Casa Nostra. Qui Italia
il libro ritrovato
la Storia nel romanzo
Boris Pahor, “Qui è proibito parlare”
Ed. Fazi, trad. Martina Clerici,
pagg. 388, Euro 19,00
Il nome di Boris Pahor non diceva proprio
nulla ai lettori italiani fino a quando,
lo scorso anno, la casa editrice Fazi pubblicò “Necropoli” (sconvolgente rievocazione
dell’esperienza dello scrittore nei campi di concentramento nazisti) e, pochi
mesi dopo, presso Zandonai uscì la raccolta di racconti “Il rogo nel porto”.
Immediatamente Boris Pahor divenne quasi un simbolo, portavoce della minoranza
slovena di Trieste, testimone dei soprusi fascisti nella sua città- primo fra
tutti, l’imposizione della lingua italiana alla comunità slovena.
Il nuovo romanzo pubblicato da Fazi, “Qui è
proibito parlare” (un ‘vecchio’ romanzo peraltro, anche se dobbiamo arrivare
all’ultima pagina per trovare la data, 1963, in cui fu scritto), ci rimanda alla
tematica de “Il rogo nel porto” più che alla città dei morti viventi di
“Necropoli”. Perché ancora bruciante e aperta è la ferita della forzata
italianizzazione degli abitanti slavi di Trieste: dopotutto non venivano forse
chiamati ‘S’ciavi’ in dialetto
triestino? S’ciavi, una parola così
vicina nel suono a slavi, ma con il
significato dispregiativo di ‘schiavi’, per non dire ‘scarafaggi’ che dovevano
essere schiacciati. Tra il 1924 e il 1927 una serie di leggi imponeva la
chiusura delle biblioteche e delle scuole slave, trasferiva forzatamente insegnanti slavi in
altre località italiane, obbligava ad italianizzare i cognomi di famiglia. Come
già ne “Il rogo nel porto”, in “Qui è proibito parlare” ritornano angoscianti
due ricordi: l’incendio del Narodni Dom, la Casa della Cultura slovena, avvenuto nel 1920 per
mano delle camicie nere, e le punizioni inflitte a scuola a chiunque fosse
stato sorpreso a parlare in slavo. Sono due ricordi che hanno a che fare con
chi si è, con la propria identità che va al di là dei concetti territoriali di
nazione- perché la patria è la propria lingua.
C’è una storia d’amore, al centro della
trama di “Qui è proibito parlare”: Emi- una tragica vicenda famigliare alle
spalle che viene fuori a poco a poco nei suoi racconti- incontra il giovane
Danilo sul molo di Trieste; diffidente dapprima, poi attratta da lui e dalle
sue parole, infine innamorata. E l’aver conosciuto Danilo introduce Emi nell’ambiente
della resistenza slovena al fascismo che opera soprattutto su un piano
culturale, stampando e distribuendo libri in sloveno ai bambini, quelli che,
per la giovane età, sono più a rischio di dimenticare la lingua.
E’ come se ci fossero due romanzi in “Qui
è proibito parlare”. O meglio un saggio storico e un romanzo, e certamente il
più interessante dei due è il saggio storico che rende note le difficoltà degli
slavi a Trieste e la palese ingiustizia, nonché la violenza morale, del
genocidio culturale e linguistico perpetrato a loro danno. Appare invece
forzata e rigida la storia d’amore tra Emi e Danilo, con dialoghi artificiosi e
poco credibili, pur nell’urgenza politica del momento. E’ come se i due
personaggi principali apparissero sulla scena per fare da portavoce allo
scrittore stesso, vittima della situazione triestina insieme ad altri scrittori
perseguitati dal regime i cui nomi sono purtroppo ignoti in Italia. E a noi
interessa venirne a conoscenza, ma il contesto risulta freddo ed è difficile
appassionarci alle vicende dei personaggi. Inoltre, paradossalmente, i loro
discorsi politici sono meglio dello scambio di parole in cui affiorano- o
dovrebbero affiorare- i sentimenti: qui la ritrosia non si giustifica neppure
considerando gli anni in cui il romanzo fu scritto, pare piuttosto che
l’interesse principale dello scrittore sia altrove. Non certo nel parlare
d’amore.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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