giovedì 27 luglio 2017

Melanie Raabe, “La verità” ed.2017

                                                          Voci da mondi diversi. Area germanica
                                                           cento sfumature di giallo
        FRESCO DI LETTURA

Melanie Raabe, “La verità”
Ed. Corbaccio, trad. L. Basiglini, pagg. 370, Euro 15,22


   Non si hanno notizie di lui da sette anni. Philipp Peterson, di Amburgo, è partito per la Colombia sette anni fa ed è scomparso. Di certo è arrivato in Colombia, ma si sono perse le sue tracce tra il suo albergo e quello in cui aveva l’appuntamento per un incontro di lavoro.
   E’ la moglie Sarah a raccontare. Del primo incontro con lui ad un concerto all’aperto, del temporale e del colpo di fulmine- nel cielo scuro di nubi e nei loro cuori. Dell’amore e dell’opposizione che lei, Sarah, aveva incontrato nella madre di Philipp che l’aveva giudicata un’arrivista. Del matrimonio e del bambino che aveva solo un anno quando il padre non era tornato dal viaggio in Colombia. Sarah si era fatta forza, aveva continuato a lavorare, aveva cresciuto il figlio da sola, si era rifiutata di far dichiarare morto il marito rinunciando anche, così, a diventare erede della sua ricchezza.
    E adesso la telefonata. Philipp è vivo. Il mistero dietro il suo rapimento per cui nessun riscatto è mai stato chiesto non è stato risolto. E’ in volo per Amburgo. Però all’aeroporto Sarah non riconosce l’uomo che scende dall’aereo. Forse assomiglia a Philipp ma non è lui, non è suo marito. Questo è un impostore che può giocare sul fatto che la madre di Philipp ha l’Alzheimer, il figlio non può ricordare il volto del padre, un amico è all’estero e Sarah…be’, Sarah ha avuto dei disturbi psichici in passato, Sarah è sotto shock, non si deve credere a Sarah.
Chi è quest’uomo che si spaccia per Philipp Petersen? Che cosa vuole? Come fa a sapere tante cose di lei, di loro? E il vero Philipp dov’è? Vivo o morto?

     Questo è l’inizio dell’inquietante psico-thriller della scrittrice tedesca Melania Raabe, “La verità”. La verità ha molte facce, è elusiva, spesso si nasconde. E la verità cercata dai protagonisti del romanzo non è solo quella che riguarda quanto è successo a Philipp in Colombia e la sua identità. E’ anche la verità del rapporto di coppia e quella dimenticata, nascosta in un incidente in un bosco, una notte che avevano litigato. E ancora: dice sempre la verità, il vero o presunto Philipp? Dice la verità Sarah, la voce narrante, il punto di vista che il lettore tende a fare proprio?
      La tensione è forte fino al termine del romanzo, in un alternarsi di credibilità, dell’uno e dell’altra, in un cambiamento di scenario, dalla grande casa che improvvisamente diventa sinistra alle strade di Amburgo che Philip (è lui?) impara di nuovo a conoscere, alla metropolitana, al bosco, al luogo tutto ‘loro’ dei loro incontri.



   “Nulla è più crudele dell’estraneità di coloro che conosciamo”, dice una citazione del romanzo. E questo è forse il significato profondo di un libro che può essere letto semplicemente come un mystery o un thriller. Perché, dietro la vicenda dell’uomo che ritorna e la moglie non ravvisa le sue fattezze e lo avverte come un pericoloso sconosciuto, c’è il dramma più quotidiano, doloroso e crudele, il sogno che crolla, l’idillio che si dissolve, la delusione, il rendersi conto che non conosciamo affatto- o non conosciamo più- colui o colei che ci vive accanto , che credevamo conoscere e che ci è diventato estraneo.

la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.net


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sabato 22 luglio 2017

Rose Tremain, “Quando l’ho incontrata” ed. 2002

                     Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda

                                                        romanzo di formazione
                                            
Rose Tremain, “Quando l’ho incontrata”

