Voci da mondi diversi. Giappone
cento sfumature di giallo
Tommaso Scotti, “Il segreto del vecchio signor Nakamura”
Ed.
Longanesi, pagg. 366, Euro 18,50
Tokyo. 10 dicembre 1968. Un finto poliziotto
in motocicletta ferma il veicolo di una banca che porta 300 milioni di yen in
contanti, inventa una storia secondo cui un attentato ha fatto saltare in aria
la casa del direttore della banca e dice che ci deve essere una bomba anche
sulla loro auto. I quattro bancari scendono a precipizio dall’auto, l’uomo
perlustra l’abitacolo, si infila sotto, dice che c’è un candelotto di dinamite,
esce un gran fumo, lui grida agli altri di scappare, si mette al volante e sfreccia
via. I soldi non furono mai ritrovati e tanto meno il ladro. Il denaro era
assicurato, gli stipendi dei lavoratori della Toshiba furono pagati con solo un
giorno di ritardo, a perderci, quindi, fu solo la compagnia assicurativa.
Questi sono i fatti su cui Tommaso Scotti, lo scrittore italiano che da anni vive in Giappone, basa il suo nuovo romanzo. Tutto vero, dunque. Poi, come sappiamo, sono l’arte e l’inventiva dello scrittore che ricamano sull’intreccio e che rendono vivi i protagonisti.
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identikit |
2018. Sono passati cinquant’anni, ci sarà un
servizio televisivo sul furto più famoso del secolo in Giappone, un giornalista
e una cameraman vengono inviati a intervistare Nakamura, il vecchio ispettore
che aveva diretto le indagini all’epoca. E il tempo si riavvolge, torna
indietro di cinquant’anni.
La narrazione, però, scorre su un doppio binario- quello del passato, con tutti gli avvenimenti, lo stupore, lo sgomento, la ricerca di un colpevole purchessia, con un Nakamura giovane che ci colpisce per quel suo sguardo vuoto e la fissazione di contare tutto, di identificare qualunque aspetto della realtà con un numero (solo alla fine capiremo il perché di entrambe le sue peculiarità), gli indagati (Nakamura ci sa dire il numero esatto che è un numero di sei cifre), gli interrogatori, il tutto in capitoli che iniziano con una data seguita dalle ore o dai giorni che sono passati dal furto.
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la moto del finto poliziotto |
Il
secondo binario è quello del presente, quando Nakamura ha quasi novant’anni e
le sue innocue manie di vecchio. Ha una memoria eccezionale, ricorda tutti i
dettagli del caso. Ricorda anche gli errori che hanno portato dolore e morte,
come l’accusa fatta al figlio di un poliziotto (il ragazzo si è suicidato, era
un’ammissione di colpa? E il denaro dove era?), come un’altra accusa fatta
molto tempo dopo ad un uomo che poi venne interamente scagionato, ma intanto il
suo nome era andato in pasto alla stampa e la sua vita era stata rovinata
(anche lui si era suicidato). E il collega che lavorava troppo e che non aveva
retto allo stress? Sì, il furto di per sé non aveva avuto vittime, ma dopo…
Il giornalista è preso dal racconto di Nakamura, la cameraman è insofferente, le pare che perdano tempo a seguire quel vecchio che adesso si è messo in mente di uscire, di andare a comprare il tè, a farsi tagliare i capelli, a ritirare un timbro, a mangiare qualche specialità.
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timbro giapponese |
Perché in apparenza queste digressioni che ci portano in locali così prettamente giapponesi, descrivendo personaggi che hanno avuto una vita difficile, mettendo a confronto la vita aspra del dopoguerra con quella dei tempi moderni, sono come degli ‘aside’ a teatro, scene collaterali che offrono un pretesto per farci conoscere meglio- con un filo di nostalgia- usanze che stanno scomparendo. Ne capiremo meglio solo nella conclusione il significato e il valore, perché il finale (lo scrittore ammette che è una sua invenzione) è sorprendente, ci soddisfa, ci fa pensare un poco a Robin Hood.
“Non sai chi sei finché non lo sei”, è
l’insegnamento del romanzo su cui riflettere, e questa non è l’unica lezione di
un libro che ha una delicatezza tutta sua nell’affrontare un’indagine
poliziesca.
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