Voci da mondi diversi. Francia
la Storia nel romanzo
FRESCO DI LETTURA
Olivier Rolin, “Il meteorologo”
la Storia nel romanzo
FRESCO DI LETTURA
Olivier Rolin, “Il meteorologo”
Ed. Bompiani, trad. Y. Mélaouah, pagg. 158, Euro 14,45
Aleksej Vangengejm era nato nel 1881 a
Krapivno, in Ucraina. Fin da bambino gli piaceva osservare le nuvole, fare caso
alla direzione dei venti. Diventò meteorologo, fu a capo del servizio
meteorologico dell’VIII armata di fronte agli austriaci in Galizia e, negli
anni trenta, capo del servizio idrometeorologico dell’Unione Sovietica. Quasi
certamente Aleksej Vangengejm è l’unico meteorologo ad essere morto per delle
previsioni del tempo. Nel 1934 fu accusato di tradimento per aver diramato
previsioni errate sabotando i raccolti e l’agricoltura. Qualcuno doveva pur
essere il capro espiatorio della terribile carestia che causò milioni di morti
fra il 1929 e il 1932. Era più facile condannare un uomo che ammettere la
responsabilità del governo, la conseguenza della dekulakizzazione unita a
fattori climatici che avevano provocato una lunga siccità. L’arresto di
Vangengejm giunse di sorpresa. La moglie lo aspettava fuori dal teatro Bolshoj
per andare insieme allo spettacolo. Aleksej Vangengejm non arrivò mai. Fu prima
rinchiuso nella Lubjanka e poi deportato nel primo gulag delle isole Solovki.
Ne uscì tre anni dopo con un convoglio di circa 1600 prigionieri che furono
tutti giustiziati con un colpo di pistola alla nuca e sepolti in fosse comuni.
Lo scrittore francese Olivier Rolin si è
imbattuto nelle lettere di Aleksej Vangengejm, scritte alla moglie dal gulag.
E’ stato colpito soprattutto dai disegni che le accompagnano, destinati alla
figlia piccola che non fece in tempo a veder crescere ma a cui voleva lasciare
un ricordo che fosse anche un insegnamento- disegni di alberi, foglie, frutti,
animali. E si è messo sulle tracce di quest’uomo che non aveva nulla di
eccezionale, tutt’altro. A tratti, leggendo le sue lettere, Olivier Rolin non
può nascondere la cattiva opinione che riceve da quello che appare come
servilismo nei confronti di una dittatura che gli ha stroncato la vita. Sperava
veramente, Vangengejm, che, con le sue professioni di fedeltà al Partito, con
le lettere che di continuo scriveva a Stalin o a qualche altro uomo della sua
cerchia, il suo caso sarebbe stato rivisto e si sarebbero scusati con lui per
l’errore e gli avrebbero ridato la libertà? Che cosa ci dice, di un uomo, il
fatto che passi il tempo facendo il ritratto di Stalin- il suo carnefice- con
scaglie di pietra, come fosse un mosaico? E che continui a proclamare la sua
fede nel Partito? Opportunismo? Paura? Ci pare impossibile che sia in buona
fede.
Rolin legge le lettere, ce ne riporta
stralci in cui Vangengejm scrive della sua vita quotidiana- per sua fortuna non
lo hanno messo a fare lavori pesanti ma in biblioteca e però c’è sempre un tono
un po’ lamentoso di auto compassione nelle sue lettere. Vangengejm non è un
eroe, non è un uomo da ammirare. Forse proprio per questo, per il suo essere un
uomo qualunque, diventa un personaggio emblematico per i milioni dei signor
‘nessuno’ stroncati da quelli che sembrano essere i folli capricci della
dittatura. Quello che ci colpisce, quello che ci fa più male, nella
testimonianza raccolta da Rolin, è la fine di Vangengejm. La beffa fatta alla
moglie a cui viene comunicata l’ulteriore condanna del marito senza diritto di
corrispondenza, quando quest’ultimo dettaglio della pena significava, in
realtà, condanna a morte. E poi il modo dell’esecuzione, l’umiliazione suprema
e l’oltraggio finale della sepoltura in quelle fosse ritrovate più di mezzo
secolo dopo. L’esistenza di nessun uomo, colpevole o innocente che sia,
dovrebbe essere cancellata in questa maniera.
per contattarmi: picconem@yahoo.com
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