lunedì 2 ottobre 2017

Kevin Power, "Giornataccia a Blackrock" ed. 2011

                                 Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
                                                                      noir
       il libro ritrovato


Kevin Power, Giornataccia a Blackrock
Ed. Tropea, trad. Sebastiano Pezzani, pagg. 282, Euro 16,50

In una notte di fine agosto, a Dublino, un ragazzo viene ucciso da dei suoi coetanei con tre calci in testa, all’uscita di un locale. Un narratore esplora le cause di quanto è accaduto, ricostruisce l’infanzia del ragazzo morto e degli altri ragazzi coinvolti nel fatto, li segue nelle aule delle scuole esclusive che hanno frequentato, sui campi di rugby e infine nell’aula del tribunale dove la sentenza emessa non sarà adeguata. Intanto la vita non sarà mai più la stessa per nessuna delle famiglie coinvolte e viene alla luce l’ipocrisia dei valori tradizionali.

INTERVISTA A KEVIN POWER, autore di Giornataccia a Blackrock

     Questo è un libro molto triste. Questo è un libro che racconta una storia irlandese: ‘Ricordatevelo. Bisogna essere irlandesi per capire perché è così importante, perché è uno spartiacque’. E’ quello che dice il narratore del romanzo scritto da Kevin Power, eppure, con delle differenze ambientali e sociali, è una storia che potrebbe essere accaduta ovunque nel mondo occidentale. La futilità di quanto accade ci colpisce proprio per quello, perché ci capita spesso di leggere di simili episodi di violenza che si scatenano senza un motivo giustificato.
    Giornataccia a Blackrock, Bad Day at Blackrock: c’ è un’allitterazione dal suono minaccioso nel titolo originale, sembra quasi di sentire il rintocco di una campana a morto nella scelta dei due monosillabi iniziali seguiti dal nome della località che è formato da altri due monosillabi, uno dei quali significa ‘nero’ (quanto è cupo il colore di questo romanzo) e l’altro ‘roccia’ o ‘sasso’, quasi un’anticipazione di quello che ci verrà raccontato. Blackrock è un quartiere di Dublino che può essere considerato il simbolo del boom economico irlandese. Nella notte del 30 agosto 2004, all’uscita di un locale notturno, un ragazzo di ventun anni viene ucciso durante una rissa. Viene abbattuto con dei pugni, poi, quando è già a terra, lo colpiscono con dei calci alla testa. Il 25 settembre tre ragazzi vengono arrestati. Ci sarà un processo. La pena non sarà pesante per due di loro. Più o meno un anno di carcere per uno, Richard Culhane, che sembra aver sferrato il calcio decisivo.

    I fatti vengono raccontati da un narratore di cui ascoltiamo la voce senza sapere chi sia. Lo scopriremo solo alla fine, quando scopriremo pure in quale maniera sia anche affettivamente coinvolto- e ci viene da pensare a Il grande Gatsby. Perché anche nel romanzo di Fitzgerald c’era un narratore esterno, Nick, che tuttavia conosceva di persona tutti i protagonisti della vicenda. E c’era pure, nella motivazione della tragica fine, la corruzione della ricchezza, lo svilimento dei valori etici di chi crede che i soldi lo mettano al di sopra di tutto. In Giornataccia a Blackrock la voce narrante esordisce dicendo, ‘Non posso raccontare questa storia.’, ‘Non c’ero’, ‘L’ho dovuta ricostruire’. Più avanti si contraddice, asserendo che questa è l’unica storia che può raccontare, perché- e questo lo indovina il lettore- è una storia che gli sta a cuore, per cui non avrà pace finché non l’avrà sviscerata.
   Il nome del ragazzo morto era Conor. Frequentava una scuola esclusiva, come pure i tre ragazzi responsabili della sua morte. La rivalità delle scuole dei quattro giovani, così come il gioco del rugby, l’aver frequentato l’una o l’altra di quelle scuole private da parte del giudice, l’appartenere dei membri della giuria ad una zona piuttosto che ad un’altra di Dublino- tutto questo avrà una grande importanza nello spiegare quello che è successo e la conclusione del processo. Il narratore, che è ossessionato da una frase che qualcuno ha sentito dire quella notte, ‘Gliel’abbiamo fatta pagare a quello stronzetto’, cerca le cause profonde di quell’omicidio. E le individua nell’esplosione troppo improvvisa della ricchezza in Irlanda, un paese che fino a poco prima del secolo XXI era stato quasi un paese del Terzo Mondo, il paese della Grande Carestia, il paese della forte emigrazione dei disperati sulle ‘navi bara’ che solcavano l’Atlantico verso la Terra Promessa dell’America.
Ora i giovani irlandesi vanno in vacanza negli Stati Uniti, quasi fosse il grand tour che veniva giudicato indispensabile per completare la cultura nell’800. La piscina che il padre di Richard Culhane installa nel giardino di casa è un simbolo di questo nuovo stile di vita. Così come lo sono, ad un livello inferiore, i capi di vestiario per le ragazze- la felpa con le stelline, che Laura (era stata la ragazza di Conor, era diventata la ragazza di Richard) indossava la sera della rissa, costava 250 euro; gli stivali Ugg sono un ‘must’; pantaloni della tuta, sì, ma di una certa marca. Non c’è l’abitudine alla ricchezza in Irlanda, bisogna metterla in mostra. E poi c’è l’abitudine, o la moda, di bere smoderatamente. I genitori non lesinano i soldi, non si beve più solo birra come una volta, quando i poveracci dimenticavano sbronzandosi lo squallore della vita quotidiana. I ragazzi bevono birra, poi passano ai super alcolici. I genitori pagano i danni, al massimo fanno qualche ramanzina. La notte fatale i buttafuori del locale notturno non avevano neppure lasciato entrare Richard Culhane, perché era già troppo ubriaco quando era arrivato. Richard era rimasto fuori, continuando a bere, covando la sua gelosia per Laura che indossava la felpa con le stelline. Che Richard sapeva essere stato un regalo di Conor.

