Voci da mondi diversi. Penisola iberica
guerra civile spagnola
la Storia nel romanzo
il libro ritrovato
Antonio
Soler, “Il sonno del caimano”
Ed. Tropea, trad. Paola
Tomasinelli, pagg. 188, Euro 14,50
Titolo originale: El sueño del caimán
La mia vita è un treno. Sono un uomo che
viaggia su un treno e questo treno è la mia vita. Percorro i vagoni del mio
passato, retrocedendo, camminando all’indietro mentre il treno procede a tutta
velocità verso il futuro. Un treno carico di persone. Mentre avanzo verso
l’ultimo vagone riconosco alcune facce. Ogni volta sono più nitide, più
definite nella memoria, mentre mi allontano dal presente. Mi guardano quei
volti dagli occhi penetranti, e guardano pure il pavimento e fuori dai
finestrini appannati dal vapore. Vedono passare indistintamente stazioni
notturne dove sanno che non potranno mai scendere.
Toronto. Hotel Regina, trentaquattro
camere. Un portiere a cui mancano pochi mesi per andare in pensione. Si
presenta un cliente a chiedere una camera. Dice il suo nome: Luis Bielsa. E il
portiere lo riconosce. Poi pensa che è
impossibile che sia lo stesso uomo che gli ha spezzato la vita, quasi
quarant’anni prima in Spagna. La carta d’identità riporta il nome per intero:
Luis Bielsa Solá. Nato il 1919, residente a Barcellona. Il portiere non ricorda
quale fosse il secondo cognome, determinante per identificare uno spagnolo
senza errore, del Luis Bielsa responsabile dei nove anni che lui ha passato in
un carcere franchista, del Luis Bielsa che, prima ancora di tradire lui e i
compagni, lo aveva tradito rubandogli Vera, la donna che amava. Per un attimo
pensa di avere un’allucinazione, di avere davanti un morto. No, Luis Bielsa
allunga la mano per prendere la chiave magnetica della stanza 208, quella che
in genere è riservata a una prostituta ma che il portiere gli dà perché è
connessa alla portineria con un microfono nascosto. C’è, su quella mano, la
cicatrice che aveva il Bielsa del 1956? Il
portiere non riesce a vedere. Il destino sarebbe proprio strano, se gli
offrisse una possibilità di vendetta, o di giustizia, dopo tanto tempo.
La guerra civile, che dominava il
bellissimo romanzo “Il nome che ora dico” di Soler, resta come sfondo della
vicenda che lo scrittore ci racconta adesso. Resta nelle imprese passate di cui
si gloriava Bielsa, nel monumento alla brigata internazionale che è il motivo
per cui Luis Bielsa è venuto in Canada dove si inaugurerà un monumento
commemorativo. Ma l’anno cruciale, il 1956 che serve da spartiacque nella vita
del protagonista narrante, è il dopo-guerra, quando i comunisti rialzano la
testa, sognando la rivoluzione e la fine della dittatura, portando avanti la
protesta con rapine e una sorta di lotta armata, programmando di far saltare
una polveriera. Era questa l’impresa in cui erano coinvolti l’uomo che adesso
fa il portiere, alcuni compagni di lotta e Vera. E Bielsa, il borghese che
voleva fare il proletario. Fino all’agguato in una piazza deserta, uno di loro
era morto, tutti gli altri arrestati e poi il processo, il carcere, l’esilio in
Canada. C’era stato un Giuda tra di loro.
Nella manciata di tempo che il portiere ha
per prendere una decisione- telefonare all’altro compagno scarcerato dopo e
arrivato da poco a Toronto? Agire da solo?- rivive tutto il passato. Come
parlare di una vita non vissuta, del grigiore di un matrimonio senza amore, di
giorni monotoni dietro il bancone della reception? Soler lo fa adottando uno
stile tra il poetico e il metaforico in cui la realtà più brutale non è quella
del passato lontano ma quella del presente dove un assassino ha colpito e
continua a colpire in maniera selvaggia, amputando parti del corpo delle
vittime. Il portiere sembra quasi aggirarsi come un sonnambulo lungo i suoi
soliti itinerari a Toronto, casa e albergo. E’ come se, ora più che mai,
avvertisse l’estraneità del paesaggio che lo circonda, della moglie morta che
gli sorride da una fotografia. E’ proprio sua
questa vita? Come sarebbe potuta essere altrimenti? “Senza di lui, senza Luis
Bielsa, tutto sarebbe stato diverso, migliore.” E tuttavia Vera aveva sostenuto
l’innocenza di Bielsa.
Passato e presente, dapprima separati nella narrazione,
dapprima ricordo e realtà, si aggrovigliano poi, sono inestricabili l’uno
dall’altro, causa ed effetto. Non serve girare intorno alla domanda di chi
siano state le vittime e chi i carnefici. Allora l’immagine è quella del
sonnecchiante caimano a pelo d’acqua che, nello spazio di un secondo, fa
scomparire la preda.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Nessun commento:
Posta un commento