giovedì 29 novembre 2018

Min Jin Lee, “La moglie coreana” ed. 2018


                                                       Voci da mondi diversi. Corea
           saga


Min Jin Lee, “La moglie coreana”
Ed. Piemme, trad. F. Merani, pagg. 593, Euro 18,70


       Dalla Corea al Giappone, quasi un secolo di storia coreana attraverso quattro generazioni di una famiglia: se leggere significa non essere mai soli, se vuol dire viaggiare con la mente in paesi e tempi diversi, iniziate la lettura de “La moglie coreana” di Min Jin Lee e sarete trasportati altrove, coinvolti in una Storia di cui sapevamo poco o nulla, in compagnia di personaggi che amerete.
     All’inizio del libro la Corea è stata da poco annessa al Giappone. Hoonie, figlio di un pescatore, zoppo e deturpato da un labbro leporino, sposa la quindicenne Yangjin. Solo una dei loro figli, Sunja, sopravvive alla prima infanzia, diventa un’adolescente non bella ma attraente, si innamora- meglio, viene irretita da un affascinante coreano che vive per lo più in Giappone, un uomo dagli abiti eleganti e scarpe bianche che fa il commerciante ma che appartiene alla banda criminale della yakuza. Naturalmente lui è sposato, naturalmente lui la mette incinta. E’ anche disposto a mantenerla come amante, ma Sunja non vuole. La aspetta il disonore e la solitudine. La sua salvezza arriva da un pastore anglicano a cui lei e la madre hanno dato alloggio e salvato la vita: si offre di sposarla, di riconoscere il bambino come suo e di portarla con sé dal fratello in Giappone.

    Era un preambolo necessario, perché da questo punto la scena si sposta ad Osaka (in seguito sarà a Yokohama e Tokyo) e diventiamo testimoni delle difficoltà dei coreani immigrati in Giappone, considerati degli esseri inferiori, pesantemente discriminati, esclusi dalla maggioranza dei lavori, costretti a vivere in tuguri sulla soglia della povertà. E’ la storia degli immigrati di qualunque nazionalità, in qualunque angolo del mondo, divisi tra il desiderio di essere accettati e quindi in qualche maniera integrarsi, e quello di mantenere vive le proprie tradizioni e la propria identità. Noa, il figlio maggiore di Sunja, che non sa chi sia il suo padre naturale, diventa il migliore esempio di questa scissione di identità. Intelligente, studioso, ambizioso, vorrebbe cancellare la sua origine coreana. Quando viene a sapere chi è veramente suo padre e quale sia l’origine dei soldi che gli hanno permesso di frequentare la migliore università del Giappone, Noa crolla. Il suo destino forse era segnato fin dall’inizio, quando la madre si era imbarcata al seguito del generoso pastore intenzionata a non dire mai la verità al figlio. Eppure, nonostante gli errori, nonostante le limitazioni dovute alla mancanza di cultura, sono le donne le figure trionfanti di questo romanzo. Sunja e sua cognata- diventata una sorella per lei- si impegnano per guadagnare qualche soldo durante gli anni in cui il marito di Sunja è in prigione per non aver reso debito omaggio formale all’Imperatore.
Vendono al mercato kimchi fatto in casa, lavoreranno poi in un ristorante. Stanno andando contro la volontà del cognato di Sunja, contro la tradizione che giudica disonorevole per una donna lavorare. E non è questa l’unica vecchia norma ad essere infranta. Il figlio minore di Sunja troverà un impiego in un pachinko (questo il titolo originale, “Pachinko”- il nome dei locali così diffusi tuttora in Giappone dove si gioca d’azzardo con le macchinette). Tutti sanno che i pachinko sono gestiti da coreani malavitosi che fanno parte della yakuza: starà a lui, Mosezu, e poi a suo figlio Solomon (bella anche la storia che riguarda Solomon) dimostrare che si può essere coreani ed essere onesti, anche se è difficile cancellare la nomea.

      I grandi avvenimenti della Storia rimangono nello sfondo. L’occupazione della Manciuria da parte del Giappone, le donne coreane rapite per farne schiave del sesso, la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki- ne apprendiamo da quello che si vocifera, vediamo la vita distrutta del cognato di Sunja rimasto gravemente ustionato, il faticoso riprendere dell’economia, gli americani che, dall’essere i nemici, diventano l’esempio da imitare. E’ la Storia vissuta da chi ne sta ai margini, impegnato nella lotta per la sopravvivenza.
     Min Jin Lee ha una bella scrittura che supera brillantemente i salti temporali della narrazione. Un libro vivido e pulsante.

