sabato 21 ottobre 2017

Antonio Soler, “Il sonno del caimano” ed. 2012

                                           Voci da mondi diversi. Penisola iberica
        guerra civile spagnola
         la Storia nel romanzo
         il libro ritrovato

Antonio Soler, “Il sonno del caimano”
Ed. Tropea, trad. Paola Tomasinelli, pagg.  188, Euro 14,50
Titolo originale: El sueño del caimán


     La mia vita è un treno. Sono un uomo che viaggia su un treno e questo treno è la mia vita. Percorro i vagoni del mio passato, retrocedendo, camminando all’indietro mentre il treno procede a tutta velocità verso il futuro. Un treno carico di persone. Mentre avanzo verso l’ultimo vagone riconosco alcune facce. Ogni volta sono più nitide, più definite nella memoria, mentre mi allontano dal presente. Mi guardano quei volti dagli occhi penetranti, e guardano pure il pavimento e fuori dai finestrini appannati dal vapore. Vedono passare indistintamente stazioni notturne dove sanno che non potranno mai scendere.

      Toronto. Hotel Regina, trentaquattro camere. Un portiere a cui mancano pochi mesi per andare in pensione. Si presenta un cliente a chiedere una camera. Dice il suo nome: Luis Bielsa. E il portiere lo riconosce.  Poi pensa che è impossibile che sia lo stesso uomo che gli ha spezzato la vita, quasi quarant’anni prima in Spagna. La carta d’identità riporta il nome per intero: Luis Bielsa Solá. Nato il 1919, residente a Barcellona. Il portiere non ricorda quale fosse il secondo cognome, determinante per identificare uno spagnolo senza errore, del Luis Bielsa responsabile dei nove anni che lui ha passato in un carcere franchista, del Luis Bielsa che, prima ancora di tradire lui e i compagni, lo aveva tradito rubandogli Vera, la donna che amava. Per un attimo pensa di avere un’allucinazione, di avere davanti un morto. No, Luis Bielsa allunga la mano per prendere la chiave magnetica della stanza 208, quella che in genere è riservata a una prostituta ma che il portiere gli dà perché è connessa alla portineria con un microfono nascosto. C’è, su quella mano, la cicatrice che aveva  il Bielsa del 1956? Il portiere non riesce a vedere. Il destino sarebbe proprio strano, se gli offrisse una possibilità di vendetta, o di giustizia, dopo tanto tempo.

    La guerra civile, che dominava il bellissimo romanzo “Il nome che ora dico” di Soler, resta come sfondo della vicenda che lo scrittore ci racconta adesso. Resta nelle imprese passate di cui si gloriava Bielsa, nel monumento alla brigata internazionale che è il motivo per cui Luis Bielsa è venuto in Canada dove si inaugurerà un monumento commemorativo. Ma l’anno cruciale, il 1956 che serve da spartiacque nella vita del protagonista narrante, è il dopo-guerra, quando i comunisti rialzano la testa, sognando la rivoluzione e la fine della dittatura, portando avanti la protesta con rapine e una sorta di lotta armata, programmando di far saltare una polveriera. Era questa l’impresa in cui erano coinvolti l’uomo che adesso fa il portiere, alcuni compagni di lotta e Vera. E Bielsa, il borghese che voleva fare il proletario. Fino all’agguato in una piazza deserta, uno di loro era morto, tutti gli altri arrestati e poi il processo, il carcere, l’esilio in Canada. C’era stato un Giuda tra di loro.

    Nella manciata di tempo che il portiere ha per prendere una decisione- telefonare all’altro compagno scarcerato dopo e arrivato da poco a Toronto? Agire da solo?- rivive tutto il passato. Come parlare di una vita non vissuta, del grigiore di un matrimonio senza amore, di giorni monotoni dietro il bancone della reception? Soler lo fa adottando uno stile tra il poetico e il metaforico in cui la realtà più brutale non è quella del passato lontano ma quella del presente dove un assassino ha colpito e continua a colpire in maniera selvaggia, amputando parti del corpo delle vittime. Il portiere sembra quasi aggirarsi come un sonnambulo lungo i suoi soliti itinerari a Toronto, casa e albergo. E’ come se, ora più che mai, avvertisse l’estraneità del paesaggio che lo circonda, della moglie morta che gli sorride da una fotografia. E’ proprio sua questa vita? Come sarebbe potuta essere altrimenti? “Senza di lui, senza Luis Bielsa, tutto sarebbe stato diverso, migliore.” E tuttavia Vera aveva sostenuto l’innocenza di Bielsa.
Passato e presente, dapprima separati nella narrazione, dapprima ricordo e realtà, si aggrovigliano poi, sono inestricabili l’uno dall’altro, causa ed effetto. Non serve girare intorno alla domanda di chi siano state le vittime e chi i carnefici. Allora l’immagine è quella del sonnecchiante caimano a pelo d’acqua che, nello spazio di un secondo, fa scomparire la preda.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




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