     Una storia irlandese- è quello che l’autore ci ripete. Ma c’è anche qualcosa di molto irlandese nelle allusioni letterarie del romanzo. La famiglia Culhane esce distrutta dal processo. Non c’è più alcun futuro per Richard. Lasciano la casa di Dublino (la piscina-simbolo è stata prosciugata) e si ritirano a vivere nella  solitudine di Inishfall. Il narratore sa che prima o poi andrà  a trovarli; ripete di frequente, quasi come un mantra, ‘Andrò a Inishfall. Ma non ancora, non ancora’. E noi risentiamo l’eco dei versi di Yeats (‘E adesso mi alzerò e andrò, e andrò a Innisfree’) che sogna un ritiro di pace che non è certo quello di eterna espiazione dei Culhane. Il narratore andrà ad Ovest: il punto cardinale che è la direzione verso la morte e l’aldilà nella mitologia celtica, che, negli anni tumultuosi della lotta contro la Gran Bretagna rappresentava anche l’orgoglio nazionale, nelle contee dove si parlava ancora, esclusivamente, il gaelico. Nella novella I Morti di James Joyce, Gabriel Conroy, guardando la neve cadere nella notte, pensava che ‘era tempo per lui di intraprendere il viaggio verso ovest’.

   E’ un bel primo esordio narrativo, questo romanzo che mescola il genere noir con la tecnica del romanzo di indagine e con la storia sociale, obbligando tutti ad un esame di coscienza.
Stilos ha incontrato il giovane scrittore irlandese.

Quello che Lei racconta è un fatto realmente accaduto?
    La vicenda è basata su un fatto realmente accaduto, romanzato, naturalmente. E’ successo una decina di anni fa, un ragazzo è stato ucciso a calci, fuori da un locale. Ha suscitato un’enorme controversia proprio perché i ragazzi coinvolti appartenevano tutti a scuole private, erano ragazzi ricchi e di successo.

Il suo narratore dice che questa è l’unica storia che può scrivere. Questo è solo il suo primo romanzo e ne scriverà di certo molti altri, ma ci sembra che questa sia la prima storia con cui Lei volesse iniziare: è la storia della sua generazione?

     Penso proprio di sì. Volevo scrivere di un piccolo mondo di cui non si era scritto finora nella narrative irlandese. Quando sono andato all’università mi sono accorto, dopo aver frequentato un po’ di persone, che ero nella posizione peggiore per scrivere di questo mondo del sud di Dublino. Sentivo di voler spiegare questo mondo: solo un romanzo poteva descriverne e catturarne lo spirito.

Dice che ci sono tre cose che rendono quello che è successo del tutto irlandese: il fatto che i ragazzi fossero cattolici, che fossero ricchi in un paese che non sa come gestire la ricchezza e che fossero i figli della classe dirigente. Ho pensato che questi tre punti potrebbero essere validi anche per l’Italia e che quello che è accaduto a Dublino è accaduto o potrebbe accadere anche da noi…
   Ero piuttosto spaventato, scrivendo quella frase…perchè uno spera che quello che scrive sia universale, che possa essere compreso negli altri paesi. Si può fare questo in un romanzo: rappresentare qualcosa di universale che va al di là del locale. Il motivo per cui il mio narratore dice che quanto accadde era del tutto irlandese è che c’è in effetti una maniera molto irlandese di fare le cose e che è dovuto al fatto che noi eravamo una colonia britannica, le nostre scuole private copiavano il modello di Eton e delle altre famose scuole inglesi dell’élite. Abbiamo fatto una fotocopia del sistema scolastico inglese, ma siamo un piccolo paese post-coloniale e cattolico. La contraddizione di queste due cose- aspirazioni e realtà- fa di questo avvenimento qualcosa di molto irlandese.