Ed. il Saggiatore, pagg. 318, Euro 16,50 

Tutte le storie di formazione passano attraverso esperienze d’amore e di morte, uguali eppure diverse secondo l’intensità e la sensibilità di chi le vive. E’ l’estate dei suoi 13 anni, quella che Lewis passa a Parigi con sua madre, ospiti di Valentina, scrittrice di origine russa. Era andato malvolentieri a Parigi, soprattutto per restare con la mamma, Alice dai capelli rossi come il setter irlandese di Valentina, e poi non partirebbe più, perché si innamora della quarantenne scrittrice dalla bellezza così diversa da quella di Alice. In inglese c’è una parola bellissima per indicare questo tipo di amore, nell’età di passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza, “puppy-love”, l’amore del cucciolo, e Lewis è un cucciolo d’uomo tenero, affettuoso, attento, sognatore. E se, all’inizio, Valentina gli appare come un’ altra figura materna, si trasforma ben presto nell’oggetto di sogni erotici che non hanno più niente di infantile. Un’estate a Parigi in cui Lewis scopre non solo l’amore, ma che la mamma forse tradisce il papà, che ci sono degli immigrati di colore, come la domestica Babba, che vivono in condizioni ben diverse dalle sue, che un operaio che ripara il tetto può anche parlare di esistenzialismo.
Fino al giorno in cui Valentina sparisce e il romanzo prende inaspettatamente la piega di un thriller. Il ragazzino che era campione di scacchi e traduceva in inglese quel capolavoro della letteratura per ragazzi che è “Le Grand Meaulnes” si improvvisa detective per ritrovare la scrittrice e sia gli scacchi sia le sue letture giocheranno un ruolo importante nella storia. Con un finale drammatico. Si chiama Little, di cognome, il protagonista. Little come “piccolo”, o come Petit, come lui stesso ama tradurlo in francese.
E, come in ogni romanzo di formazione, Lewis non è più piccolo quando compie 14 anni in settembre. Avrà fatto le due esperienze più importanti della vita. Noi leggiamo tutta la storia ascoltando la voce di Lewis e sappiamo sempre che è il suo punto di vista quello che sentiamo. Non sempre interamente affidabile, dunque; a volte sono sue supposizioni, o sue deduzioni e noi non siamo mai certi che quello che ci racconta sia realmente vero. Un romanzo interiore, un’esplorazione di come è avere 13 anni, un mystery, un romanzo letterario che gioca sulle questioni della originalità della scrittura, del plagio, del ruolo della traduzione: mentre Alice traduce in inglese il romanzo di Valentina, Lewis scopre un romanzo russo che ha troppi punti in comune con quello che Valentina sta scrivendo, e lui stesso inizia a tradurre “Le Grand Meaulnes”, identificandosi con uno dei personaggi. Un libro pienamente riuscito in tutti i livelli della storia, una prosa ricca e piacevolissima, una conferma delle qualità narrative di Rose Tremain.


la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net





domenica 16 luglio 2017

Rose Tremain, “Gustav Sonata” ed. 2017

                                    Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
       romanzo di formazione
       FRESCO DI LETTURA


Rose Tremain, “Gustav Sonata”
Ed. 66thand2nd, trad. Fiorenza Conte, pagg. 296, Euro 18


  Matzlingen, una cittadina immaginaria in Svizzera dove, secondo il migliore stereotipo, si produce formaggio Emmenthal, facente parte di una regione chiamata Mittelland, una terra di mezzo che acquista un valore metaforico.
   Metà degli anni ‘40 del ‘900, la fine degli anni ‘30 e gli ultimi anni del 1990: sono queste le scansioni temporali del romanzo “Gustav sonata” di Rose Tremain con due protagonisti, Gustav e Anton, che sono amici da quando frequentavano l’asilo. Il primo giorno d’asilo, Anton, appena arrivato in città con i genitori che si erano trasferiti da Berna, non aveva fatto che piangere  e la maestra lo aveva affidato a Gustav, bambinetto di ben altra tempra. Sua madre gli aveva inculcato la necessità di essere sempre padroni di sé, il vero svizzero è come una noce di cocco, dura all’esterno e dolce dentro. Chi vuole può scegliere se interpretare il paragone con ironia.
    Nella prima parte della ‘sonata’ ci rendiamo conto di quanto sia necessario, per Gustav, avere una scorza di protezione. Sua madre è una donna fragile e sfortunata. E’ rimasta vedova, il marito, padre di Gustav, era vicecapo della polizia di Matzlingen- di lui sapremo di più nella seconda parte del romanzo, per ora sappiamo quello che sa Gustav, che era un eroe (glielo ha detto la mamma), che è stato licenziato dal corpo di polizia, che a causa di questo hanno dovuto traslocare dalla bella casa con i balconi traboccanti di gerani. Gustav ha un solo giocattolo, un trenino di latta, Anton prende addirittura lezioni di pianoforte. La mamma ha detto a Gustav che suo padre è morto a causa degli ebrei, la famiglia di Anton è ebrea. Gustav è affascinato da loro, dalla bella mamma di Anton, dai dolci squisiti che gli offrono per merenda, dai pomeriggi a pattinare sul ghiaccio.

