venerdì 13 ottobre 2017

Silvio Testa, “La zaratina” ed. 2017

                                                                      Casa Nostra. Qui Italia
          seconda guerra mondiale
           FRESCO DI LETTURA

Silvio Testa, “La zaratina”
Ed. Marsilio, pagg. 313, Euro 17,50

     Ha ragione Silvio Testa quando, nell’introduzione al suo romanzo “La zaratina”, dice che non c’è modo migliore di diffondere la Storia che farla rivivere in un libro, animandola con piccole storie di gente comune: il lettore ricorderà i personaggi e le traversie che hanno passato. Ha ragione anche quando commenta quanto poco della sua travagliata Storia sappiano i turisti che ogni anno scelgono la Croazia per le loro vacanze, perché è facile da raggiungere, il mare è bello, l’acqua pulita, si mangia bene e si spende meno che nelle località di mare italiane. E non sanno altro. E’ giusto dimenticare? O è un oltraggio ulteriore nei confronti di chi ha vissuto, ha sofferto, è morto negli anni della prima e seconda guerra mondiale?
     La Dalmazia apparteneva al regno austro-ungarico e fu concessa all’Italia alla fine della prima guerra mondiale. Come conseguenza, molti dalmati italiani si trasferirono a Zara dalle aree che invece facevano ormai parte del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Con l’avvento del fascismo iniziò l’italianizzazione forzata in Istria e in Dalmazia- proibito parlare croato, obbligo di cambiare i cognomi, abolizione delle scuole croate-, coltivando semi di malanimo e risentimento. La seconda guerra mondiale fu tragica per Zara. Dopo l’armistizio fu occupata dalle forze della Wehrmacht e fu quindi oggetto di pesantissimi bombardamenti da parte degli Alleati: dall’autunno del 1943 520 tonnellate di bombe vennero sganciate su Zara, l’85% della città fu ridotta in macerie. Alla fine del 1944 i partigiani di Tito occuparono la città che fu poi annessa alla Jugoslavia ed iniziò un altro periodo degli orrori. Gli abitanti italiani furono sottoposti ad arresti, violenze, torture, fucilazioni, annegamenti ed esecuzioni sommarie. La presenza italiana a Zara doveva essere cancellata- si distrussero a colpi di scalpello leoni di san Marco ed epigrafi in italiano, si diede fuoco agli archivi, ai libri e ai documenti, fu profanato il cimitero. Fu infine proposta l’opzione- rinunciare ad essere italiani se si voleva continuare a vivere a Zara oppure scegliere l’esilio.

     Questo è lo sfondo storico del romanzo di Silvio Testa su cui si muove una famiglia italiana tipica del luogo: il capofamiglia Giuseppe dirige una fiorente industria (non vorrà abbandonarla, alla fine, è tutta la sua vita, forse arriveranno tempi migliori), delle due figlie, una, Daria, ha studiato lingue alla ca’Foscari di Venezia e musica, suo marito lavora alla Prefettura di Zara. Il marito dell’altra figlia è croato, il loro bambino è per metà italiano e per metà croato. C’è una ragazza croata a servizio da loro, è quasi una di famiglia. E’ croato anche uno degli uomini di fiducia di Giuseppe nell’azienda. In casa si parla dialetto veneto, quella lingua franca che unisce croati e italiani, che tutti capiscono. Zara è ‘casa’ loro, guardano all’Italia come alla patria al di là del mare, ma è lì che hanno vissuto e intessuto una rete di rapporti sociali ed umani. Quando iniziano i bombardamenti e la famiglia decide di sfollare, cercano rifugio da conoscenti contadini- da mangiare ce n’è poco ma ‘sèmo omini’, come si fa a rifiutare un aiuto a chi ha bisogno? Giorno dopo giorno seguiamo le vicende di questa famiglia e di Zara, città inspiegabilmente punita. Si lotta per trovare da mangiare, bisogna guardarsi dai tedeschi ma anche- peggio ancora- dai partigiani. I due generi di Giuseppe saranno prelevati, rilasciati grazie alle amicizie croate di una vita, di nuovo arrestati, uno di loro portato in una delle famigerate isole da cui non si fa ritorno. E ammiriamo Daria, coraggiosa e determinata, capace di fare scelte difficili.


    Forse non vola mai alto, il romanzo “La zaratina”, ma riesce perfettamente a trascinarci in anni cruciali della Storia, a farci immaginare i volti e i sentimenti di coloro che li vissero, a indurci a riflettere che la Storia ha corsi e ricorsi, come diceva Gianbattista Vico, a capire il presente conoscendo il passato.


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