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martedì 27 novembre 2018

Kawakami Hiromi, “I dieci amori di Nishino” ed. 2018


                                                           Voci da mondi diversi. Giappone


Kawakami Hiromi, “I dieci amori di Nishino”
Ed. Einaudi, trad. A. Pastore, pagg. 154, Euro 18,00

    Originale, l’idea di mettere un personaggio maschile al centro di un romanzo e circondarlo di donne, dieci per tutte quelle con cui lui sarà andato a letto. Dieci punti di vista per un personaggio sfuggente, che dà molto poco di sé, grande amatore che è incapace di amare. E’ vero che Yukihito Nishino colleziona donne, infilandole una dopo l’altra come se fossero perle su una collana. Ma è anche vero che sono sempre loro a troncare la relazione. Lo precedono? Avvertono che, in ogni caso, ognuna di loro è una delle tante (riceve telefonate da altre donne anche mentre si trova con l’amata del momento), sostituibile, oggetto di un innamoramento più che di amore.
    Dieci punti di vista su un uomo colto in varie epoche della sua vita, e non in ordine cronologico. Nell’ultima ‘storia’ Nishino ha appena diciott’anni mentre nella penultima ne ha cinquantaquattro ed è in compagnia di una ragazza di almeno vent’anni più giovane di lui che lo tratta con una certa aria di sufficienza. “Era un ragazzo strano”, è l’esordio dell’ultima storia, sappiamo della sua morte improvvisa nella penultima e lo vediamo apparire come spirito o fantasma nel primo di questi punti di vista, quello che è duplice in realtà- Nishino visto dalla madre, che non aveva neppure trent’anni all’epoca in cui era innamorata di lui (che ne aveva quaranta), e dalla figlia, bambina di sette anni che andava con loro in un dehors dove Nishino ordinava per lei un parfait alla fragola (che non piaceva alla piccola). L’interesse di Nishino per la bambina è un poco ambiguo, ma ancora più sconcertante è la storia raccontata da una compagna di scuola (all’epoca sia lei sia Nishino avevano quattordici anni) che non aveva saputo come interpretare la situazione in cui aveva sorpreso Nishino, finché lui le aveva spiegato che la donna che era con lui era sua sorella, che lei aveva perso da poco una bambina e lui cercava di alleviare il suo dolore.

     “Perché non sono capace di amare una donna?”, “Cosa c’è che non va in me?”, chiede Nishino. Che cosa ci sia che non vada in Nishino lo dice un’altra delle donne da lui amate- non si sentiva mai interamente tranquilla con lui, era come se un’aria gelida emanasse dalla sua persona.
     Le storie si rincorrono, si avvolgono su se stesse, si intrecciano, a volte si ripetono ma da un’altra visuale- quando è fidanzato con Manami escono a pranzo con la sua ex, Kanoko, e anche Kanoko, quando è lei a raccontare, parla dell’incontro con la fidanzata di Nishino, Manami. Sono donne di tutte le età che svolgono professioni diverse, una è parecchio più anziana e dice di averlo conosciuto ad un corso di cucina a risparmio energetico, un gatto galeotto di nome Mau è l’occasione per allacciare un nuovo legame, in un’altra storia finisce a letto con l’amica che condivide la mini-casa della ragazza del momento.
     Nishino è freddo, è egoista, è un narcisista. Eppure tutte hanno amato il suo fascino sfuggente. E lo ricordano. Non è difficile per noi interpretare le motivazioni del suo comportamento, non è necessario sapere molto di psicologia per individuare il trauma che lo ha segnato.

L’abilità della scrittrice, in cui riconosciamo lo stesso tratto leggero che abbiamo già ammirato ne “La cartella del professore” (premio Tanizaki) e ne “Le donne del signor Nakano”, è nel non dire nulla esplicitamente, nell’aggiungere dettaglio su dettaglio, sfumare colore su colore nel ritratto di questo tombeur de femmes, e lasciar trarre le conclusioni al lettore.

