martedì 17 ottobre 2017

Antonio Soler, "Il nome che ora dico" ed. 2003

                                       Voci da mondi diversi. Penisola iberica
       guerra civile spagnola
        il libro ritrovato

Antonio  Soler, "Il nome che ora dico"
 Ed. Tropea, pagg.222, Euro 14,00


    Chi è il vero protagonista del romanzo dello scrittore spagnolo Antonio Soler? Il ragazzo Gustavo Sintora che ha perso la famiglia in un bombardamento durante la guerra civile spagnola? O Serena Vergara, la donna di cui lui si innamora, quella con gli occhi di tramonto per cui scrive gli appunti in quaderni che ne manterranno viva la memoria? O la Spagna stessa, rappresentata dal caporale Solé Vera e dai suoi uomini, un distaccamento speciale che scorta un gruppo di maghi, nani, fachiri e toreri che danno spettacoli nei villaggi, o le migliaia di morti di questa guerra fratricida? O Madrid assediata, una "tomba che non voleva saperne di essere una tomba", una città come una nave senza capitano e senza rotta? Romanzo di una formazione che passa attraverso le vie più dolorose dell'amore e della morte e romanzo corale in cui ogni voce ha il suo timbro unico e indimenticabile.
Romanzo d'amore, della storia di Gustavo Sintora, il ragazzo dalla faccia di bambino con gli occhi sognanti perché miope, e una donna sposata che ha 15 anni più di lui. Romanzo di una nazione divisa di cui si racconta la storia al seguito di questo strano distaccamento guidato dal caporale Solé Vera con il giubbotto di cuoio, con Enrique Montoyo che parla con la s e che sogna di andare in "Franscia" e sposare una ragazza con gli occhi "assurri", il meccanico Doblas che ha una faccia da camion, e il gitano Ansaura che percorre tutta la guerra ripetendo il nome della moglie, una litania, una preghiera, tanto che anche lei, Amalia Monedero che non appare mai nel libro, diventa un personaggio. E poi Corrons, il marito di Serena con la faccia da morto, il fachiro triste torturato dai fascisti che gli cuciranno la bocca con il filo spinato, il mago Ramirez e il Tessile che salta per aria su una bomba. 
Quella sera Gustavo Sintora scrive sul suo quaderno che è terminata la sua gioventù ed è diventato un uomo. E poi il tempo in cui il Tessile era ancora vivo diventa il tempo in cui un futuro era ancora possibile, perchè dopo la sua morte ci sarebbe stata la carneficina dell'Ebro, quando anche chi è rimasto vivo è ormai un cadavere a cui batte il cuore, un fantasma con dei ricordi. Tutto finito, speranza, ideali.
     Muore Montoya, muore il gitano fucilato mentre compie lo sforzo titanico di tornare a piedi verso Barcellona con una macchina da cucire sulle spalle, il regalo per la sua Amalia Monedero. E sarebbero tutti dimenticati, come milioni di uomini che vissero "gli anni del furore", se non fosse per i quaderni di appunti di Gustavo Sintora affidati al figlio di Solé Vera, seconda voce narrante del romanzo. Si intrecciano e si alternano le due narrazioni, sognante e quasi incredula quella di Gustavo Sintora che vive gli avvenimenti di cui scrive, filtrata attraverso i racconti del padre quella in terza persona del figlio di Solé. Eppure perfettamente armonizzate e sincroniche, in quel riprendere il racconto dell'uno dove questo si interrompe. Lirico e realista, buffo e drammatico, tenero e crudele, uno splendido romanzo.

la recensione e l'intervista che segue sono state pubblicate su www.stradanove.net





Nessun commento:

Posta un commento