lunedì 12 giugno 2017

Petros Markaris, "Si è suicidato il Che" ed. 2005

                                     Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
      cento sfumature di giallo
       intervista
       il libro ritrovato

Petros Markaris, “Si è suicidato il Che”
Ed. Bompiani, trad. Andrea Di Gregorio, pagg. 422, Euro 17,00

E’ una trovata geniale, quella dello scrittore greco Petros Markaris nel suo nuovo romanzo “Si è suicidato il Che”: il commissario Kosta Charitos non indaga su degli omicidi, ma su dei suicidi. Un Kosta Charitos convalescente, depresso e annoiato, tanto che legge i giornali oltre all’amato dizionario, e si guarda un notiziario dietro l’altro alla televisione, controllato dall’asfissiante moglie Adriana che gli fa mangiare brodini e gallina lessa. Ma noi lettori abbiamo tirato un sospiro di sollievo, perché il romanzo precedente, “Difesa a zona”, terminava con Kosta gravemente ferito e portato d’urgenza in ospedale. Kosta è in congedo, dunque, e vede in diretta il suicidio in televisione di un noto imprenditore, Iason Favieros. Strana combinazione, poco dopo la morte di Favieros esce una biografia su di lui, e poi c’è un altro suicidio, anche questo in diretta televisiva, di un uomo politico- e un’altra biografia. Che tempismo. La terza volta arriva prima la biografia a Charitos stesso, seguita dal suicidio spettacolare di un giornalista. I morti sono più o meno coetanei e hanno un passato simile: ribelli contro la dittatura, incarcerati e torturati dall’ESA, successo economico o politico dopo il cambiamento di regime.
Una sinistra che ha perso il mordente, insomma, che finge di stare con i lavoratori ma si intasca buona parte delle sovvenzioni, che compra case fatiscenti a prezzo stracciato e le rivende al doppio agli immigrati. C’è di che suscitare le ire xenofobe dei nazionalisti di destra del gruppo Filippo il Macedone che rivendica i suicidi come omicidi pilotati. Ancora una volta Petros Markaris ha scritto un romanzo che approfitta del genere poliziesco per indagare in ben altro che i casi delle vittime, portando alla luce corruzione e connivenza, rivelando il razzismo che esplode sempre nel momento in cui la lotta per il posto di lavoro si fa accanita e si presenta qualcuno disposto a lavorare in nero per due soldi, obbligandoci a guardare indietro e a domandarci dove siano finiti gli ideali- possibile che siano diventati solo merce di consumo, ridotti alla faccia del Che su una maglietta rossa? Il tutto in uno stile minimalista, pervaso di un umorismo sorridente, con un personaggio che è il poliziotto più simpatico dell’area mediterranea. Stilos ha intervistato Petros Markaris.


 La Grecia è l’ospite d’onore alla Fiera del Libro di Torino, quest’anno. Lei, però, è un greco molto internazionale: è nato a Istanbul, suo padre era armeno e sua madre greca, ha frequentato una scuola tedesca e poi ha studiato a Vienna, ha tradotto in greco Brecht e Goethe, parla molte lingue straniere. Quando ha deciso di stabilirsi in Grecia e di scrivere in greco?
     C’è stato un periodo nella mia vita in cui ero perfettamente trilingue: quando sono andato a studiare a Vienna parlavo il greco, il turco e il tedesco. Ed è a Vienna che ho deciso che avrei scritto in greco, perché quella era la mia madrelingua, in casa parlavamo in greco e quella era la lingua a cui mi sentivo più vicino. Era la scelta giusta. Il passo seguente è stato decidere di andare a vivere in Grecia perché era là che si parlava la lingua moderna, di tutti i giorni, e di conseguenza, una cosa dopo l’altra, ho preso là la residenza, mi sono fatto una famiglia e degli amici.

Suo padre era armeno: dove si trovava la famiglia di suo padre all’epoca del genocidio, nel 1915?
     La mia famiglia abitava a Istanbul, ma anche mia nonna era greca, come mia madre, e veniva da una piccola e poverissima isola della Grecia. Mio nonno ha avuto sentore di quello che stava per succedere e ha portato là tutta la famiglia, salvandola dalla strage.

Lei ha scritto anche per il teatro, che cosa le ha fatto scegliere di scrivere romanzi di genere poliziesco, come è nato il personaggio di Kosta Charitos?
     La verità sulla nascita di Kosta Charitos è che non sono stato io a crearlo: è stato lui che è venuto da me. Era il 1992 ed ero impegnato nella sceneggiatura di una serie per la televisione, “Anatomia di un delitto”. Una serie che ha avuto un successo clamoroso, doveva durare un anno ed è andata avanti per due. Avevo scritto così tanto che mi era venuta a noia, ma ho raggiunto un compromesso con la rete televisiva, far finire un’altra serie ancora in gennaio invece di farla durare un terzo anno intero. Mi riusciva difficile scrivere, mi sembrava di non avere più idee, e poi mi è venuta questa illuminazione: una famiglia, genitori e un figlio o una figlia. Si trattava di una famiglia piccolo borghese, senza interessi particolari. Ma mi sembrava banale: teatro, cinema, letteratura si occupano di piccoli borghesi. Il problema era che il capofamiglia non aveva intenzione di lasciarmi in pace: per due mesi ho continuato a vedermelo lì, davanti a me, ogni mattina. Ho pensato che una persona così molesta non poteva essere che un dentista o un poliziotto. I dentisti- senza offesa- non sono interessanti dal punto di vista della letteratura, e così Kosta Charitos è diventato un poliziotto. Il genere poliziesco mi è sempre piaciuto, sono un grande lettore di libri gialli.