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domenica 25 novembre 2018

Len Deighton, “SS-GB. I nazisti occupano Londra” ed. 2018


                        Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
   distopia
 seconda guerra mondiale

Len Deighton, “SS-GB. I nazisti occupano Londra”
Ed. Sellerio, trad. Simona Fefé, pagg. 495, Euro 15,00

      Londra 1941. L’esito della battaglia d’Inghilterra dell’anno precedente non è stato favorevole agli inglesi. Hanno vinto i nazisti annientando la forza aerea britannica e sono riusciti in qualcosa di impensabile: hanno invaso l’Inghilterra.
Churchill è morto. Il Re è prigioniero nella Torre, i fantasmi dei principini morti tra quelle mura aleggiano nell’aria. Londra è soffocata sotto una coltre grigia. Grigia l’aria per lo smog, per la polvere delle macerie. Grigio l’umore degli abitanti in coda per procurarsi cibo e vestiti. Si sente la paura serpeggiare, si vedono occhi sfuggenti, si percepisce un senso di all’erta: i delatori possono essere i tuoi vicini di casa, gli stivali della Gestapo possono risuonare sulle scale per venire a prendere te.
     Un antiquario viene ritrovato morto nella sua casa. Indossava il cappotto- perché la casa era fredda o perché era appena rientrato e aveva trovato l’assassino ad aspettarlo? Strane ustioni sulle sue braccia: con leggerezza e un macabro senso dell’humour qualcuno suggerisce se le sia procurate esponendosi troppo a lungo ad una lampada abbronzante.

      Questo è l’inizio del libro di Len Deighton, romanzo distopico che ricorda- prospettando una realtà alternativa meno estrema- “La svastica sul sole” di Philip Dick. Len Deighton sceglie una trama di indagine poliziesca per farci immaginare le conseguenze della vittoria di Hitler che ha mantenuto l’alleanza con i Russi mentre Roosevelt non ha ancora preso la decisione di entrare in guerra. La trama ‘gialla’ vira presto verso una storia di spionaggio di cui è facile capire le implicazioni quando (molto presto) si scopre che le scottature sulle braccia del morto sono dovute ad esposizione a radiazioni e viene anche svelata la vera identità della vittima.
    Due poliziotti indagano, una coppia simile eppure diversa dalle coppie fissate dal modello Holmes-Watson. Il soprintendente Douglas Archer è giovane, ha appena perso la moglie durante un bombardamento, è un antinazista che cerca di lavorare nell’ombra anche se è spesso sollecitato ad unirsi alla Resistenza- troppo rischioso, avendo anche la responsabilità di un bambino. Harry Woods è il suo doppio più anziano, meno istruito, più intuitivo e istintivo. Tra di loro c’è un legame più vicino a quello che c’è tra padre e figlio che tra colleghi. L’assoluta mancanza di diplomazia di Harry è un problema nei rapporti giornalieri con i superiori tedeschi- c’è un limite alla loro tolleranza e Harry ne pagherà le conseguenze.

     Di chi fidarsi in un paese occupato? Come interpretare correttamente le profferte amichevoli dei nazisti? Il romanzo di Leighton procede tra rivelazioni e colpi di scena- c’è qualcosa top secret che riguarda l’arma segreta che è ancora in fase di studio, di cui si vocifera che avrebbe un potere altamente distruttivo, al di là di ogni possibile immaginazione. Dove sono finiti i calcoli che lo pseudo-antiquario doveva avere con sé? Potrebbero servire come merce di scambio per la vita del Re? Ma, se da una parte i tedeschi sarebbero ben felici di sbarazzarsi di questo ingombrante prigioniero, d’altra parte è anche vero che sarebbe un altrettanto ingombrante ospite oltreoceano, in quelle che una volta erano le colonie della Corona. E così il Re diventa una figura patetica, simbolo di un mondo che sta per scomparire se non è già scomparso.
      Per Len Deighton la trama è la parte più importante del suo libro, i personaggi lo sono meno, sono monodimensionali, soprattutto quello femminile della giornalista americana che avrebbe meritato un maggiore approfondimento. La spy-story, invece, è originale e convincente, così come lo è l’atmosfera buia del romanzo.