   Il passato a cui si accenna di continuo nella prima parte viene in piena luce nella seconda. E’ uno squarcio sull’ambigua neutralità svizzera durante la guerra, la storia di un uomo che ha agito secondo coscienza, falsificando la data di ingresso dei profughi ebrei perché non venissero rispediti indietro, e che ha pagato di persona per la sua integrità- incomprensione coniugale, destituzione dall’incarico, miseria, perdita dello status sociale. Infine la morte.
    La terza parte della sonata ha un andamento più tranquillo- si srotolano le storie dei due protagonisti che sono sempre amici, la vita li allontanerà per poi farli tornare insieme trasformando la loro amicizia in qualcosa di diverso di cui avevamo già avuto vaghissimo sentore, quasi una premonizione, in una scena durante un gioco infantile a Davos- i due bambini giocavano all’ospedale e, per simulare un intervento su un paziente, Anton aveva baciato sulla bocca Gustav.

     Con delicatezza squisita Rose Tremain ha scritto un romanzo originale di una duplice formazione: originale l’ambientazione, il contrasto fra le due famiglie e quello tra i due personaggi. A poco a poco iniziamo ad apprezzare la ruvida scorza di noce di cocco di Gustav che gli permette di farsi strada e gestire un albergo a Matzlingen, anche se di certo è anche causa di una profonda infelicità insieme al ricordo di una madre anafettiva che spiega, probabilmente, la sua inclinazione ad accompagnarsi a donne molto più anziane, una sorta di vice-madri. Per Anton che non ha una scorza che lo protegga, la sorte ha in serbo l’incapacità di fronteggiare un pubblico e di conquistare la fama di concertista.

      Si legge con un piacere musicale, il romanzo di Rose Tremain. Per l’equilibrio, la pacatezza dei sentimenti, per il gusto di cercare il significato nascosto dietro le note, per l’affilata lievità della critica rivolta al paese del formaggio e della cioccolata, per quella lieve malinconia di vite non vissute appieno che è la stessa malinconia che a volte ci comunica la musica.


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giovedì 13 luglio 2017

Cristina Rava, “L’ultima sonata” ed. 2017

                                                       Casa Nostra. Qui Italia
                                                   cento sfumature di giallo
                                                         FRESCO DI LETTURA


Cristina Rava, “L’ultima sonata”
Ed. Garzanti, pagg. 282, Euro 16,90

       Un prato in fondo ad un sentiero poco frequentato, vicino ad una chiesetta nell’entroterra di Albenga. Una coppia sdraiata sull’erba. Lei molto bella, esile, bionda, carnagione chiara. Indossa uno chemisier di seta come andava di moda molti anni fa. Lui scuro di occhi, pelle e capelli, porta un completo di altri tempi. Un bouquet di fiori in mano a lei. Fiori ovunque.
E’ per caso che due fidanzatini si imbattono in quelli che sembrano due sposi  (o due amanti?) uniti in un amore eterno oltre la morte. I fiori nascondono i fori dei proiettili. Chi li ha uccisi? Perché? Perché tutta la messa in scena? Che il motivo sia nascosto in questa messa in scena così accurata che pare imitare antiche fotografie dal gusto macabro di epoca vittoriana? anzi, che sia proprio questa ricostruzione teatrale il fine del duplice omicidio?
    Puntuale all’appuntamento estivo, la scrittrice di Albenga Cristina Rava è tornata con il romanzo “L’ultima sonata” a farci godere delle vicende della sua protagonista, il medico legale Ardelia Spinola che abbiamo imparato a conoscere bene:  umana nello svolgere un lavoro che ha qualcosa di fredda disumanità e che lei- con un cinismo che non rispecchia i suoi veri sentimenti- spiega come ‘frugare i morti’, curiosa, vivace, amante dei gatti e del buon cibo (meglio se ligure), una relazione finita con il commissario Rebaudengo e un nuovo amore per Arturo, un uomo che si interessa di alchimia e vive ad un’ora di distanza da Albenga.