Un altro punto che Lei sottolinea è che i membri della giuria non erano del sud di Dublino: quali sono le differenze tra le aree?
     E’ qualcosa di cui non si parla molto: l’area sud di Dublino è una zona molto di moda, è diventato costoso viverci, è diventata la parte della città in cui i ricchi vogliono abitare. Nella zona nord c’erano gli slum, un tempo, c’era il quartiere a luci rosse, ci sono i docks. C’è dell’ironia nel dire che una giuria che non fosse del sud non poteva capire: la zona sud è così claustrofobica, gli abitanti pensano di essere loro che governano il paese, e io volevo farmi beffe del loro snobismo sottolineando che pensavano che gli altri non avrebbero capito.

Al contrario, il giudice simpatizza con i tre ragazzi perchè anche lui ha frequentato la loro scuola. C’è sempre stata questa discriminazione riguardo alla scuola frequentata, o è una cosa recente? Sappiamo bene che è una vecchia tradizione in Gran Bretagna…

     C’è sempre stata. Il Blackrock college c’è da 150 anni, ha creato la classe al potere. Poi è successo che molti sono diventati ricchi improvvisamente e le scuole private sono diventate di moda e molto richieste- tutti volevano mandare i figli a queste scuole private, erano un simbolo del successo.

Questi ragazzi bevono smodatamente, ma l’alcolismo non è sempre stato il peccato nazionale? Che cosa è cambiato nell’abuso di alcol?
   Di certo i ragazzi della mia generazione iniziano a bere a quattordici, quindici anni. Bevono talmente da perdere i sensi: è una forma accettata di interazione, ma è anche un problema nazionale. Tolleriamo il consumo eccessivo di alcol, ci sono moltissimi alcolizzati in Irlanda, è un problema e non c’è nulla di divertente. I personaggi del libro bevono perché sono ricchi. Bevono per dimostrare che possono permettersi di bere. Si beve per un motivo diverso quando si è ricchi. In passato, quando si era molto poveri, si beveva per dimenticare la miseria, ora non più. E i genitori tacciono perché sono quella generazione di genitori liberali che reagiscono con il permissivismo all’educazione cattolica e repressiva che loro hanno avuto. In questa maniera, però, hanno perso qualunque autorità morale. Hanno paura di giudicare i figli.


L’Irlanda è stata colpita dalla crisi, come altri paesi europei. Come hanno reagito i giovani che sono cresciuti in questa ricchezza improvvisa?
     Sono depressi. Si sentono traditi. Gli hanno detto per anni- il governo, i media, i genitori- che avrebbero fatto un sacco di soldi e invece ora l’Irlanda è azzoppata dai debiti. I giovani non trovano lavoro, è già iniziata una nuova emigrazione, verso Londra e verso il Canada, ma di certo i giovani non hanno la forza interiore degli emigranti del passato. Perché non si aspettavano questo.

Non credo di sbagliare, ho visto dei riferimenti a Yeats e a Joyce nel suo romanzo. L’ Irlanda ha una grande tradizione letteraria: riescono a liberarsi di questi miti i giovani scrittori? Oppure preferiscono incorporarli nei loro scritti, cambiandoli con il cambiare dei tempi?
Yeats
     Dovevo venire in Italia per sentire che qualcuno aveva scoperto le tracce di Yeats e di Joyce nel mio libro…ha ragione, le frasi che cita echeggiano quelle della poesia di Yeats e della novella di Joyce. C’è un grosso dibattito in Irlanda- se dovremmo continuare a vivere all’ombra di Becket e di Joyce e di Wilde…A pensarci è strano, quasi buffo, che ci siano così tanti scrittori famosi usciti da un’isola così piccola e che dobbiamo restare nella loro ombra. E tuttavia Joyce è un esempio eccellente, un genio, un uomo dedicato all’arte della scrittura. No, non ho problemi ad avere questi grandi davanti a me- o dietro di me: sono un’ispirazione. E’ inevitabile che ti entrino nel sangue e che si faccia riferimento a loro, anche senza esserne del tutto consci.

Il rugby occupa un posto importante nel romanzo: perché?
    E’ buffo dire che io non so quasi nulla di rugby e ho dovuto chiedere a mio padre, per saperne di più. Il rugby è importante perché fa parte della cultura delle scuole private, come nei college americani. I ragazzi che giocano a rugby sono popolari, acclamati, ricercati dalle ragazze. Eppure tutto questo non sembrava naturale in Irlanda: è una moda importata dagli Stati Uniti di recente. Io volevo sottolineare tutto questo, dando importanza al rugby: come il rugby sia uno sport rubato all’Inghilterra e circondato dall’alone di grandezza proprio dell’America. E’ qualcosa che non ci appartiene, che non è della nostra tradizione, come la ricchezza.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos



                                                                             


Nessun commento:

Posta un commento