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giovedì 22 novembre 2018

Michel Bussi, “La doppia madre” ed. 2018


                                                       Voci da mondi diversi. Francia
                                                        cento sfumature di giallo


Michel Bussi, “La doppia madre”
Ed. e/o, trad. A. Bracci Testasecca, pagg. 416, Euro 15,90

     Due madri. Anzi, a dire il vero, più di due madri in questo nuovo romanzo di Michel Bussi che sembra ruotare intorno al tema della maternità, coinvolgendo tutti i personaggi femminili- l’ispettrice Marianne Augresse che sente ticchettare l’orologio biologico e vuole disperatamente trovare un uomo che la metta incinta, la sua amica Angélique che le confida di non poter più avere bambini dopo un incidente che le ha causato un aborto, e poi le due madri del piccolo Malone (e diventeranno poi tre, alla fine). Malone va dicendo che la mamma con cui sta, quella che gli fa le coccole e lo porta all’asilo, che lui chiama ‘mamma-da’ (forse sarebbe stato meglio lasciare il francese ‘maman-da’ per l’assonanza con il nome della donna, Amanda), non è la sua vera mamma. Ma chi crede a un bambino di tre anni? Dice tante cose che sembrano le storie che i bambini si inventano, Malone. Parla di una casa affacciata sul mare, di un castello, di un razzo, di orchi. Dice che il suo peluche Guti (sembra un topo, che animale è mai?) gli racconta le storie e sembra sicuro di quello che dice. Soltanto lo psicologo scolastico Vasil gli crede, guarda i suoi disegni con occhio attento e prende l’iniziativa di andare a denunciare il caso alla polizia. Gli succede come a Malone: nessuno gli presta orecchio, Marianne Augresse e il suo vice (un gran bell’uomo, in apparenza marito e padre perfetto, finché si scopre che non è così, toccando il tasto dolente dell’assenza dei padri nelle famiglie) sono impegnati nella ‘caccia al ladro’.
scena dall'adattamento televisivo del libro

     Una banda di tre ladri ha fatto un colpo grosso svaligiando negozi di articoli di lusso griffati a Le Havre. Nell’inseguimento due sono morti, un uomo e una donna, come Bonnie e Clyde, uno è rimasto gravemente ferito ma è riuscito a fuggire e la refurtiva è letteralmente scomparsa. C’era una quarta persona coinvolta? Come hanno fatto?
     I filoni sembrano essere due, indipendenti l’uno dall’altro, ed è chiaro che il pericolo per Malone contro cui lo psicologo mette in guardia viene sottovalutato. Finché di Vasil resta solo un corpo carbonizzato.
    
Michel Bussi è un maestro nell’arte di raccontare una storia tenendoci con il fiato in sospeso. Sa toccare le corde più diverse- quella del genere poliziesco, ricca di enigmi, suspense, colpi di scena, inseguimenti e scene di crudeltà che aumentano il livello di tensione perché a questo punto, sapendo che in qualche maniera il bambino è coinvolto, tremiamo per la sua vita, quella più prettamente femminile con desideri di maternità frustrati, dolori che solo una madre può aver provato, rabbia nei confronti di chi è indegno di essere madre, e infine quella che ci fa intenerire, la vicenda di un bambino di tre anni a cui si cerca di rubare la memoria, sostituendo i suoi ricordi con altri fabbricati apposta, un bambino con un peluche che è un aguti- un animale che ha una sua storia pertinente con quella finora narrata- e che è la memoria stessa del piccolo Malone.
    Il thriller di Michel Bussi ha un altro pregio, oltre ad essere una piacevolissima lettura: c’è un lieto fine, una volta tanto. Anzi un doppio lieto fine inaspettato, a sorpresa.

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martedì 20 novembre 2018

Medtner plays Medtner Concerto No. 1 Op. 33

                                   Casa Nostra. Qui Italia
                                musica per un libro



La musica di Nikolaj Medtner che risuona per tutto il romanzo di Luigi Ferrari, "Triade minore"

