’altra guerra. E quale è l’identità di chi è nato in una città che si trova in uno stato che ha cambiato i confini?

     Questo è un romanzo di incertezze, di legami e di abbandoni- in ognuna delle coppie delle diverse generazioni c’è qualcuno che si allontana, c’è il trauma dell’abbandono. Aleksandar è andato in Egitto, il marito di sua figlia (padre di Jadran) è tornato in Bosnia e si rifà vivo solo per il funerale del suocero, la moglie di Jadran lo lascia (per poi tornare). Ma di certo l’abbandono più triste è quello della moglie di Aleksandar, un abbandono della mente e dei ricordi con una presenza corporea, seguito da quello dello stesso Aleksandar che (pensa Jadran) forse si è tolto la vita.


    C’è anche una casa, come personaggio in questo grande romanzo, la casa di Mamjano che subisce- anche lei- un duplice abbandono. Perché viene a trovarsi al di là del confine, perché la morte dei due nonni la lascia disabitata. Finché ci torna Jadran a cui la madre la cede e, nella scena finale, Jadran si arrampica sull’albero del giardino per cercare un fico maturo da portare alla moglie. E’ un simbolo possente, questo fico che continua a produrre frutti nonostante la guerra, nonostante la morte dei due nonni, nonostante l’allontanamento delle due figlie. Ci è impossibile non pensare al fico delle parabole evangeliche, quello che germoglia e dà frutti e quello sterile. Questo fico ha i rami carichi di frutti: c’è speranza per il futuro.

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