martedì 23 maggio 2017

Ahmed Mourad, “Polvere di diamante” ed. 2013

                                                     Voci da mondi diversi. Medio Oriente
                 cento sfumature di giallo
                    il libro ritrovato


Ahmed Mourad, “Polvere di diamante”
Ed. Marsilio, trad. Barbara Teresi, pagg. 380, Euro 18,50
Titolo originale: Tourab al-mass


Qui tu sei morto. Non fare come me, non seppellirti in un posto che non merita. Parliamoci chiaro: in questo paese ci vorranno almeno altri cinquant’anni perché si possa vivere bene. Tu fai fuori un poco di buono, due, mille, ma queste persone sono come gechi, se gli tagli una zampa gliene spuntano altre dieci.

        Nero, nerissimo, il colore di questo thriller “Polvere di diamante” di Ahmed Mourad che ho preso in mano proprio nei giorni in cui sta divampando la rivoluzione nelle strade del Cairo. Di un nero senza continuità, perché le prime pagine ci portano indietro al 1954 con il nonno del protagonista Taha, proprietario di un negozio di profumi. Nel 1954 il presidente Nagib fu destituito, sei dirigenti della Fratellanza Musulmana furono condannati a morte e nel 1956 Nasser fu eletto presidente. Sempre in quell’anno, a seguito della nazionalizzazione del Canale di Suez, scoppiò la guerra che vide unite le forze di Francia, Inghilterra e Israele contro l’Egitto. I bombardamenti del Cairo sono uno sfondo necessario, un preambolo all’azione del romanzo che si svolge nel 2008. Il negozio di profumi della famiglia Al-Zahhàr non esiste più da quasi mezzo secolo, il padre di Taha è confinato su una sedia a rotelle (e, secondo la tradizione letteraria e cinematografica in questa situazione, spia con un binocolo la vita fuori dalla finestra), Taha fa il rappresentante farmaceutico e lavora qualche ora al giorno dietro il banco di una farmacia. Una sera si rifiuta di preparare una miscela di droghe per un energumeno del quartiere e, poco dopo, suo padre viene ucciso. Una vendetta del forzuto che ha una brutta fama? Oppure suo padre ha visto qualcosa che non doveva vedere?

     Il quadro dell’Egitto che Ahmed Mourad dipinge è a tinte fosche. La corruzione dilaga ad ogni livello con conseguenze disastrose- appalti truccati, lavori edilizi eseguiti in maniera inadeguata e criminale, voti comprati, elezioni truccate, bustarelle ovunque, il sistema del ‘fammi questo favore e avrai questo in regalo’ eletto a costume universalmente accettato in ogni ambiente, anche in quello delle forze dell’ordine. La legalità non esiste, nessuno è tutelato, la polizia usa mezzi brutali. Non solo. In una società in cui le donne portano il velo e la religione musulmana erge una barriera tra i due sessi, la perversità sessuale è così diffusa da essere la norma- si può trovare facilmente di tutto sul mercato e nessuno si scandalizza più che tanto. Davanti alla reazione di un Taha sconvolto da un omicidio che si è appena perpetrato sotto i suoi occhi, l’uomo che proprio non dovrebbe essere coinvolto in quanto parte attiva in fatti del genere dice, “L’Egitto fa ottanta milioni di abitanti. Non credo che qualcuno sentirà la mancanza di…” (ometto il nome della vittima). Non si salva quasi nessuno dei personaggi di “Polvere di diamante”. Non il vecchio commerciante di profumi che ha dato origine al tutto, investendosi di un’aura di giustiziere, non suo figlio, padre di Taha, che ha portato avanti l’impresa del proprio padre- “un piccolo errore per correggere errori più grandi”-: dove non arriva la legge a fermare il malcostume, gli abusi e i crimini, può arrivare il singolo con la polvere di diamante, un veleno subdolo, insapore, che agisce lentamente, letale. Non si salva neppure Taha, stritolato da forze a cui non è in grado di opporre resistenza, spinto dall’amore per il padre e dal desiderio di scoprire che cosa nasconda la sua morte.

In mezzo a tutti i personaggi negativi maschili risalta Sara, la vicina di casa di Taha, la ragazza a cui lui non è capace di rivelare il suo amore. Non è un caso che sia lei a dare voce alla protesta, a manifestare contro il regime. Testa coperta dal velo e macchina fotografica in mano, è Sara che ha il coraggio di scrivere un articolo incendiario. La sua è la voce di tutte le donne musulmane mortificate e ridotte al silenzio: “E’ questo paese che ce l’ha con noi, non noi che ce l’abbiamo con il paese!”.

    Se nel primo romanzo, “Vertigo”, la narrativa a tratti rallentava, procede invece veloce in “Polvere di diamante”- è graffiante come la punta di un diamante, ricca di un’ironia che trabocca di una profonda tristezza. E straordinariamente attuale.   

la recensione e la successiva intervista sono state pubblicate su www.wuz.it


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