Luigi Ferrari, “Triade minore” ed. 2018


                                                     Casa Nostra. Qui Italia
   biografia romanzata
   mystery

Luigi Ferrari, “Triade minore”
Ed. Ponte alle Grazie, pagg. 281, Euro 13,60


       Non sono un’esperta di musica ma, nel suo romanzo “Triade minore”, Luigi Ferrari spiega molto bene che cosa sia la ‘triade minore’ che dà il titolo al libro e trasferisce sul terzetto di personaggi il suo significato: in termini profani di cui mi scuso, nella musica l’introduzione di una nota intermedia tra i suoni della diade rende completa armonicamente la sonorità che ne risulta. I legami d’amore che si presentano con diverse varianti nel libro- un affascinante mix di storia della musica, ma anche di storia della cultura russa agli inizi del ‘900, storia d’amore, ghost story, mystery- non sono dei banali ‘ménages à trois’ che hanno sempre qualcosa di imperfetto, ma delle ‘triadi minori’, dei rapporti che non potrebbero sussistere se uno degli elementi venisse a mancare.
     Cardiff, maggio 2015. Brynmore Davis, direttore delle trasmissioni musicali radiofoniche per la BBC, è sulla sessantina, ha una moglie che ha vent’anni meno di lui e un grande rimorso. Vent’anni prima ha mandato un giovane collaboratore, Iwan Pryce, a intervistare una celebre pianista inglese novantenne. Iwan aveva perso la vita in un incidente d’auto poco chiaro durante il viaggio di ritorno e Brynmore era andato letteralmente in pezzi, attribuendosi la colpa di quella morte. Ed ora il passato ritorna (attenzione, sono tanti i revenants che riemergono dalle ombre in questa vicenda): un poliziotto consegna a Brynmore una borsa che era appartenuta a Iwan e che contiene i nastri registrati delle conversazioni che Iwan aveva avuto con la pianista.
Nikolaj Medtner
Inizia la catena di misteri: l’auto di Iwan era andata a fuoco, come ha fatto la sua borsa a sfuggire alle fiamme? Chi l’ha conservata fino ad ora e perché è stata consegnata solo adesso a Brynmore? Tante cose sono inspiegabili: biglietti da visita con numeri di telefono inesistenti, un poliziotto a dir poco ambiguo e difficile da rintracciare…La prima cosa da fare è ascoltare i nastri con un datato mangiacassette che per fortuna è accluso nella borsa- deve essere quello in dotazione della BBC usato da Iwan. Non è solo il racconto della vita della pianista che adesso ascolteremo insieme a Brynmore, ma anche quello della sua amicizia con un compositore russo quasi sconosciuto (purtroppo, perché eccezionale), Nikolaj Medtner, di suo fratello maggiore Emilji e della violinista Anna, moglie di Emilji prima e poi anche di Nikolaj dopo esserne stata l’amante: ecco la triade minore.
Nikolaj, Emilji e Anna
     Impossibile dilungarsi e dire altro. Questo è un libro da leggere e da assaporare, anche se gli enigmi del mystery ci incalzano a non sostare, perché siamo curiosi. Eppure vale la pena di prendersi delle pause, di fare quello che fa Brynmore che cerca furiosamente su youtube i pezzi della musica di Medtner e se ne lascia incantare. Di più. Medtner non è l’unico compositore che ascoltiamo in queste pagine. Affiorano altri nomi, alcuni famosi come Rachmaninov, altri di compositori morti giovanissimi e che è un peccato aver dimenticato. Come un altro revenant, Alexei Stanchinsky, figura misteriosa che riappare e che potrebbe far dubitare chiunque (Brynmore per primo) di essere impazzito.
      Costruito con grande abilità, insolito nel panorama della letteratura italiana, un romanzo che ci lascia con la testa piena di musica e di ammirazione per un genio che ha saputo vivere per la sua arte, incurante dei profitti materiali e dell’approvazione di un pubblico.

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domenica 18 novembre 2018

Murakami Haruki, “L’assassinio del commendatore” ed. 2018


                         Voci da mondi diversi. Giappone


Murakami Haruki, “L’assassinio del commendatore”
Ed. Einaudi, trad. A. Pastore, pagg. 411, Euro 17,00

    Un altro libro che finisce in sospeso, proprio come quello appena letto di Carmen Korn. Anche questo, “L’assassinio del commendatore”, termina in un momento cruciale, anzi, peggio, con la pagina presa da un libro che parla di un ritrattista nel campo di Treblinka: che cosa ha a che fare con la storia che abbiamo appena letto? Abbiamo girato pagina, curiosi. Niente. Pagina bianca. Fine del primo libro. Eh no, Murakami Haruki, non dovevi farlo! Dovremo aspettare il seguito con pazienza.
    Il protagonista è un pittore di ritratti. Il suo stile e il suo metodo sono particolari. Non ritrae mai dal vero, vuole incontrare e parlare con la persona che deve dipingere: ha una straordinaria capacità di intuito, di capire la personalità di chi gli sta di fronte. A volte, nei suoi quadri, appaiono tratti di un carattere che l’altro neppure sapeva di avere ma che riconosce come propri, quando li vede sulla tela.

