Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
seconda guerra mondiale
il libro ritrovato
Kurt Vonnegut, “Mattatoio n. 5”
Ed. Feltrinelli, pagg. 196, Euro 14,00
I grandi libri non sono mai
datati e, se diciamo che “Mattatoio n. 5” di Kurt Vonnegut, appena ristampato
dalla Feltrinelli nella traduzione di Luigi Brioschi, è del 1969, è proprio per
evidenziare che il libro di Vonnegut era ed è uno dei migliori romanzi sulla
guerra, un grido di protesta contro tutte le guerre. Si chiama Billy Pilgrim,
il protagonista di “Mattatoio n. 5”, uno degli alter ego dello scrittore che
nel libro appare anche in prima persona e come Kilgore Trout, il romanziere di
fantascienza ammirato da Billy. Billy come Billy Budd, l’eroe innocente di
Melville, Pilgrim perché l’americano ventenne Billy è come il personaggio del
“Pilgrim’s Progress” di Bunyan, in viaggio dalla Città della Perdizione alla
Città Celeste- ma Billy potrebbe anche non arrivarci mai. Arrivato in Europa
per sconfiggere il nazismo, Billy Pilgrim si trova ad affrontare una realtà che
niente lo ha preparato a capire; lui e i suoi commilitoni sono come i bambini
arruolati per la Crociata del 1213 che credevano di andare a liberare il Santo
Sepolcro e invece sarebbero stati venduti come schiavi.
La Storia si ripete,
l’esperienza degli altri non serve a nessuno, anche il figlio di Billy sarà
convinto di salvare il mondo insieme ai Berretti Verdi: “così va la vita”- come
ripete Billy di continuo, dopo aver registrato con il distacco di chi è sotto
shock quanto accade intorno a lui, la morte di un comandante o di un compagno,
la montagna di cappotti irrigiditi dal gelo che vengono distribuiti dai
tedeschi ai prigionieri americani, le saponette fatte con i corpi degli ebrei
uccisi. Così va la vita, è anche l’osservazione di Billy davanti alle rovine di
Dresda - l’esperienza che Billy non riuscirà mai a dimenticare. Quando Billy,
preso prigioniero nelle Ardenne, era arrivato a Dresda, gli era parsa la più
bella città che avesse mai visto, con il suo profilo “intricato, voluttuoso,
incantato e assurdo”. Nessuno si aspettava il bombardamento massiccio del 13
febbraio 1945, perché Dresda era stata dichiarata “città aperta”. E la prosa
asciutta di Vonnegut, il Billy Pilgrim scampato alla distruzione perché
rifugiato nel deposito del mattatoio n. 5 in cui erano alloggiati i prigionieri
americani, diventa una poesia della disperazione e dello sbigottimento davanti
alla scena apocalittica del “day after”: “Il cielo era nero di fumo. Il sole
era una capocchia di spillo. Dresda era come la luna, nient’altro che minerali.
I sassi scottavano. Nei dintorni c’erano tutti morti. Così va la vita”, le
ultime parole come un Amen in un Requiem sui defunti.
Quando torna in America
Billy si sposa, diventa un ottico (fornire la gente di occhiali è una maniera
per aiutarli a “vedere” meglio?) e incomincia a viaggiare nel tempo,
spostandosi tra il passato il cui orrore continua a perseguitarlo gelidamente e
il presente, un incidente aereo, la morte della moglie, l’ospedale con un
vicino di letto guerrafondaio, la lettura del romanzo di Trout che prevede
l’uso del napalm sugli esseri umani e- soprattutto- l’avventura di venire rapito
da un disco volante del pianeta di Tralfamadore. Sono molto saggi gli abitanti
di Tralfamadore, ci ricordano un poco il popolo degli Houyhnhnms, i cavalli
parlanti dei “Viaggi di Gulliver”. E’ da loro che Billy impara che siamo tutti
come insetti incastonati nell’ambra di questo momento e che si muore solo in
apparenza perché si continua a vivere nel passato e passato, presente e futuro
sono sempre esistiti e sempre esisteranno. Vonnegut all'epoca della seconda guerra mondiale |
Forse questo è il pensiero migliore per esorcizzare tutte quelle morti insensate che Billy ha visto, per fissare per sempre la memoria della vittima assurda per eccellenza dell’omicidio idealizzato che è la guerra: il povero Edgar Derby che fu fucilato da un plotone di esecuzione a Dresda (135.000 i civili morti nel bombardamento) perché aveva rubato una teiera tra le macerie. Un libro triste ed amaro, un commento beffardo alla pretesa eticità della politica.
la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos
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