   Nei romanzi della serie con Ardelia le indagini- come è ovvio- spettano alla polizia, eppure Ardelia riesce, in qualche maniera, ad essere sempre coinvolta e la soluzione dei casi spetta spesso a lei. Perché ha intuito, perché ha coraggio (sovente al limite della sventatezza), perché non si tira mai indietro, anche quando (come questa volta) il lato saggio di lei le dice che può mettere in pericolo la sua vita.
     L’originalità del nuovo libro di Cristina Rava è nell’abilità narrativa per cui il lettore segue le mosse e i pensieri dell’assassino fin dall’inizio, in capitoli in terza persona che si distinguono da quelli in prima persona in cui è Ardelia a raccontare. Il lettore sa anche quale sia il lavoro del tenebroso assassino, chi frequenta, immagina visivamente il suo aspetto per poi restare sconcertato davanti ad un improvviso e magistrale colpo di scena che dapprima lascia in dubbio sull’attribuire le colpe. Eppure, per quanto questo personaggio del tipo “Mr. Jekyll e dottor Hyde” cerchi giustificazioni più o meno plausibili per il suo delitto, per quanto voglia sentirsi innocente, il trauma che ha subito nel passato e che lo ha portato a questo atto estremo non è risanato, il Male che si porta dentro continua a suppurare ed esploderà ancora in maniera virulenta.
     Il personaggio di Ardelia, invece, è un poco più spento in questo romanzo, il quarto della serie. Ardelia è meno frizzante, incerta sui suoi sentimenti per Arturo (i suoi ragionamenti sull’opportunità di vivere lontani- lei e Arturo- ci fanno a pensare a Salvo Montalbano e a Livia, eterni pendolari dell’amore), la solitudine più o meno voluta la spinge verso amicizie allettanti e pericolose. Poi la sorte interferisce nella sua vita nel momento più opportuno: riappare il commissario Rebaudengo.
Siamo sinceri: facciamo il tifo per lui, ci è più simpatico di Arturo, ci piacciono la sua ruvidezza, la sua flemma piemontese e il suo intercalare dialettale con le vocali chiuse.

    Aspettiamo dunque la prossima indagine in cui si lascerà coinvolgere il medico legale Ardelia Spinola, curiosi anche sull’evoluzione delle sue vicende amorose. E aggiungiamo un dettaglio per gli amanti del genere giallo-rosa e per tutti i gattofili: per ogni personaggio del libro c’è un gatto (a volte più di uno, così la media è salva). E sono dei veri personaggi anche loro, con nome, personalità, gusti in fatto di cibo e perfino di programmi televisivi.

la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.net


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martedì 11 luglio 2017

Holidays








    sono impegnata in vacanze 'non vacanze' e non riuscirò a mantenere i miei soliti ritmi di letture e aggiornamenti. Anticipo però che il prossimo post sarà il romanzo giallo-rosa di Cristina Rava, "L'ultima sonata". Ho anche letto "Gustav sonata" di Rose Tremain (strana coincidenza, due titoli con una stessa parola). Al più presto possibile.

domenica 9 luglio 2017

Petros Markaris, “Resa dei conti” ed. 2013

                                           Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
                                                      cento sfumature di giallo
    il libro ritrovato

Petros Markaris, “Resa dei conti”
Ed. Bompiani, trad. Andrea Di Gregorio, pagg. 300, Euro 18,00

     “Lei può anche continuare a credere che l’università sia il tempio della conoscenza e della scienza, signor commissario. Sicuramente lo è, ma è anche il tempio dell’ipocrisisia. Ogni gradino che mio padre saliva, lo allontanava dalla Resistenza e lo avvicinava all’ipocrisia. Io non ho mai voluto avere niente a che fare con tutto questo. Lavoro qui al centro e faccio lezione al doposcuola senza prendere un centesimo.”

         Non è ancora successo. Potrebbe succedere. C’è chi se lo augura. Che si ritorni alla vecchia moneta, ai bei tempi accarezzati dalla nostalgia di ‘prima’ dell’euro. Nel suo nuovo romanzo, “Resa dei conti”, Petros Markaris immagina proprio questo, in un futuro alle porte: è il 31 dicembre 2013 e dal primo di gennaio del 2014 la dracma tornerà in corso in Grecia. “Mi era mancato”, dice Adriana, la moglie del commissario Kosta Charitos, accarezzando con le dita un biglietto da mille dracme. E a poco giova che la figlia le faccia osservare che cinquecento dracme corrispondono a un euro. “Non le dannare l’anima”, sussurra il genero. “Se la dannerà domani”, ribatte la figlia Caterina.
    Domani con la dracma, con la lira, con la peseta- già, perché la Grecia non è sola nella profonda crisi che la riporta indietro, è in compagnia dell’Italia e della Spagna. In questa atmosfera di per sé molto nera Kosta Charitos si troverà ad indagare sulla morte di tre persone, uccise con la stessa modalità una dopo l’altra- un imprenditore, un docente di Diritto Penale e un sindacalista. L’assassino stesso si è premurato di telefonare alla centrale di polizia indicando dove si trova il morto e, durante i primi accertamenti, toccando il cadavere, ogni volta parte la suoneria di un cellulare impostata per comunicare un messaggio: è lo slogan degli studenti che nel 1973 occuparono il Politecnico protestando contro la dittatura militare. C’è una variante delle parole, o meglio, un’aggiunta che cambia per ogni nuovo omicidio, a ribadire che, delle tre richieste degli universitari di allora- pane, istruzione e libertà- nessuna è stata soddisfatta.

