martedì 19 febbraio 2019

Murakami Haruki, “L’assassinio del commendatore”, libro secondo ed. 2019


                                                        Voci da mondi diversi. Giappone

Murakami Haruki, “L’assassinio del commendatore”, libro secondo
Ed. Einaudi, trad. A. Pastore, pagg. 434, Euro 17,00


      Una bella sorpresa, quella di non aver dovuto attendere molto per leggere il secondo volume de “L’assassinio del commendatore” di Murakami Haruki, un romanzo perfino più enigmatico del primo che ci lascia con ancora più incertezze che non riusciremo a risolvere.
   Dunque: nella casa isolata dove una volta viveva il famoso pittore Amada Tomohiko, il protagonista e narratore sta dipingendo il ritratto della tredicenne Marie che il misterioso e affascinante Menshiki pensa possa essere sua figlia. Contemporaneamente dipinge pure un altro quadro che raffigura la cripta nel bosco, quella da cui proveniva il suono di una campanella e da cui è uscito il commendatore, che non è un fantasma ma un’idea, identico al personaggio dipinto da Amada Tomohiko sulla tela ritrovata nell’attico. Che messaggio voleva comunicare Amada con quel quadro? I drammi della guerra che avevano sconvolto la sua vita e quella della sua famiglia- lui torturato dalla Gestapo a Vienna e suo fratello morto suicida dopo aver preso parte allo stupro di Nanchino? Ormai è impossibile parlare con Amada Tomohiko, confinato in un letto in un ricovero di lusso e incapace perfino di riconoscere suo figlio. Come è possibile, però, che lui, il narratore che vive nella sua casa, lo abbia visto una notte, nell’attico, seduto con gli occhi fissi sul quadro “L’assassinio del commendatore”? per saperlo, il nostro protagonista accompagna il figlio di Amada a trovare il padre.

     Il lettore deve abbandonare il mondo delle certezze, da questo punto in poi. Le cose più inverosimili (inverosimili per noi, comuni mortali con i piedi sulla terra e occhi incapaci di vedere oltre il reale) accadono, ci addentriamo nel mondo delle metafore e delle idee (sapevamo che un’idea si potesse uccidere, non avremmo mai immaginato, però, che potesse sanguinare- o forse sì, in senso metaforico?), il protagonista si inoltra in una selva oscura (e noi pensiamo a Dante, tanto più che ad un certo punto appare la Donna Anna del quadro di Amada Tomohiko a guidarlo come fosse una novella Beatrice, e pensiamo anche a Tolkien e alle prove che deve affrontare Frodo e ad Alice nella tana del coniglio), deve essere traghettato al di là di un corso d’acqua che separa il nulla dalla realtà da un nocchiero (non è Caronte, ma è senza volto) che accetta, invece della moneta, di essere ricompensato dal pinguino di plastica che Marie teneva attaccato al cellulare. E dove è finita Marie, in questo spazio di tempo fuori del tempo per il narratore?

      E’ inutile cercare una spiegazione razionale nel romanzo di Murakami. Di certo, tra metafore, flashback sulla Storia del Giappone e sulle vicende personali del protagonista, abbiamo affrontato il senso e il peso della colpa, difficile a gestire, abbiamo imparato una lezione sul compromesso, come recuperare il legame di coppia e come evitare di far soffrire chi di colpe proprio non ne ha.
    Un certo qual senso della realtà si recupera nel finale, dove tutto si rischiara in un ‘happy ending’. Restano anche qui dei dubbi, però, almeno a noi- il protagonista li supera a modo suo, ma forse è ormai abituato ai fenomeni strani, surreali. Ecco, il romanzo di Murakami Haruki è come un quadro di De Chirico in cui c’è molto di più di quello che si vede.

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