mercoledì 2 giugno 2021

Elvira Lindo, “A cuore aperto” ed. 2021

                          Voci da mondi diversi. Penisola iberica

    storia di famiglia

Elvira Lindo, “A cuore aperto”

Ed. Guanda, trad. R. Bovaia, pagg. 384, Euro 18,05

 

    Succede a tutti nella vita. Che venga il momento- e in genere è dopo che siamo rimasti orfani di entrambi i genitori- in cui ci si guarda indietro, si prova il desiderio di ricostruire il puzzle del passato, di fermare nella memoria la figura di nostro padre e di nostra madre, di offrire loro l’eternità nel nostro ricordo. E chi possiede l’arte della scrittura, ha la doppia fortuna di rendere partecipi gli altri dei loro ricordi, di far conoscere agli altri il padre e la madre, inserendoli quasi nel numero dei loro amici.

     All’inizio del romanzo “A cuore aperto” sembra al lettore che ne sia lei stessa, la scrittrice Elvira Lindo, la protagonista, perché in tutta la prima parte è lei bambina ad occupare la scena. Ultima di quattro figli, Elvira è coccolata dal padre e dalla madre, oggetto di scherzi da parte dei due fratelli, protetta dalla sorella Inma. Sono pagine in cui il passato è filtrato attraverso gli occhi della bambina- il trasferimento a Maiorca, la scuola, l’accento maiorchino delle nuove compagne che lei cerca di imitare, la sua statura piccola che fa sì che venga messa in una classe inferiore a quella in cui dovrebbe essere. Poi l’operazione al cuore della mamma, il periodo in cui Elvira resta a Madrid, spedendo i compiti per posta, perché la mamma ha bisogno di lei, la vuole vicina.


    La storia di famiglia non segue, però, un andamento cronologico e  la narrazione acquista vivacità perché cambiano i personaggi al centro della scena, in alcuni capitoli avanzano alcuni che erano rimasti ai margini- i fratelli, la sorella, la nonna buona e la nonna ‘cattiva’, una zia, le amiche-, per poi ritornare nell’ombra, e un fatto che all’inizio era stato detto come marginale- l’inizio di tutto, nel 1939, quando il padre era arrivato a Madrid- viene poi ripreso, acquistando una nuova importanza.

   Perché è lui, Manuel, Manolo, il vero protagonista del romanzo di Elvira Lindo. Un gigante, in famiglia e nel libro. La guerra civile era appena finita quando, nel 1939, sua madre lo aveva mandato da solo a Madrid, da una zia. Lui aveva nove anni. C’erano troppe bocche da sfamare in famiglia, era un bambino sveglio, se la sarebbe cavata. Il padre aveva sempre raccontato con baldanza la sua grande avventura, ma, che cosa doveva avere provato quel lui bambino dentro di sé? Doveva essere stata una durissima esperienza di abbandono, di rifiuto. E per di più la zia, infermiera, era una donna dura che lo picchiava. Passi per le botte della madre, quelle della zia non potevano essere tollerate. E, sempre da solo, il bambino era partito in treno, accompagnandosi ad una vecchia a cui si era offerto di portare il bagaglio perché nessuno gli facesse domande, ed era andato da degli zii di cui aveva solo sentito parlare e che per fortuna lo avevano accolto. Un trauma, questo, di cui avrebbe risentito più tardi, quando, ormai adulto ma solo a Cadice per motivi di lavoro, aveva avuto un crollo nervoso. Eppure questo bambino che neppure aveva avuto la possibilità di studiare, avrebbe fatto strada nella vita, sarebbe diventato revisore dei conti, viaggiando per tutta la Spagna con la famiglia a seguito. Era amico di tutti, suo padre. Parlava con tutti, per fuggire da quella solitudine che aveva sofferto e che temeva più che ogni altra cosa. E aveva due vizi, il fumo e il bere. E poi amava la donna di cui si era innamorato a prima vista, l’avrebbe amata sempre, nonostante i tradimenti e le baruffe dettate dalla gelosia di lei.


    La storia della famiglia della scrittrice è ambientata negli anni del franchismo, ma non c’è una dimensione politica nel romanzo. Piuttosto rivivono, di quegli anni, l’atmosfera, il puritanesimo, i comportamenti, le proibizioni, le mode, i divertimenti, perfino l’arredamento. Campeggiano lui e lei, e la bambina Elvira, diventata poi donna e scrittrice (suo padre serbava gli articoli di giornale che anche solo accennavano a lei), in un racconto liberatorio, ‘a cuore aperto’ che già nel titolo omaggia la madre che era stata operata ‘a cuore aperto’, per l’appunto.

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