      E’ un doppio noir, dunque, il romanzo di Petros Markaris: noir nell’ambientazione e noir nella trama. E anche il ben noto umorismo dello scrittore, che si rispecchia in quello di Kosta, si tinge di nero mentre il lettore sorride con l’altro lato delle labbra (come direbbero gli inglesi, più che mai soddisfatti di essersi tenuti strette le loro sterline). Pagina dopo pagina si aggiunge un dettaglio dei sacrifici dei greci- aziende che chiudono, disoccupazione, gente senza tetto, pensioni irrisorie, nessuna speranza di andare in pensione per chi già pregustava un meritato riposo, stipendi pubblici non pagati, forzata rinuncia all’uso dell’auto con conseguente- e paradossalmente positiva- diminuzione della congestione del traffico (non fosse per le manifestazioni di protesta che lo bloccano nelle zone ‘calde’). Con l’effetto valanga, proprio tra i poliziotti c’è un esempio delle ripercussioni private della falla gigantesca: uno dei poliziotti è separato dalla moglie, fino ad ora i figli stavano con lei ma la moglie non può più tenerli perché il suo convivente dice che non hanno i mezzi, alla polizia lo stipendio non sarà pagato per tre mesi e il collega di Kosta non ha né soldi da passare alla moglie né spazio in casa per alloggiare i figli. Li porterà dai suoi genitori in campagna, sperando che si abituino e possano frequentare la scuola locale.

     I tre morti assassinati, in apparenza uomini di successo, sono emblematici delle grandi speranze che si sono rivelate un’enorme delusione. Di chi è la colpa? Questi tre uomini, che tanto si vantavano del loro passato di sinistra, della lotta contro la dittatura, che si fregiavano dell’appartenenza alla ‘generazone del Politecnico’ quasi come di un fiore all’occhiello, che avevano conosciuto le carceri dell’ESA, a che punto avevano tradito se stessi, i compagni, gli ideali, il loro paese?

     Il genere del thriller o del noir è uno dei migliori per esplorare i meandri oscuri della realtà contemporanea, per aprire uno squarcio sulla Storia approfittando di drammatici eventi del presente. E’ quello che fa Petros Markaris, come hanno fatto i nostri De Cataldo e Sarasso, collegando la dilagante corruzione attuale, gli ingegnosi espedienti per arricchirsi, le truffe ai danni dei cittadini, con gli avvenimenti del passato, in un tutto unico senza soluzione.
Markaris, tuttavia, non si lascia sopraffare dal pessimismo in questo romanzo che ci tocca da vicino. C’è un messaggio positivo che passa come la fiaccola di una staffetta da un giovane all’altro del romanzo- dalla figlia di Kosta, avvocato difensore dei più sfortunati, ai figli delle tre vittime che hanno tutti rifiutato l’eredità spirituale e pecuniaria dei padri. C’è la voce di Radio Speranza che esce dal computer di Kosta mentre la sua famiglia si siede per gustare i piatti inventati da Adriana, la moglie di Kosta, all’insegna del risparmio. Non sono i suoi famosi peperoni ripieni ma minestre di fagioli e alici al limone, ottimi ugualmente. E poi, quando ormai non si usa più l’automobile perché la benzina costa troppo, la fame non manca.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


giovedì 6 luglio 2017

Petros Markaris, “Prestiti scaduti” ed. 2011

                                   Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
   cento sfumature di giallo
   il libro ritrovato

Petros Markaris, “Prestiti scaduti”
Ed. Bompiani, trad. Andrea Di Gregorio, pagg. 328, Euro 18,90

    Senza proferire verbo mi allunga sulla scrivania una serie di fotografie. Quindi estrae dalla tasca un autoadesivo e me lo mostra. Sopra c’è scritta esattamente la frase che mi aveva detto Kliopas. “Le banche si prendono altri venticinque miliardi. Li hanno presi dalle vostre tasse. Non pagatele anche di tasca vostra!” Le fotografie confermano quello che ha detto Kliopas: gli autoadesivi sono dappertutto.

