Voci da mondi diversi. Penisola iberica
guerra civile spagnola
il libro ritrovato
Antonio Soler, "Il nome che ora dico"
Chi è il vero protagonista del
romanzo dello scrittore spagnolo Antonio Soler? Il ragazzo Gustavo Sintora che
ha perso la famiglia in un bombardamento durante la guerra civile spagnola? O
Serena Vergara, la donna di cui lui si innamora, quella con gli occhi di
tramonto per cui scrive gli appunti in quaderni che ne manterranno viva la
memoria? O la Spagna stessa, rappresentata dal caporale Solé Vera e dai suoi
uomini, un distaccamento speciale che scorta un gruppo di maghi, nani, fachiri
e toreri che danno spettacoli nei villaggi, o le migliaia di morti di questa
guerra fratricida? O Madrid assediata, una "tomba che non voleva saperne
di essere una tomba", una città come una nave senza capitano e senza
rotta? Romanzo di una formazione che passa attraverso le vie più dolorose
dell'amore e della morte e romanzo corale in cui ogni voce ha il suo timbro
unico e indimenticabile.
Romanzo d'amore, della storia di Gustavo Sintora, il
ragazzo dalla faccia di bambino con gli occhi sognanti perché miope, e una
donna sposata che ha 15 anni più di lui. Romanzo di una nazione divisa di cui
si racconta la storia al seguito di questo strano distaccamento guidato dal
caporale Solé Vera con il giubbotto di cuoio, con Enrique Montoyo che parla con
la s e che sogna di andare in "Franscia" e sposare una ragazza con
gli occhi "assurri", il meccanico Doblas che ha una faccia da camion,
e il gitano Ansaura che percorre tutta la guerra ripetendo il nome della
moglie, una litania, una preghiera, tanto che anche lei, Amalia Monedero che
non appare mai nel libro, diventa un personaggio. E poi Corrons, il marito di
Serena con la faccia da morto, il fachiro triste torturato dai fascisti che gli
cuciranno la bocca con il filo spinato, il mago Ramirez e il Tessile che salta
per aria su una bomba.
Quella sera Gustavo Sintora scrive sul suo quaderno che
è terminata la sua gioventù ed è diventato un uomo. E poi il tempo in cui il
Tessile era ancora vivo diventa il tempo in cui un futuro era ancora possibile,
perchè dopo la sua morte ci sarebbe stata la carneficina dell'Ebro, quando
anche chi è rimasto vivo è ormai un cadavere a cui batte il cuore, un fantasma
con dei ricordi. Tutto finito, speranza, ideali.
Muore Montoya, muore il gitano
fucilato mentre compie lo sforzo titanico di tornare a piedi verso Barcellona
con una macchina da cucire sulle spalle, il regalo per la sua Amalia Monedero.
E sarebbero tutti dimenticati, come milioni di uomini che vissero "gli
anni del furore", se non fosse per i quaderni di appunti di Gustavo
Sintora affidati al figlio di Solé Vera, seconda voce narrante del romanzo. Si
intrecciano e si alternano le due narrazioni, sognante e quasi incredula quella
di Gustavo Sintora che vive gli avvenimenti di cui scrive, filtrata attraverso
i racconti del padre quella in terza persona del figlio di Solé. Eppure
perfettamente armonizzate e sincroniche, in quel riprendere il racconto
dell'uno dove questo si interrompe. Lirico e realista, buffo e drammatico,
tenero e crudele, uno splendido romanzo.
la recensione e l'intervista che segue sono state pubblicate su www.stradanove.net
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