sabato 5 settembre 2020

Stefano Corbetta, “La forma del silenzio” ed. 2020


                                                       Casa Nostra. Qui Italia
      cento sfumature di giallo

Stefano Corbetta, “La forma del silenzio”
Ed. Ponte alle Grazie, pagg. 240, Euro 16,00

      Leo ha sei anni quando, nel 1964, i genitori lo accompagnano all'istituto Tarra dove frequenterà la scuola come interno, tornando a casa, a Lodi, il venerdì. È  un piccolo grande dramma per Leo.  Perché è nato sordomuto. Questa separazione, che sarebbe dolorosa per qualunque bambino della sua età, lo è ancora di più per lui che ha vissuto fino ad ora circondato dall' affetto dei genitori che lo hanno protetto da tutte le difficoltà, che si sono fatti interpreti del mondo per lui. Soprattutto la sorellina Anna è stata la sua voce,  il suo tramite con gli altri attraverso la lingua dei segni. Nel 1964 non è permesso usare la lingua dei segni nelle scuole. Le mani devono restare ferme, è l'espressione orale che deve essere imparata. Possiamo immaginare l'abisso di infelicità in cui precipita Leo. Il mondo non è più soltanto un luogo ovattato di silenzio, il mondo è diventato incomprensibile e lui non ha modo di farsi comprendere dal mondo.

     Poi, una sera di dicembre a poca distanza dalle feste, Leo scompare. Le ricerche non approdano a nulla. Una famiglia è distrutta. La vita va avanti, ognuno reagisce secondo il suo carattere portando Leo nel cuore. La mamma, che ha un negozio di fiori ed è una grande lettrice, ha l'incrollabile certezza che Leo tornerà, il papà tassista va via di casa, Anna si laurea in psicologia, ha uno studio e fa anche l'insegnante di sostegno con i bambini sordi.
     Diciannove  anni dopo la scomparsa di Leo un giovane si presenta allo studio di Anna. Si chiama Michele, è sordomuto, frequentava la scuola di Leo. Quella sera di neve di diciannove anni prima ha visto Leo allontanarsi con un uomo che conoscevano bene- Giordano Ripoli era il loro insegnante di materie artistiche.
     Se fino a questo momento il romanzo "La forma del silenzio" di Stefano Corbetta sembrava quasi un'esplorazione dell'universo inaccessibile dei sordomuti, delle difficoltà che loro e le loro famiglie incontrano, adesso il libro si trasforma in un romanzo di indagine- non poliziesca perché la polizia ha abbandonato qualunque ricerca da quel lontano inverno. Anna non si è mai data pace, non ha mai dimenticato, non si è mai perdonata di non aver capito la profonda infelicità del fratellino. Ed ora è giunta questa notizia, lampo di speranza tardiva.

Grazie alle sue competenze può chiedere con un pretesto di avere accesso agli archivi dell'istituto Tarra per conoscere i nomi degli insegnanti di quando Leo frequentava là  la scuola. Chiede informazioni su Giordano Ripoli, si presenta al laboratorio dove lui tiene dei corsi di ceramica e di pittura, si iscrive ad uno dei corsi. E intanto vede di nuovo Michele, cerca di tirargli fuori altri ricordi, gli fa domande cui lui non sa rispondere, va a vedere la cascina dove Michele abita con il padre. Perché adesso dopo diciannove anni? perché adesso Giordano riceve lettere anonime?

     II finale è del tutto inaspettato, positivo e negativo, allegro e triste, problematico e aperto, perché il tempo passato non si può cancellare con una spugna, non possono farlo né le vittime né i colpevoli. Il romanzo diventa una esplorazione della colpa, di come sia l'amore sia la protettività possano essere colpe, così come l'egoismo e l'egocentrismo, di come anche il silenzio possa essere una colpa- silenzio volontario, il tacere e l'omettere in opposizione all'assenza di suoni che è  il silenzio in quanto barriera nella testa del piccolo sordomuto.
     Inutili e banali le accessorie storie di amore o di sesso in un romanzo insolito che ha il gran pregio di farci ricordare il valore dì qualcosa che diamo per scontato e le difficoltà poste da una diversità invalidante sia a chi ne soffre e a chi gli sta vicino. 


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