Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
cento sfumature di giallo
FRESCO DI LETTURA
Hilary Mantel, “Otto
mesi a Ghazzah Street”
Ed. Fazi, trad. G. Oneto, pagg.
334, Euro 16,15
Metà degli anni ‘80. Gedda, Regno di Arabia Saudita. Frances, inglese,
raggiunge il marito che, allettato dalla prospettiva di ottimi guadagni, ha
accettato di occuparsi della costruzione di un nuovo spettacolare edificio.
Frances e Andrew non sono sprovveduti provinciali, arrivano dall’Africa, dove
Andrew lavorava prima e dove si sono conosciuti e sposati. Frances è una
cartografa, specializzazione che non servirà a nulla a Gedda, perché niente è
definito a Gedda, edifici possono scomparire un giorno per l’altro, le strade
cambiare, e poi, soprattutto, alle donne non è concesso lavorare. Il fatto che
Frances sia una cartografa è un dettaglio che parrebbe irrilevante e invece
finisce per diventare un simbolo di tutti i punti di riferimento, geografici,
morali e di comportamento, che Frances pensava di avere ben saldi al suo arrivo
e che invece vanno smarriti negli otto mesi in cui lei e il marito abitano in
Ghazzah Street.
Quando Frances si trova per la prima volta
da sola in casa, si affaccia alle finestre per guardare fuori. La vista è
sempre uguale: un muro. Frances si sente prigioniera. Cerca di reagire, fa
amicizia (per così dire) con le due signore che abitano nella stessa palazzina.
Sono entrambe musulmane, una è pakistana e una è araba. In apparenza gli scambi
di idee fra di loro sono liberali, in realtà le due donne sono convinte di essere
sempre nel giusto e che i comportamenti occidentali siano inaccettabili. Il
velo nero che copre la donna? E’ per difendere la sua dignità. La donna non può
lavorare? Ma perché mai dovrebbe? Il suo compito è fare figli e badare alla
casa e soddisfare i desideri del marito. A proposito: perché Frances non ha
ancora bambini? La donna non ha bisogno di guidare: c’è un autista o il marito
ad accompagnarla in auto dove vuole (per fortuna abbiamo appena letto la
notizia che le donne hanno conquistato il diritto di prendere la patente). Il
Corano ha sempre ragione. Frances dovrebbe leggerlo, è molto istruttivo. Le
obiezioni di Frances cadono nel vuoto, le donne neppure si accorgono della
gravità di quello che stanno dicendo e delle ironiche repliche di Frances.
L’adulterio è punito con la lapidazione per la donna? Sì, è vero, dove si
andrebbe a finire se le donne si prendessero queste libertà, e poi adesso
vengono scagliate solo un paio di pietre, le donne sono uccise con colpi di
pistola. I furti sono rari, la pena è il taglio delle mani, però ormai ai ladri
si fa prima l’anestesia. Quale clemenza. Inshallah.
Hilary Mantel ha vissuto quattro anni a
Gedda e naturalmente il libro “Otto giorni a Ghazzah Street” ha potuto essere
pubblicato soltanto dopo il suo ritorno in Gran Bretagna. Il romanzo ci
trascina dentro questa atmosfera soffocante, è come se la polvere del deserto
ci entrasse in gola mentre la rete di menzogne e di comportamenti duplici si
dispiega davanti a noi. La sharia, la
legge del Corano, è la legge in assoluto, i peccati personali divengono
crimini, ma c’è sempre un modo per aggirare la legge, per fare le cose di
nascosto nel regno dell’ipocrisia. L’alcol è proibito, ma gli occidentali
aggirano la proibizione facendo in casa degli intrugli con frutta e lievito e
gli arabi bevono di nascosto con whisky o bourbon d’importazione. L’adulterio è
proibito ma circola voce che uno degli appartamenti della palazzina sia
affittato dal cugino del primo ministro per i suoi incontri amorosi. E’ vero o
c’è altro di peggio che succede in quelle stanze?
C’è una svolta ‘gialla’ nel romanzo di
Hilary Mantel. Un inglese ospite di Frances e Andrew viene ritrovato morto (che
cosa ha visto?), i pellegrinaggi agli uffici della polizia per vedere il
cadavere hanno qualcosa di kafkiano, l’appartamento di Frances è messo a
soqquadro, un vicino è accusato di commercio di armi ed un altro muore al suo
posto in uno scontro a fuoco, le due amiche scompaiono. Tutto finisce molto
male.
Il quadro che ci dipinge Hilary Mantel
dell’Arabia Saudita è di un trentennio di anni fa e forse le cose sono un poco
cambiate (non ne sono sicura). Si prova una sensazione di sconforto leggendo
questo libro, ci pare che non ci sia possibilità di comunicazione fra i due
mondi- no, non sono valide le parole di E.M.Forster, “soltanto connettere”, riferite all’Oriente e all’Occidente- e non
ci piace né la superiorità altezzosa degli espatriati che badano solo ai soldi
né la chiusura del mondo musulmano, ipocriti gli uni e ipocriti gli altri.
per contattarmi: picconem@yahoo.com
Nessun commento:
Posta un commento