       Sentivo la mancanza di Kostas Charitos. Mi domandavo che ne fosse di lui, se non gli fosse successo qualcosa, proprio come ci capita di pensare per un vecchio amico che non si fa vivo da un po’ di tempo. Ed ecco che è uscito il nuovo romanzo della serie, “Prestiti scaduti”, e fin dalle prime pagine tiriamo un sospiro di sollievo: Kostas sta bene, prepariamoci a godere la lettura.
    “Prestiti scaduti” incomincia dove terminava il precedente “La balia”. Abbiamo lasciato Kostas perplesso davanti alle prospettive di una seconda cerimonia di nozze- religiose questa volta- della figlia Caterina e lo ritroviamo in alta divisa all’inizio di questo romanzo. Commozione d’obbligo di Kostas davanti alla figlia in abito da sposa, la cerimonia, la banda che suona, la festa. Primi accenni alla traballante economia greca e ai sacrifici imposti a tutti i greci, alle rate che Kostas dovrà pagare per l’acquisto di una Seat Ibiza: povero Kostas, ha dovuto cedere alle pressioni della moglie che trovava disdicevole accompagnare la figlia in chiesa con la vecchia Mirafiori. La Mirafiori condannata alla rottamazione è il segno più crudele del passare del tempo- per Kostas e per noi lettori che sappiamo quanto vi fosse affezionato.
E poi si precipita nell’atmosfera sinistra dei delitti. Il primo morto era un banchiere: viene trovato nel suo giardino. Decapitato, un foglio formato A4 con la lettera D attaccato alla camicia con uno spillo. Seguiranno altri due omicidi eseguiti con la stessa modalità, di un altro banchiere e del direttore di un’agenzia di incassi. Contemporaneamente appaiono, sui quotidiani e sui muri della città, sotto forma di pubblicità e di manifesti, inviti ai cittadini a non pagare i debiti con le banche. Non è finita: lo stesso invito, più capillare anche se  in formato ridotto, si legge sugli adesivi che una banda di ragazzini ha ricevuto l’incarico di attaccare ovunque.

    Petros Markaris ha la capacità di cogliere le problematiche che la Grecia sta vivendo e riversarle in un romanzo, come già aveva fatto nei precedenti libri della serie in cui Kostas aveva a che fare con delitti tra gli immigrati, o legati agli appalti per le Olimpiadi, o collegati alla dittatura dei colonnelli. In “Prestiti scaduti” la crisi economica della Grecia (uno dei PIGS, i paesi in crisi, acronimo per Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), i pesanti tagli che riducono le pensioni e gli stipendi, eliminano la quattordicesima, spengono le speranze di lavoro per i giovani, le leggi che innalzano l’età della pensione e soprattutto la politica sconsiderata dei prestiti delle banche, sono al centro della trama. Che all’inizio vede il rivale di Kostas, il capo della sezione antiterrorismo, cercare di prevaricare, spingendo le indagini sulla falsa pista di un omicida terrorista per compiacere gli amici europei (ma quando mai si è visto un terrorista uccidere con una spada e puntare su obiettivi così selezionati?). Intanto Kostas Charitos indaga, si fa una cultura in economia bancaria, avvicina persone colpite duramente dal rovescio di fortuna, impiega un sacco di tempo per arrivare ovunque debba recarsi perché le strade di Atene sono intasate dal traffico e dalle auto parcheggiate, oppure bloccate da manifestazioni di protesta. Ma arriva a sciogliere l’enigma, con una certa qual ammirazione impossibile a confessare per chi ha messo a punto il programma di omicidi.


