venerdì 26 agosto 2022

Gian Sardar, “Papaveri di fuoco” ed. 2022

                             Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America

                                       guerra del Kurdistan


Gian Sardar, “Papaveri di fuoco”

Ed. Neri Pozza, trad. Chiara Ujka, pagg. 336, Euro 19,00

      Quanti di noi sanno di preciso dove è il Kurdistan? Quanti sanno qual è la capitale del Kurdistan? E che cosa è successo o sta succedendo in Kurdistan? Il potere dei libri è questo- portarci in paesi lontani, insegnarci la loro storia e la loro cultura intessendole in una trama avvincente, facendo vivere sulle pagine personaggi alla cui vita noi prendiamo parte.

     E’ il 1979.

Olivia ha un sogno, diventare fotografa, ottenere quel ruolo nel giornale in cui sta lavorando come semplice segretaria- perché sono ancora gli anni ‘70 e, nonostante i fermenti, le donne sono ancora per lo più relegate nelle mansioni subordinate di sempre.

Anche Delan è un sognatore, ma i suoi sogni sono diversi da quelli di Olivia, il suo passato è lontano anni luce da quello di Olivia, anzi- potranno mai intendersi? Delan ha avuto un colpo di fortuna, è arrivato dal Kurdistan, recita in piccole parti a Hollywood, ma chissà…è pur sempre un attore, bello come un attore, e Hollywood è pur sempre Hollywood.


Quando Delan riceve una telefonata da casa, decide che sì, partirà, andrà ad assistere al matrimonio del cugino. La madre gli ha detto che non c’è pericolo, adesso. Davvero gli ha detto così? In quelle telefonate in cui ogni tanto si sente il ‘clic’ che indica che la linea è controllata, si può dire la verità? E comunque anche Olivia partirà con lui. Olivia è piena di entusiasmo e di un pizzico di incoscienza. È innamorata di Delan, ma avverte che l’amore non può essere completo se si ignora così tanto della vita dell’altro. Lei vuole conoscere la sua famiglia, vedere i luoghi in cui è cresciuto. E poi questa può essere la sua grande occasione per fare gli scatti che le faranno vincere il posto di fotografa. Nella sua fantasia romantica Olivia si vede come uno dei grandi fotografi che ammira, che hanno imposto foto iconiche all’immaginario collettivo.

    Il volo dalla California al Kurdistan è lungo e la prima avvisaglia di pericolo, di quel pericolo che ora dura il tempo di una sosta di emergenza in Svizzera e dopo permeerà tutte le ore del giorno e della notte, è nell’allarme destato dalla minaccia che ci sia una bomba a bordo dell’aereo. In Svizzera (non a caso in un paese tradizionalmente neutrale) Delan è tentato di non proseguire, forse questo è un avvertimento del destino. Ma Olivia è arrivata troppo lontano per tornare indietro, non riesce a rinunciare al desiderio di conoscere la famiglia di lui e al sogno dello ‘scatto’ che potrebbe cambiarle la vita.


    Arrivano in un paese dove c’è il coprifuoco, dove l’elettricità manca a sorpresa per ore, dove le persone scompaiono, possono ricomparire e non sono più le stesse, oppure si può non sapere più nulla di loro. Sono nel Kurdistan iracheno, in una condizione di guerra continua dove è difficile cercare di condurre un’esistenza normale. Olivia non sapeva nulla, né dei matrimoni combinati né dei costumi castigati delle donne né dell’impossibilità di anche solo sfiorare il proprio compagno. Non sapeva della gentilezza squisita verso gli ospiti, della generosità tra amici. E purtroppo non si aspettava il pericolo, i bombardamenti, i tradimenti, gli arresti. Riuscirà l’amore a sopravvivere a tutto questo? Riuscirà a cambiare, l’amore, da sentimento leggero e romantico a qualcosa di più profondo che supera le differenze e le incomprensioni?

    E non è solo l’amore che cambia. Cambia anche il mito della fotografa di guerra, perché a Olivia è impossibile essere spettatrice soltanto. Olivia non può scattare senza pensare a quello che sta accadendo sotto i suoi occhi. È lecito fissare l’attimo tragico di una morte violenta sulla pellicola e poi rendere pubblica quell’immagine? Come si concilia la sacralità della morte con l’arte che diventa testimonianza? Nei nostri occhi rosseggiano quei papaveri di fuoco, simbolo della bellezza che fiorisce vicino alla cenere.


     A tratti il romanzo di Gian Sardar (figlia di padre iracheno e madre americana) è rallentato da ripetizioni e un eccesso di descrizioni, ma è comunque un libro rivelatore di altre realtà e altri mondi.

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