    Il pittore è in crisi. Sua moglie lo ha appena lasciato. Un amico, figlio del famoso pittore Amada Tomohiko, gli offre ospitalità in quella che era la casa di suo padre, in un luogo isolato sui monti. E adesso incominciano le coincidenze e le stranezze, il racconto che corre sul filo sottile tra realtà e irrealtà, nello stile tipico di Murakami Haruki. Incontra un uomo molto ricco e molto ambiguo che abita in una splendida villa sul dorsale del monte di fronte alla sua casa. Si chiama Menshiki che vuol dire ‘assenza di colore’. Prendiamo nota, sappiamo che i dettagli sono importanti nei libri di Murakami. Menshiki ha folti capelli bianchi- il pittore pensa al personaggio di Poe i cui capelli si sono incanutiti dopo la discesa nel maelström. E noi sentiamo il richiamo non solo a Poe ma anche a Henry James de “Il giro di vite” nel romanzo dello scrittore giapponese. Se è difficile distinguere tra ciò che è reale e ciò che non lo è, l’arte pittorica (ma potrebbe anche essere la scrittura) è il mezzo migliore per lasciare intuire all’occhio quello che questo non riesce a vedere.
Quale messaggio vuole comunicare lo strano personaggio che spunta da una botola nel quadro di Amada Tomohiko che il nostro pittore ha ritrovato in soffitta e che reca il titolo “L’assassinio del commendatore”? non c’entra niente con la scena che sembra essere suggerita dal “Don Giovanni” di Mozart. Più tardi, però, Menshiki darà un’altra interpretazione del quadro, collegandolo ad un attentato a Hitler a cui- si dice- avesse partecipato anche Amada prima di essere espulso da Vienna e di ritornare in patria per subire una metamorfosi e cambiare del tutto il suo stile di pittura.
      Metamorfosi: anche su questa parola dovremmo riflettere perché anche il nostro pittore trasforma il suo modo di dipingere quando esegue, su commissione, il ritratto di Menshiki. E facendo così, cambia anche se stesso. E che dire dell’omino alto 60 cm. che esce fuori dalla buca nel giardino da cui proveniva un misterioso suono di campanella? E’ vestito come il commendatore del quadro, dice di non essere un fantasma ma un’idea e solo il pittore lo vede e lo sente parlare.

     Non può avere una conclusione il parlare di un libro che non si conclude, un libro che stuzzica, che offre tante interpretazioni diverse quanti sono i suoi lettori, che di certo esalta l’arte- qualunque forma di arte- come un terzo occhio, una dimensione aggiunta.
     Un romanzo di Murakami è sempre imperdibile.

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mercoledì 14 novembre 2018

INTERVISTA A QIU XIAOLONG, autore de “L’ultimo respiro del drago” 2018


                             Voci da mondi diversi. Cina
                           cento sfumature di giallo
        

     E’ l’entusiasmante settimana di Bookcity, a Milano. Una settimana di incontri con gli scrittori, una settimana in cui i libri sono i grandi protagonisti. Pregustavo il piacere di rivedere Qiu Xiaolong, lo scrittore cinese che vive da anni negli Stati Uniti- è sempre stimolante parlare dei suoi personaggi con un autore, discutere con lui di che cosa si può leggere ‘dietro’ le parole stampate.

Ho letto tutti i romanzi con Chen Cao come protagonista e aspetto sempre con ansia di leggere di una sua nuova indagine. Sbaglio o è vero che ogni Suo libro è sempre più politicamente impegnato?

     Ha ragione. Perché sono sempre più deluso da come si sta trasformando la Cina. Chen Cao in passato era più ottimista e credeva che la Cina, nei primi anni ‘90, si stesse muovendo nella giusta direzione, ma i problemi sono sempre più numerosi e Chen Cao non sa più se quella sia la direzione giusta. La Costituzione è cambiata, c’è un giro di vite nel paese.
Faccio un esempio che mi riguarda. Scrivo articoli in cinese per un giornale cinese ma, di recente, un paio di settimane fa, ho ricevuto una mail dal direttore del giornale che mi comunicava che ci sono nuove regole dall’alto: non si può pubblicare niente che riguardi la Rivoluzione Culturale. Mi è capitato di accennarvi ma non ho mai detto espresso nessun giudizio. Ecco, nell’ambito politico la situazione in Cina sta peggiorando.

Questa era proprio la seconda domanda che volevo farLe: come è adesso la censura in Cina, ufficialmente e non ufficialmente?

     Anche riguardo a questo farò un esempio. In Cina usiamo Wechat, analogo al vostro Whatsapp. Avevo scritto un articolo citando versi di Yeats sull’Easter Rising in Irlanda- pensavo fosse un’allusione intelligente. Quando l’articolo fu pubblicato, l’ho messo su Wechat. Pochi giorni dopo sono stati messi al bando gli articoli con citazioni di Yeats e il mio pezzo era già stato fatto sparire da Wechat (Mr.Qiu mi mostra sullo schermo del cellulare la pagina con un grosso punto esclamativo rosso dove prima c’era il suo articolo).

