martedì 25 maggio 2021

Aki Shimazaki, “Hōzuki” ed. 2021

                                   Voci da mondi diversi. Giappone


Aki Shimazaki, “Hōzuki”

Ed. Feltrinelli, trad. Cinzia Poli, pagg. 140, Euro 12,00

 

    Un altro ‘fiore’ che non è propriamente tale, nel titolo del secondo libro della pentalogia di Aki Shimazaki. “Hōzuki”, l’alchecengi che si presenta con i suoi piccoli frutti arancioni racchiusi in una sorta di foglia- sembra una lampada. E la metafora dell’alchecengi come luce- ma non solo con questo significato- percorre tutto questo romanzo brevissimo, più un secondo capitolo di un intero libro che non un romanzo a sé.

     La protagonista e voce narrante è Mitsuko, la donna che aveva il nome d’arte del fiore spinoso del cardo quando lavorava come entraineuse nel romanzo precedente della serie. La ritroviamo che ha realizzato il sogno di aprire una libreria specializzata in volumi d’arte e di filosofia, anche se, per mancanza di un guadagno adeguato, ha mantenuto l’occupazione di un tempo una sera alla settimana. In quella occasione dice di doversi assentare per motivi di lavoro e ritorna sempre con un carico di nuovi libri: suo figlio non la vede mai pettinata e truccata per i suoi clienti.


      Suo figlio Taro: era una presenza-assenza in “Azami”. Ci eravamo perfino chiesti se esistesse davvero, se le scarpette da bambino nell’ingresso appartenessero davvero a qualcuno, finché non avevamo saputo che era sordomuto. In “Hōzuki” Taro ha una parte importante, ha una sua personalità, e il suo legame con Mitsuki è al centro di tutta la narrazione. Taro fa amicizia con la bambina di una donna che è venuta nella libreria Kitō in cerca di libri di filosofia per il marito, un diplomatico. Sospettiamo subito che questo sia in realtà un pretesto, perché è chiaro che la donna vorrebbe diventare amica di Mitsuki, che fa di tutto perché la sua bambina, Hanako, giochi insieme a Taro.

   Due donne, due bambini con nomi dal bel significato: Taro vuol dire ‘primo figlio maschio’ e Hanako, ‘bambina dei fiori’. “I vostri nomi insieme sono belli come due gemelli”, dice la mamma a Taro che parla con la lingua dei segni. Ed entrambe le donne hanno un segreto che scopriremo a poco a poco, tra tentativi di prendere le distanze da parte di Mitsuko e quelli opposti, di avvicinarsi, dell’altra donna, mentre i due bambini hanno una singolare affinità tra di loro.

Kodomo no Hi- la festa dei bambini

   È il tema della maternità che Aki Shimazaki affronta in “Hōzuki”, e lo fa da diverse angolazioni- rifiuto della maternità (sono solo gli esseri umani che possono scegliere di abortire, aveva osservato dolente l’uomo che Mitsuko ricorda come il suo grande amore), la paura per una maternità fuori del matrimonio, la maternità come scelta, la completa dedizione anche per un figlio acquisito, il forte legame di sangue che niente riesce ad attutire.

Lo affronta in una maniera delicata e quasi poetica, con un intrigante e costante riferimento al diverso significato che le parole giapponesi possono avere secondo gli ideogrammi che vengono usati. Così Kitō, il nome della libreria, può voler dire ‘preghiera’ ma anche hōzuki, e l’hōzuki era il fiore che le prostitute usavano per procurarsi l’aborto…e altri rimandi ancora- affascinante, a significare la molteplicità di significato di qualunque comportamento o di qualunque persona, così come la ricchezza espressiva del piccolo Taro, per quanto muto, indica che non c’è un solo modo di esprimere la propria interiorità.

     Un breve romanzo tra realismo e poesia, attendiamo il prossimo, “Suisen”, il narciso.




 

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