sabato 28 settembre 2019

Narine Abgarjan, “E dal cielo caddero tre mele” ed. 2019


                                                    Voci da mondi diversi. Armenia



Narine Abgarjan, “E dal cielo caddero tre mele”
Ed. Brioschi, trad. Claudia Zonghetti

Venerdì subito dopo mezzogiorno, con il sole che aveva passato lo zenit e scivolava composto verso l’estremità a ponente della vallata, Sevojants Anatolija si coricò per prepararsi a morire.
   Splendido inizio per questo bellissimo libro della scrittrice armena Narine Abgarjan che dal 1993 vive in Russia e scrive in russo. Una frase che contiene un’indicazione temporale che non è precisa, così impariamo subito che il tempo a Maran- il paesino immaginario dove è ambientato il romanzo- è labile, è un tempo che ha per coordinate il sole e la pioggia, il caldo dell’estate e le neve dell’inverno senza fine, gli anni della siccità e quelli della carestia. Sono gli eventi memorabili a marcare il tempo, a renderlo indimenticabile. Un giorno verso il tramonto, dunque, Sevojants Anatolija ha deciso che l’ora della sua morte è vicina. In genere, come vedremo, gli abitanti di Maran hanno un sesto senso che li avvisa dell’avvicinarsi della morte o di qualche altro evento insolito- il fratello di Vasilj (che diventerà il secondo marito di Anatolija) vedeva colonne di luce blu nel cielo quando qualcuno stava per morire e gli veniva un febbrone altissimo quando il paese era minacciato da una tragedia. Questa volta, però, Anatolija si sbaglia. E si sbaglia di grosso. Perché è lei che è, invece, portatrice di un messaggio di vita, della ripresa della vita in un paese di vecchi e di morti.

     Maran, il paese che la scrittrice ha modellato su una miriade di paesini in Armenia. Maran che prende vita per noi come la Vigata di Montalbano o la Jovkanapawtha County di Faulkner, o Macondo di Marquez. Cristo si è fermato molto prima di arrivare a Maran dove il postino si arrampica due volte al mese e, se qualcuno sta male (ma deve stare veramente molto male), bisogna scendere a valle e far venire su un’ambulanza (se poi la strada è ingombra di neve, l’ambulanza non ce la fa a raggiungere Maran). Costruita in alto su un cocuzzolo, un’intera metà di Maran è scivolata a valle quando il terremoto ha fatto sprofondare il fianco ovest del monte Manish kar. Un lutto da cui nessuna famiglia si è più ripresa.
    Ci incantano, le storie di Maran. Storie che ci parlano di un passato che non passa mai, di tradizioni sempre vive, di fatti che sono diventati leggende- come quella dello splendido pavone bianco (e constateremo alla fine quanto sia appropriato il suo valore simbolico di rinascita)-, di dolori e di perdite (quanti, quanti morti per la carestia e per le malattie e per le guerre che strappano i figli maschi), ma anche di generosità, di solidarietà, di amicizia, di amore. Il Bene non potrebbe esistere senza il Male e c’è indubbiamente il Male anche a Maran (il primo marito di Anatoljia è un uomo cattivo), ma l’impressione dominante è quella di un volersi bene diffuso, di essere là per chiunque abbia bisogno di aiuto. Noi lettori siamo come la moglie ‘straniera’ di Tigran che accompagna il marito in visita e si innamora di Maran e disegna tutto quello che vede, tutta la bellezza nascosta che per abitudine gli abitanti non vedono più- è significativo che lei sia l’unica a vedere le due iniziali incise nella ringhiera sulla scarpata, una K e una V che saranno profetiche. Siamo come sua figlia, la bambina che arriva dalla Russia e che trova tutto squisito e chiede alla mamma di imparare le ricette.
Perché anche di questo è fatto il romanzo: di ricette di piatti antichi cotti sotto la cenere, di pozioni medicali, dell’arte di non sprecare nulla che possa essere commestibile, di come fare scorte perché non si sa mai che la carestia possa colpire di nuovo. E poi è fatto di scene tenere e anche di scene buffe- Valinka che getta nel pozzo nero le bustine di lievito scaduto (non sa neppure che cosa sia) e il giorno dopo una schiuma puzzolente e disgustosa tracima dal pozzo. Proprio quando deve arrivare suo nipote con moglie e bambini. Ma qui si mette in moto il tutti-per-uno-uno-per-tutti di Maran per salvare la situazione.

   E concludiamo come le nonne armene terminavano di raccontare una fiaba: E dal cielo caddero tre mele: una per chi ha visto, una per chi ha raccontato, una per chi ha ascoltato.

La scrittrice era presente al Festival di Letteratura di Mantova
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