Nonostante non lo ammettano, gli scrittori che vivono in Cina non sono dunque liberi di scrivere tutto quello che vogliono?

    Non lo dicono apertamente, ma la censura c’è, anche se gli scrittori che vivono in Cina si difendono dicendo che una certa forma di censura c’è in qualunque paese. E sì, siamo noi espatriati che siamo liberi di parlare e non è giusto che io dica qualcosa sugli scrittori che vivono là. Per me è facile, per loro no. In Cina c’è un’Associazione degli Scrittori a cui bisogna essere iscritti se si è uno scrittore- è dall’Associazione che gli scrittori ricevono lo stipendio. Quindi devono seguire le direttive se vogliono essere pagati. 

Sono pubblicati i suoi libri, in Cina?

     Alcuni, ma non tutti. I primi tre e la raccolta di racconti. Ma le traduzioni cinesi- che non sono io a fare- sono un buon esempio di censura. I miei romanzi sono ambientati a Shanghai- la traduzione cinese non parla di Shanghai che diventa la città H. Così vengono cambiati anche i nomi delle strade e dei ristoranti.

Sarebbe possibile comprarli in inglese in Cina?
    
Negli anni più recenti non è stato più possibile, però, ogni tanto, si vede qualche copia in inglese. Gli espatriati che hanno fatto ritorno in Cina hanno aperto alcune librerie e vendono romanzi in inglese, poi magari li tolgono di mezzo secondo come tira l’aria. Una volta ho visto uno dei miei libri in inglese all’aeroporto. Era “La ragazza che danzava per Mao” e mi sono stupito. Questione di mercato- li espongono, pronti a tirarli via se qualche delegazione o personaggio importante è atteso di passaggio in aeroporto.

Le vengono poste difficoltà d’ingresso, quando ritorna in Cina?

     Devo chiedere il visto ma no, non ho problemi. E’ sufficiente che non dichiari di essere uno scrittore o un giornalista. Basta che dica che sono un insegnante e va tutto bene. Probabile che sappiano, ma fanno finta di no.

Nel suo libro c’è una frase a cui continuo a pensare. Shanshan parla dell’inquinamento della mente, più grave ancora dell’inquinamento atmosferico. Può spiegarmi meglio?

    L’inquinamento dell’aria e dell’acqua ha molto a che fare con le autorità pubbliche, si può dire che molte persone contribuiscono in maniera irresponsabile con l’accordo del regime del Partito. Una volta il nostro paese seguiva in maniera quasi compatta l’insegnamento etico di Confucio: Confucio stabilisce chiaramente quello che puoi fare e quello che non puoi fare. E i Cinesi seguivano questi principi etici. Oggi si può fare qualunque cosa. Non c’è una discussione ideologica- la gente fa questa cose in maniera irresponsabile a spese dell’ambiente. A nessuno importa, a nessuno interessa. Quello che importa è l’interesse personale. Questo è l’inquinamento della mente. Il dire ‘intanto lo fanno tutti’. E’ la cultura del successo- se non riesci ad arricchirti, sei un fallito.


La Rivoluzione Culturale, l’estrema povertà, le durezze, le morti, seguite poi da un’improvvisa e incredibile ripresa ed un balzo in avanti, sono forse responsabili di questo atteggiamento di oggi?

     Ha ragione: l’improvviso balzo in avanti dell’economia ha a che fare con questo. La gente credeva nel confucianesimo, poi, nel secolo XX, nel comunismo o nel maoismo. La gente credeva in qualcosa, insomma. Mao provocò dei disastri ma la gente credeva in lui. Dopo seguì la disillusione. Dopo il 1989 le persone diventarono ciniche. Il pensiero comune era- ‘oggi io vivo bene, non mi importa del domani’. Era un’assenza totale di un qualunque credo. Anche i funzionari del partito che aderivano a parole ai dettami del partito, in privato non credevano a nulla. La corruzione è dilagante in Cina, ma la gente la dà per scontata.

Questo non è solo un fenomeno cinese, però. Anche in Italia c’è molta corruzione e la tendenza a pensare, ‘lo fanno tutti’.