    “Prestiti scaduti”- che sono poi sia i prestiti dei privati sia quelli della Grecia come nazione- è un thriller brillante, profondo con leggerezza, di un umorismo elegante. In questa nuova prova Markaris riesce ad equilibrare le vicende private del suo commissario con il filone ‘giallo’ e con l’analisi della situazione economica del paese.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


martedì 4 luglio 2017

Petros Markaris, “La balia” ed. 2009

                                  Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
     cento sfumature di giallo
      il libro ritrovato

Petros Markaris, “La balia”
Ed. Bompiani, trad. Andrea Di Gregorio, pagg. 288, Euro 18,00

   Avviene per Petros Markaris quello che succede per il nostro Camilleri: i lettori aspettano con ansia ogni nuova avventura del commissario- Kostas Charìtos o Montalbano- e la curiosità ha la meglio sopra la consapevolezza che, ogni volta, scrittori e personaggi sono un poco più stanchi.
Il nuovo romanzo di Petros Markaris si intitola “La balia”, ma forse “la giustiziera” sarebbe stato un titolo più azzeccato. E si annuncia subito come un romanzo diverso dai precedenti, prima di tutto perché non si svolge ad Atene ma a Istanbul, dove Kostas e la moglie sono andati in gita turistica. E poi perché sovverte tutte le regole del romanzo poliziesco: l’identità dell’assassino è nota fin dall’inizio e non ci sarà una fine in cui il colpevole è arrestato e giustizia viene fatta. Almeno non ci sarà una giustizia umana.

    La vicenda è presto riassunta. Mentre Kostas è in vacanza in Turchia, viene raggiunto da una telefonata del suo capo: una donna molto anziana ha ucciso il fratello, in Grecia, mettendogli del veleno in una torta di formaggio. Se tutto si limitasse a questo, il caso spetterebbe solo alla polizia greca. Invece la donna, Maria Hambou, che in passato aveva fatto parte della comunità greca a Istanbul, compie una serie di omicidi pure nella città turca, tutti eseguiti con la stessa semplicissima modalità. La torta di formaggio, o meglio, la tyròpita, viene usata dalla vecchia Maria in una duplice maniera: come arma per uccidere chi è stato malvagio (e non solo nei suoi confronti, ma anche verso persone a lei care) e come omaggio di ringraziamento per chi, invece, ha mostrato bontà e generosità. Ad un certo punto appare chiaro, insomma, che la vecchia Maria- molto ammalata e ormai prossima alla morte- ha deciso di tirare fuori il suo personale registro di contabilità e anticipare una incerta giustizia divina.

   E’ una trama esile, come si vede, ma quello che è decisamente più interessante nel romanzo sta nell’ambientazione- in parte in un colorito percorso della capitale turca che Kostas visita per la prima volta e che noi vediamo attraverso i suoi occhi, e soprattutto nella storia dei rapporti greco-turchi che spiegano pure la vendetta di Maria Hambou. Non so quanti lettori sapessero che per i greci Istanbul continua a chiamarsi Costantinopoli, altrimenti detta semplicemente ‘la Città’, memori di quella che era la capitale dell’Impero romano bizantino. E che pure gli abitanti si distinguono in costantinopolitani e stambulioti, a seconda che siano greci o turchi. E che i greci della Città subirono una vera e propria persecuzione, nel 1922 e poi ancora nel 1955, e furono obbligati a tornare in Grecia, abbandonando o svendendo le loro proprietà in Turchia. Mentre tassazioni pesantissime favorivano quelli che furono dei veri e propri furti, con vicini di casa o di negozio che facevano man bassa, arricchendosi a spese dei greci.
    Il tema delle minoranze e delle difficoltà ambientali in cui queste vivono viene ripreso tramite un altro personaggio, il commissario turco a cui Kostas si affianca nelle ricerche. Murat è, per certi versi, meglio di Kostas, così come la Turchia viene spesso rappresentata, benevolmente e con lieve ironia, più progredita rispetto alla Grecia. Murat ha vissuto e studiato in Germania, dove vivono tuttora i suoi genitori; Murat parla un ottimo inglese; la moglie di Murat è laureata. E Murat ha lasciato la Germania quando sua moglie ha deciso di portare il velo e i suoi colleghi hanno iniziato a fare battute ‘pesanti’.


   Nel romanzo, tuttavia, molto spazio è dato ai litigi tra Kostas e la moglie, alle vicende della figlia Caterina che si è sposata con rito civile e ora, ripensandoci, celebrerà anche le nozze in chiesa, alle spese di Adriana Charìtos nei mercati di Istanbul…troppo per un libro che si propone come di indagine poliziesca.

