Voci da mondi diversi. Penisola iberica
Antonio Soler è nato a Màlaga nel
1956. Giornalista e sceneggiatore televisivo, ha scritto parecchi romanzi di
cui in italiano è stato pubblicato "Gli angeli caduti" (il
Saggiatore, 2000), vincitore del Premio Herralde de Novela e del Premio
Nacional de la Critica. "Il nome che ora dico" ha vinto invece il
Premio Primavera de Novela. Abbiamo parlato con lo scrittore, a Milano per la
presentazione del suo libro e per un incontro sul tema de "Il giallo nei
giorni della guerra" presso l'Università Cattolica, con l'intervento di
Bruno Arpaia, Laura Grimaldi e Julio Martinez.
La Spagna sta conoscendo un
momento di straordinaria fioritura letteraria dopo un lungo silenzio e mi
sembra chiaro che la letteratura sia strettamente connessa alla politica.
Quando è morto Franco si sperava ci
sarebbe stata una valanga di opere maestre che erano state tenute chiuse nei
bauli per via della censura. Si diceva che ci sarebbe stato un momento di
splendore. Invece fu il contrario, tanto che si arrivò a coniare un modo di
dire, "contro Franco vivevamo meglio". Dopo alcuni anni ci fu un
interesse interno, in Spagna, verso quello che facevano gli autori spagnoli,
sia in letteratura sia nel cinema.
Quando Franco era al potere c'era una specie
di complesso per cui si pensava che tutto quello che si faceva in Spagna non
aveva interesse. C'era una parola che definiva tutto, "spagnolata".
Se si parlava della fine di un film, per esempio, si diceva "non me lo
dire neppure, intanto so che è una spagnolata", perché non poteva uscire
niente di buono da quel periodo scuro. E' stato una decina di anni più tardi, a
partire dal 1985, che c'è stato un cambiamento, un interesse da parte dei
lettori e degli spettatori per vedere quello che facevano scrittori e registi.
Cambia tutto in Spagna da questo momento. C'è stata una grossa crescita nella
letteratura, perchè c'è stata un'evoluzione artistica e anche degli importanti
cambiamenti artistici nello stile del romanzo.
E poi, leggendo il suo libro,
riflettevo a come i tempi più dolorosi e travagliati di una nazione siano anche
quelli che ispirano le opere più belle.
Credo che sia stato uno scrittore
cubano, Alejo Carpentier, che ha detto che la letteratura nasce dalla sofferenza.
Ha ragione. Evidentemente la letteratura nasce sempre da un conflitto. Non si
può fare letteratura sentita profondamente sul volo di una farfalla o su un
giorno tranquillo. La letteratura deve la sua origine alla storia di un
conflitto, un racconto di sofferenza e di passione, e quale maggior conflitto
della guerra? La guerra civile è la potenziazione di qualunque guerra, la
metafora di qualunque altra guerra
Il suo libro è anche un libro
della memoria: mi pare che questi siano gli ultimi anni in cui chi è nato
durante o dopo la guerra può raccogliere i ricordi di chi ha vissuto la guerra.
Come è nato il suo libro?
La mia famiglia visse la guerra in
modo intenso. Mio padre, di cui racconto in parte la storia nel libro, fu
soldato repubblicano in Madrid assediata. La famiglia di mia madre dovette
abbandonare la città per evitare la perdita di alcuni di loro a causa della
militanza politica. Durante la mia infanzia, a differenza di altri bambini che
ascoltano la favola di Cappuccetto Rosso, io ascoltavo dalla nonna le storie
della guerra, in modo che si formò una specie di mitologia nella mia testa, una
mitologia piena di storie, a volte drammatiche, a volte tenere e divertenti.
Tutti quelli della mia generazione in Spagna sono cresciuti con l'ombra di una
guerra di cui non capivano bene le ragioni.
Mi ha colpito la frase di
Sintora che dicendo "ho perduto la mia patria" identifica la
patria con la donna che ama. E mi ha colpito leggere la stessa frase in un
romanzo irlandese ambientato durante la guerra di insurrezione. E' difficile
immaginarsi un ragazzo di oggi dire una frase simile.
Ah, certamente. Quando c'era Franco
ci fu un tale abuso della parola "patria" che assunse un significato
peggiorativo. Chi diceva "patria" era di destra, e se no era qualcuno
che negava i suoi. Con questa frase il protagonista Sintora dice anche,
"non mi ingannerete, so qual è la mia vera radice, qual è il vero senso
della mia vita". E' stato anche un omaggio all'amore o alla donna che può
essere il sentimento definitivo nella vita di un uomo.
Anche nel suo precedente
romanzo, "Gli angeli caduti", lei parla del mondo degli artisti,
cantanti e ballerine in quello, nani, maghi, fachiri in questo. E il nome di
Arturo Reyes ritorna in entrambi.
Entrambi i suoi romanzi non
sono "per voce sola", piuttosto romanzi corali.
Mi interessano i romanzi in cui il
protagonista non è solo una persona. E' un modo di riflettere la vita: la vita
è piena di personaggi secondari, anche se ognuno pensa di essere il
protagonista assoluto del mondo. E a me i personaggi secondari interessano
quanto i protagonisti. Quando lavoro su un personaggio secondario lo faccio con
la stessa intensità con cui lavoro sul personaggio principale, tanto che spesso penso che potrei scrivere un
romanzo su uno dei personaggi secondari. Penso che lavorare a fondo sui
personaggi minori contribuisca a dare maggiore prospettiva e profondità al
romanzo. Mi pare che tutto sembri più vero.
Gli anni della guerra vengono
chiamati gli "anni del furore", e viene in mente il verso di
Shakespeare. Che significato hanno avuto gli anni della furia e del furore?
In Spagna gli anni del furore ebbero un
doppio significato perché la guerra fu la fine di un sogno, il sogno della
repubblica. Dobbiamo considerare che la democrazia in Spagna è durata 5 anni:
quando iniziò la repubblica, nel 1931, fu anche l'inizio di un sogno e la
guerra civile fu la fine sanguinante di questo sogno, l'inizio di un tunnel che
è durato 40 anni. La furia della guerra spagnola è smisurata, perché, ad
esempio, l'ultima guerra in Italia è finita, sì, con grande sofferenza, ma poi
è iniziata un'epoca di speranza. In Spagna, invece, la fine della guerra è
stata l'inizio della dittatura, di oscurità, della censura, della mancanza di
libertà, tutto molto più doloroso. In definitiva fu la fine di un sogno.
Antonio Soler, "Il nome che
ora dico"
Ed. Tropea, pagg.222, Euro 14,00
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