      Sì, ma c’è una differenza. In Italia avete un partito di opposizione, c’è una possibilità di cambiamento. In Cina c’è un solo partito e tutti i media sono controllati da questo partito. La maggior parte dei membri sono corrotti. Un altro esempio.
Tre settimane fa, il capo dell’Interpol i cui quartieri generali hanno sede a Lione in Francia, vice ministro della Pubblica Sicurezza, è scomparso. Fonti ufficiali cinesi hanno dichiarato che Meng Hongwei è un funzionario corrotto ed è trattenuto in Cina per indagini. A tutt’oggi non se ne sa nulla. E’ probabile che avesse scoperto qualcosa che poteva danneggiare qualcuno in alto loco e lo abbiano tolto di mezzo. Sua moglie è stata minacciata ed attualmente è stata messa in un luogo sicuro dalla polizia francese- corre il rischio di essere uccisa.
Meng Hongwei
Un dettaglio del romanzo mi ha incuriosito: è vero che sono in vendita, provenienti dal Canada, delle lattine di aria fresca? O è un paradosso?

      No, no, è vero. Sono proprio delle lattine da cui si può inalare aria fresca. Sono per chi ha i soldi per questo genere di cose. Ti senti soffocare, apri la lattina e bevi qualche sorsata di aria pulita…

Le cifre che Lei cita, di morti annuali per tumore ai polmoni, sono molto alte: che cosa fa il Governo? Il Ministero della Salute propone qualche legge?

     Ad essere sinceri il governo voleva fare qualcosa, è contro il loro interesse che l’inquinamento continui. La realtà è che possiamo anche avere delle norme ma alla gente non interessa. E neppure al governo interessa più che tanto. Tranne quando c’è qualche evento importante, allora si emana l’ordine che vengano chiuse le fabbriche, si fermi il traffico e…miracolo, il cielo diventa blu. Perché non può essere così sempre? Perché il costo economico sarebbe troppo alto. Ad ogni modo si potrebbe fare qualcosa di più. La giustificazione per il Governo è che l’economia va bene, niente altro importa. Se controllassero l’inquinamento, l’economia ne risentirebbe.


Chen Cao è sempre più solo. Rappresenta, in qualche maniera, la solitudine di ogni cinese, smarrito nel nuovo mondo che ha sostituito quello vecchio così rapidamente?

     Ha ragione. Chen Cao è sempre più solo e sempre più frustrato. Aveva degli amici, una certa vita sociale. Adesso, però, le cose sono cambiate, le persone non si ritrovano più insieme. In passato c’era chi amava la letteratura e la poesia, adesso sono tutti occupati a fare soldi. Chen Cao è frustrato e politicamente isolato.

Chen Cao è un uomo molto colto. Ce lo dicono le citazioni di poesie cinesi che ci ha insegnato ad amare, quelle di T.S.Eliot e, ne “L’ultimo respiro del drago”, anche di Milan Kundera. La sua ampia cultura è un’eccezione? Si riescono a trovare le traduzioni in cinese della letteratura occidentale, di libri come “L’insostenibile leggerezza dell’essere”?

     Non direi che è un’eccezione ma il numero di persone che ha una cultura e degli interessi come i suoi non è alto. Dopo la Rivoluzione Culturale ci fu un periodo aperto durante il quale moltissimi libri stranieri furono tradotti in cinese, anche perché la censura era meno pesante nei riguardi delle opere straniere- Kundera non faceva paura a nessuno.

Ha già pensato ad una possibile ‘fine’ per il suo amatissimo personaggio?
    
Nel prossimo libro- che sto scrivendo- Chen Cao è sempre più nei guai. Nella sua nuova posizione ha un potere solo simbolico e non può investigare apertamente. Deve usare una copertura e la sua copertura è scrivere un romanzo sul giudice  Dee- il protagonista dei ‘gialli’ dello scrittore olandese Robert Van Gulik ambientati durante la dinastia Tang. C’è un romanzo dentro un romanzo, ci sono due inchieste, quella di Chen Cao e quella del giudice Dee.

Sarebbe una sorta di ‘play within the play’ scespiriano?

  Esattamente- mi interessava sperimentare qualcosa di nuovo, sarà intrigante.

Però non ha risposto alla mia domanda: ha pensato a come dovrà finire, prima o poi, il suo personaggio?

       Anche un giornalista cinese me lo ha chiesto: come è riuscito Chen Cao a risolvere tanti casi senza farsi ammazzare? La sua fine sarà così- o sarà messo a tacere o sarà ucciso. Ma c’è ancora tempo.


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