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domenica 2 luglio 2017

Petros Markaris, “Il prezzo dei soldi” ed. 2017

                                                Voci da mondi diversi. Penisola balcanica
    cento sfumature di giallo
    FRESCO DI LETTURA

Petros Markaris, “Il prezzo dei soldi”
Ed. La nave di Teseo, pagg. 326, Euro 16,15

     E’ tornata la dracma in Grecia. Sono tutti contenti, la moglie del commissario Kostas Charitos per prima. Perché il ritorno della cara vecchia dracma segna anche il ritorno della ‘bella vita’ per i greci. In maniera quasi miracolosa circolano di nuovo dei soldi. E’ finito il digiuno, Adriana Charitou può cucinare le sue prelibatezze senza fare i salti mortali per inventare ricette gustose ed economiche da tempo di guerra. Le strade di Atene sono di nuovo congestionate dal traffico, ora che la gente ha i soldi per comprare la benzina. Caterina, la figlia di Kostas, viene assunta come consulente in uno studio legale e parla di comprare una casa con il marito. Ma da dove vengono tutti questi soldi?
Se lo chiede Adriana e lo domanda al marito e al genero: perché nessuno si fa questa domanda? Perché tutti si sono lanciati ad occhi chiusi in questo nuovo benessere? Ci vogliono tre morti per capire le trappole della ricchezza.
    Il primo omicidio è quello di un funzionario della gestione turistica dei porti. Pare che accettasse delle mazzette per concedere gli approdi e i posti barca. Due operai confessano il delitto e il caso è in quattro e quattr’otto archiviato come un banale furto durante il quale ci è scappato un morto.

Poi muore un ricco armatore. Strana la coincidenza che poco prima due sue navi fossero affondate. Ancora più strano che, poco dopo, arrivi la decisione degli armatori di ritornare ad usare i porti greci- è possibile che siano così generosi e patriottici da voler contribuire allo sforzo di rinascita del paese?
Segue una terza morte, e a questo punto sono davvero troppe. Un noto giornalista viene ucciso con un colpo di pistola e il suo computer scompare. E’ troppo. Troppi dettagli sospetti. Troppa facilità nella soluzione dei casi, anche in quello del giornalista. Troppi colpevoli che si presentano spontaneamente autoaccusandosi. Kostas fiuta puzzo di bruciato: non è che qualcuno vuole insabbiare i casi? Ha così perfettamente ragione che viene sospeso dall’incarico.
    Con “Il prezzo dei soldi”, decimo romanzo della serie con protagonista Kostas Charitos, Petros Markaris ritorna a parlarci dei problemi della Grecia e pensiamo al nostro Camilleri perché ci sembra che i due scrittori abbiano parecchio in comune oltre all’età non più giovane, oltre ad abitare in città che si affacciano sulla stessa azzurrità di mare, oltre ad aver scelto entrambi il genere giallo per i loro romanzi. E’ ‘come’ sfruttano questo genere uscendo dalla banalità dei soliti motivi dietro i crimini, scrutando con occhio acuto la realtà socio-economica del mondo in cui vivono e in cui viviamo, sempre sensibili alle problematiche più attuali, sempre partecipi con un atteggiamento che è, nello stesso tempo, critico e comprensivo. Nella loro diversità- eternamente fidanzato Salvo Montalbano, sposato per l’eternità Kostas Charitos (in uno di quei matrimoni così mediterranei in cui i coniugi finiscono per assomigliarsi), Montalbano con il rimpianto per un figlio mai avuto e Kostas che darebbe la vita per l’unica figlia, Montalbano che si rilassa con una nuotata e Kostas che stacca la spina immergendosi nel suo amato dizionario- i due commissari hanno un qualche cosa di simile che è poi quello che c’è di simile fra i due giallisti mediterranei, la capacità di vivere il loro tempo, di cogliere segnali di allarme nel quotidiano e di farsi portavoce della maniera in cui la gente comune avverte le deviazioni della gestione politica.

“Il prezzo dei soldi” è il romanzo più ‘nero’ tra i romanzi di Markaris. Nero nel senso che si dà al’noir’ dove non c’è soluzione nel finale del libro. E se già ci dispiaceva per Kostas a cui i colleghi danno le spalle quando viene sospeso dall’incarico, ci addolora proprio saperlo schiacciato dal peso di una scelta che a nessuno dovrebbe essere richiesto di fare. In questo scenario immaginario di rinnovata prosperità, tutto sembrerà andare per il meglio nei migliori dei mondi possibili, tutti saranno contenti, perfino i presunti colpevoli degli omicidi. “E quindi: Lux facta est?”, si chiede Kostas, mentre lui è l’unico a vedere le tenebre che si addensano.

     Un ottimo giallo per l’estate (e non solo).

la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.net


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