Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
guerra del Vietnam
memoir
Viet Thanh Nguyen, “Io sono l’uomo con due facce”
Ed.
Neri Pozza, trad. Massimo Bocchiola, pagg. 384, Euro 19,00
Sono
una spia, un dormiente, un fantasma, un uomo con due facce. Iniziava così
“Il simpatizzante”, premio Pulitzer 2016.
È
ancora l’uomo con due facce- si fa riconoscere nel titolo stesso- il
protagonista del nuovo libro di Viet Thanh Nguyen, un romanzo di “Memoria.
Storia. Ricordo”. E questa volta le due facce sono quella vietnamita e quella
americana, quella di chi è stato ucciso e quella dell’uccisore, quella
dell’obbediente figlio cattolico che si comporta come vogliono i suoi genitori
e quella del figlio che vive una vita più libera, di nascosto, per non
addolorarli. Un dualismo sofferto, difficile, sconvolgente.
Quando inizia la memoria?, si chiede lo scrittore. Inizia con i suoi genitori che vengono sempre chiamati come un tutto unico, Ba Má, secondo l’uso vietnamita. È impossibile non condividere con lui l’ammirazione per il padre e la madre, che, dopo essersi sposati giovanissimi, erano fuggiti una prima volta dal Nord al Sud Vietnam e una seconda volta nell’aprile del 1975 (e abbiamo tutti negli occhi la scena diventata iconica dell’elicottero sul tetto e la ressa delle persone che cercavano di salire a bordo).
Si erano lasciati dietro i famigliari, soprattutto avevano abbandonato là la figlia adottiva, avevano dovuto far tacere le voci interne della colpa per sopravvivere nel nuovo paese con i due bambini- Viet e il fratello, maggiore di lui di sette anni. Viet aveva solo quattro anni all’epoca e anche lui avrebbe sofferto per un abbandono. Era stato impossibile trovare uno sponsor che li accogliesse tutti insieme e lui, così piccolo, era stato separato dalla mamma. Proviamo a immaginare che cosa voglia dire, a quattro anni, tra gente sconosciuta che parla una lingua di cui non si capisce una parola, senza la sicurezza della mamma a fianco, fatto oggetto di curiosità perché tanto diverso nell’aspetto. Ba Má erano dei gran lavoratori, la famiglia si era riunita presto a San José in California, avevano aperto un piccolo supermercato con un nome vietnamita che sbandierava la loro provenienza e che li metteva nel mirino degli xenofobi. C’era stata una sparatoria e Ba Má erano stati ricoverati in ospedale. Il giorno dopo erano di nuovo al lavoro. Una volta un uomo armato era entrato in casa loro, la madre era corsa fuori in camicia da notte per chiedere aiuto. Ma loro non erano esuli, non erano espatriati, e neppure immigranti. Loro erano rifugiati, avevano cercato scampo da un paese dove gli americani avevano avuto gran parte nella guerra e nella distruzione.
I ricordi sul passato della famiglia, sugli studi da lui compiuti, sui sacrifici silenziosi che Ba Má avevano fatto per assicurare il meglio a lui e a suo fratello, si uniscono ai ricordi tramandati dai genitori attraverso i loro scarsi racconti e poi si intrecciano alla Storia, rivisitata anche attraverso i film e alla letteratura, tutti che esaltano l’impresa americana tacendo degli orrori, del napalm, delle morti dei civili, ponendo domande disturbanti allo scrittore sulla sua identità e sulla sua condizionata lealtà al paese che li ha accolti. Perché questo romanzo che, come viene detto nella nota finale, ha preso forma da una serie di interviste e conferenze e da una quantità di saggi già pubblicati dall’autore (a questo si deve la sua discontinuità e frammentarietà) è anche un’analisi spietata e corrosiva del razzismo americano profondamente radicato, non solo nei confronti dei neri, ma anche degli asiatici, dei latini, degli irlandesi (finché John Kennedy era stato eletto presidente), degli italiani. Non sono onesti con se stessi, gli americani che festeggiano il Ringraziamento- l’origine della festa non era solo per celebrare il primo raccolto dei Padri Pellegrini, ma anche il genocidio degli indiani.
È un romanzo dalle molte facce, questo di
Viet Thanh Nguyen, lo scrittore che rivela la sua identità nel nome Viet e nel
cognome, quello di una dinastia (il 40% dei vietnamiti si chiama Nguyen). Dopo
gli strali contro gli americani, dopo la pesante ironia nei confronti di un
presidente facilmente riconoscibile il cui nome è barrato come per una censura,
dopo il suo ritorno sempre rimandato nel paese lasciato da bambino dove gli
dicono che parla bene il vietnamita per essere un coreano, Viet Thanh Nguyen
ritorna al tema della famiglia, a Ba Má, alla pena di vedere il crollo della
madre, all’ammirazione per la dedizione totale del padre per la donna che non
aveva mai smesso di amare. E finiamo per pensare che questo libro sia,
soprattutto e prima di tutto, un’elegia per la madre, per il suo coraggio, per
il suo amore che non aveva bisogno di parole per esprimersi e che gli ha
permesso di essere l’uomo che è.