mercoledì 4 luglio 2018

Rebecca West, “La famiglia Aubrey” ed. 2018


                                   Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
                                                            storia di famiglia


Rebecca West, “La famiglia Aubrey”
Ed. Fazi, trad. F. Frigerio, pagg. 570, Euro 18,00

   
  Qualcosa di Nancy Mitford, qualcosa di Elizabeth Jane Howard, tanto di prettamente inglese nel romanzo “La famiglia Aubrey” di Rebecca West, anzi, di Dame Rebecca West per chiamarla con il meritato titolo onorifico. Come Nancy e come Elizabeth Jane, anche Rebecca West scrive un romanzo che è quasi un’autobiografia, costruito sui suoi ricordi, e mette una famiglia numerosa al centro del romanzo- padre, madre, tre sorelle e un fratellino.
  Sbrigativamente si potrebbe dire che non succede niente ne “La famiglia Aubrey”. Succede la vita, ma la lettrice si appassiona ai personaggi, ne segue le piccole storie in un libro in cui prevalgono le figure femminili e gli uomini- per quanto rispettati, serviti e riveriti come tutti gli uomini dell’epoca- non sono degni della nostra ammirazione e, se hanno un ruolo importante, è in un registro negativo. Lui, il capofamiglia, è un editorialista di qualità, e però gioca in borsa, perde costantemente ingenti somme di denaro, vende tutto quello che può vendere, mobili inclusi, riduce letteralmente alla fame la moglie e i bambini. Nella perenne fuga dai creditori gli Aubrey approdano in un quartiere periferico di Londra.
E’ la mamma che tiene alto il morale- non bella, troppo magra, prima di sposarsi era una pianista di successo e la casa degli Aubrey è piena di musica. La musica, l’essere o non essere dotati di capacità musicali- è questo quello che conta, più di ogni altra cosa, è il metro su cui si giudicano le persone. Ci si aspetta molto dal futuro di due delle bambine, le gemelle Mary e Rose, mentre è chiaro, alla mamma e alle gemelle, che la figlia maggiore, Cordelia – così bella con i suoi riccioli rossi- è uno strazio con il violino che però si intestardisce a suonare, convinta di essere vittima di una mancanza d’amore da parte della mamma. Quanto all’unico maschietto, è troppo piccolo per poter giudicare le sue inclinazioni. Tutti lo adorano e lo viziano.
    La voce narrante del romanzo è quella di Rose, sarà lei ad osservare le difficoltà giornaliere di una famiglia che potrebbe ambire ad una vita migliore ma è al di sotto del limite della povertà. Eppure la mamma giustifica sempre il papà, si sente addirittura in colpa per avergli fatto credere che i tre quadri che erano di proprietà della sua famiglia sono solo delle copie- li avrebbe venduti, altrimenti, e invece saranno la garanzia per il futuro dei bambini. Nonostante tutto- tipico del tempo, i primi anni del ‘900- gli Aubrey hanno anche una domestica, tirata fuori da abissi di povertà ancora maggiori.

Rose ci racconta le minuzie della quotidianità, l’isolamento che le bambine sperimentano a scuola, la solidarietà e le scaramucce tra lei e le sorelle, le visite di un’amica della mamma con la figlia (appare sulla scena un altro marito sgradevole e c’è pure un risvolto gotico del romanzo, con fenomeni di poltergeist), l’accanimento con cui Cordelia si dedica al violino, sostenuta da un’insegnante che le procura addirittura degli ingaggi (come in tanti altri romanzi del primo novecento, questo amore unilaterale di una donna per un’altra di molto più giovane nasconde un lesbianismo di cui non si può parlare), un delitto, infine, proprio nella cerchia delle conoscenze degli Aubrey.

    Dame Rebecca West è nata nel 1892, dodici anni prima di Nancy Mitford e addirittura un trentennio prima di Elizabeth Jane Howard. Il suo stile è pacato, non ha la brillantezza e il brio di quello delle altre due scrittrici, è più vicino a quello della tradizione ottocentesca. Tuttavia si avverte, nel romanzo, un fermento sotto la superficie degli avvenimenti, dei segnali leggeri di cambiamenti di un prossimo futuro che porterà la prima guerra mondiale- nuove proposte di legge, nuove fogge per gli abiti femminili, mentre le regole non scritte che codificano i matrimoni sono sempre le stesse dei tempi di Jane Austen. Piace la voce della bambina narrante che ha la saggezza e la maturità che i bambini di oggi non hanno più. Piace il pennello fine con cui vengono tratteggiati i personaggi. Piacciono i paesaggi verdeggianti, i fiori di Kew Gardens, l’atmosfera stillante inglesità di ogni pagina del libro.

la recensione è pubblicata anche su www.stradanove.net
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