Visto che è un amante del genere e un esperto, pensa che si possa parlare di un noir mediterraneo in opposizione al noir dei paesi del Nord Europa o ai polizieschi inglesi?
    Certamente sì, e la prima cosa che distingue i noir mediterranei è la passione per la buona cucina: Pepe Carvalho ama cucinare, Montalbano di Camilleri conosce tutte le migliori trattorie, il rapporto di Kosta Charitos con la moglie è basato sulla cucina, il Montale di Izzo sembra sia diverso, ma nei noir di Izzo c’è il profumo del pesce di Marsiglia che aleggia ovunque. Tutti questi personaggi hanno la “sindrome della madre”: vengono da famiglie in cui la madre stava ancora a casa a cucinare. La verità è che è tutta colpa dell’emancipazione della donna, che ha distrutto la buona cucina. Prendiamo il commissario Wallander di Mankell: mi spiace per lui che non sa neppure che cosa mangia, al massimo un sandwich, ma in Svezia l’emancipazione della donna è arrivata prima. E poi, seconda cosa, il crimine in Italia, Spagna, Grecia, fa parte della realtà, ma non è brutale. In Mankell, o in Nesser, il crimine fa parte della psicologia delle persone, è brutale perché questa gente ha abolito la tortura, ma gli assassini torturano le loro vittime. C’è un approccio diverso al delitto. In Inghilterra è successa un po’ la stessa cosa, siamo passati dalla grande tradizione del giallo inglese con un enigma da risolvere a quello più violento e brutale di Ian Rankin.


I suoi lettori non possono perdonarle di averli tenuti in ansia per due anni: temevamo che Kosta morisse. Quando ha terminato “Difesa a zona”, sapeva già che si sarebbe ripreso o non aveva ancora deciso del suo futuro? E pensa poi di farlo morire, a un certo punto?
    Anche i miei lettori tedeschi hanno avuto lo stesso problema. Mi continuavano a chiedere, “è vivo?”, e io ci scherzavo sopra, rispondendo, “quando sono partito da Atene, ho telefonato in ospedale e mi hanno detto che è ancora in coma”. Sì, io sapevo che sarebbe sopravvissuto, mi dispiaceva che morisse. Proprio per questo penso che finirà per andare in pensione, non sarà ucciso.

Questa volta ha messo una ragazza a investigare, vicino a Kosta, scegliendo la coppia uomo-donna invece di quella tradizionale dei due uomini. Lo ha fatto per avere un secondo personaggio femminile in opposizione a Adriana?
    Koula è presente anche negli altri due romanzi, come segretaria. Tutti i lettori pensavano che fosse la tipa carina ma stupida, e io volevo provare che non è vero, che è molto intelligente, anche se non le piace leggere, e che ha un buon istinto. Volevo capovolgere i personaggi e creare una figura in opposizione non a Adriana ma a Caterina: a Koula piace cucinare, vuol trovarsi un marito, è del tutto diversa dalla figlia di Kosta.

In questo nuovo romanzo Lei tratta di un argomento molto attuale- i giochi Olimpici e quello che c’è dietro. I noir di oggi aprono gli occhi dei lettori su quello che accade dietro la scena.

     Fino alla fine del secolo XIX, anche agli inizi del secolo XX, c’era il romanzo sociale, il romanzo borghese, che trattava di problemi sociali. E’ un tipo di romanzo che scompare dopo la seconda guerra mondiale, soppiantato da un romanzo in cui è più importante il personaggio, la realtà psicologica del personaggio. Nel mondo moderno ci sono molti più tipi di crimini che in passato e il romanzo poliziesco prende il posto del romanzo sociale nell’illustrare questa nuova realtà. Sono romanzi polizieschi che non si accontentano più di porre degli enigmi da risolvere, ma si interessano alla realtà, diventano il nuovo romanzo sociale.

Il problema dell’occupazione in Grecia e del lavoro sottopagato agli immigranti: quando è iniziato tutto questo?
    Nel 1990, con la caduta del muro di Berlino. Cambiò il regime in Albania, gli albanesi iniziarono a venire a piedi- letteralmente- in Grecia. Questa nuova realtà della Grecia si è ripetuta in parte anche in Bulgaria e Romania, e ha portato della mano d’opera a buon mercato. Era tutta gente che poteva guadagnare di più che in patria, per quanto fossero sottopagati ed erano gran lavoratori. Naturalmente questo scatenò le discussioni sul fatto che gli immigranti portavano via il lavoro ai greci, ma diciamo la verità: i greci non farebbero mai questi lavori pesanti a questo prezzo. Questa gente è capace di lavorare dodici ore al giorno, sia il marito sia la moglie, per guadagnarsi da vivere. Mi spiace molto che la Grecia, che era un paese di emigranti, proprio come l’Italia meridionale, sia così poco comprensiva verso i problemi di queste persone- trovo questo razzismo addirittura rivoltante.

Nel romanzo si parla del gruppo “Filippo il Macedone” che mi pare simile alla Lega qui in Italia. Ha un gran seguito?
     E’ un movimento di nazionalisti di estrema destra che vorrebbe semplicemente cacciare via tutti gli immigrati. Sì, hanno dei seguaci ma, fortunatamente, il nostro sistema politico non incoraggia i partiti piccoli che vengono incorporati in quelli grossi. In questo caso il vantaggio è che questo partito è incorporato al centro destra e può venire controllato.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos

                                                                                       

    

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